evangelizzazione
Predicazione e diffusione del Vangelo, soprattutto con riferimento ai primi secoli della Chiesa o alla prima introduzione del cristianesimo in un Paese o presso una popolazione. Le missioni religiose non sono state caratteristiche soltanto delle Chiese cristiane, tuttavia hanno trovato in queste una intensità sconosciuta ad altre religioni. Già nel corso del Medioevo sia i cristiani occidentali sia quelli orientali si erano preoccupati dell’e. del bacino mediterraneo e dell’area continentale verso E. I primi viaggi nell’Oriente suggerirono la possibilità di espandere la presenza cristiana, in particolare quella occidentale, oltre i confini del continente e fra le comunità rimaste nelle regioni d’influenza arabo-islamica. I primi viaggi asiatici e africani previdero dunque la presenza di missionari e questi parteciparono anche all’esplorazione atlantica, alla scoperta delle Americhe e all’espansione oltre il Capo di Buona Speranza. La Riforma divise il fronte evangelizzatore, ma non ne ridusse la forza. In particolare la Chiesa di Roma intensificò i tentativi di espandersi su tutto il globo e nel 1622 li centralizzò sotto la Sacra congregazione De propaganda fide, incaricata dell’assistenza spirituale dei cattolici in aree non cattoliche e della conversione di protestanti, ebrei, islamici e pagani (coloro cioè che non aderivano alle tre religioni del Libro). Le iniziative evangelizzatrici extraeuropee, erano, però, già state avviate dai grandi ordini religiosi (gesuiti, francescani ecc.) e dalle singole Chiese nazionali delle potenze coloniali. In entrambi i casi l’allineamento alle direttive di Propaganda non fu rapido, né integrale. All’interno di molti ordini missionari e delle realtà coloniali l’e. era infatti vista come il necessario supporto alle iniziative delle rispettive corone: il contrasto fra, per es., gesuiti spagnoli e gesuiti francesi nelle Americhe, oppure gesuiti italiani e gesuiti portoghesi in India o in Cina, oltre che la concorrenza fra ordini si fece sentire dal Cinque al Settecento. Il fronte protestante era egualmente frastagliato, non tanto per ragioni geopolitiche (contrapposizione tra colonie olandesi e britanniche, presenza d’insediamenti minori danesi o svedesi), quanto per la complessità e il numero delle Chiese e dei movimenti riformati. In alcuni casi questo accavallarsi di indirizzi diversi corrispose a successive ondate migratorie, ma alcune denominazioni e alcune associazioni si preoccuparono sin dal Seicento della conversione delle popolazioni autoctone lontane dai centri coloniali, talvolta in aperta concorrenza alle iniziative cattoliche. Nel corso dell’Ottocento la concorrenza interna alle famiglie religiose cattoliche e protestanti, nonché il confronto fra i riformati tutti e Roma, aumentò soprattutto in relazione alla «corsa» per il controllo dell’Africa e alla coeva necessità di inquadrare i grandi movimenti migratori intercontinentali. In tali contesti la Chiesa cattolica vide nascere nuovi istituti evangelizzatori, quali i padri comboniani per l’Africa e i padri scalabriniani per l’emigrazione, mentre i protestanti optarono per associazioni opportunamente dedicate a specifici problemi (e. dell’Africa, sostegno degli emigranti ecc.). Nella seconda metà del Novecento sia le missioni cattoliche sia quelle protestanti conobbero un momento di profonda riflessione (ivi compresa l’autocritica per il parallelo sviluppo dell’espansione occidentale e dell’e.) grazie anche al Concilio vaticano II (1962-65) e al Congresso internazionale per l’e. mondiale (Losanna, 1974). In seguito sia i cattolici sia i protestanti insistettero sempre di più sulla necessità di rispettare il punto di vista indigeno, nonché di non forzare alla conversione coloro (per esempio, migranti o profughi) che avevano bisogno di aiuto.