MICHELI, Everardo Luigi. –
Nato a Firenze il 5 nov. 1824 da Pasquale, pittore, e da Violante Villani, fu battezzato con i nomi di Romualdo e Ranieri. Dopo un’infanzia trascorsa in seno alla famiglia, nel novembre 1836 entrò nelle Scuole pie fiorentine, a S. Giovannino; da allora la sua intera esistenza sarà segnata da un rapporto strettissimo, personale e intellettuale, con l’esperienza e la tradizione degli scolopi (Delle laudi di s. Giuseppe Calasanzio, Pisa 1869). Il 6 nov. 1839, in seguito alla domanda di ammissione, iniziò il noviziato, e al compimento del diciottesimo anno, secondo le disposizioni della legge toscana, presentò domanda di vestizione. Fu ammesso a far parte del clero il 1° apr. 1843; l’ordinazione sacerdotale sarebbe avvenuta nell’aprile 1849.
Nell’autunno 1846 il M. fu chiamato al collegio Tolomei di Siena da T. Pendola, personaggio che sarà per lui molto importante sia sul piano personale sia per gli orientamenti religiosi del M. lettore di A. Rosmini. In collegio il M. – impegnato anche nell’assistenza e nella guida spirituale degli allievi – insegnò a lungo algebra e geometria elementare e filosofia razionale e morale, assumendo, dal 1853 e in collaborazione con Pendola, anche insegnamenti filosofici di grado superiore presso il liceo senese. Ai problemi didattici il M. prestò intensa e continua attenzione; già nel 1847 si rivolgeva direttamente a Rosmini per ottenerne consiglio circa i testi da adottare nell’insegnamento. Venivano definendosi in quel periodo anche interessi e fisionomia di studioso; e il M. otteneva la dispensa per la lettura di testi all’Indice. Fu, tuttavia, più tarda la stagione della produzione critica e storiografica.
Ben inserito nell’ambiente cittadino, membro dal 1850 dell’Accademia dei Fisiocritici, il M. seguì l’ascesa accademica di Pendola nei mesi del trapasso dalla Toscana granducale a quella italiana. Spettatore, inquieto, della guerra del 1859, alla fine di quell’anno, mentre Pendola diveniva rettore dell’Università, il M. ottenne la cattedra di filosofia morale nella sezione superiore del liceo, dichiarata poi di rango universitario nel marzo 1860.
Mancando all’ateneo senese una facoltà letteraria, la cattedra del M., con altre di ambito umanistico, fu aggregata nel novembre 1860 alla facoltà di giurisprudenza, presso la quale egli tenne anche, per incarico, un corso di filosofia del diritto. Il 1° dic. 1864 prestò giuramento al re, e qualche tensione sul piano disciplinare si verificò in seguito alla sua partecipazione, nel giugno 1865, alla festa dello Statuto. Ma soprattutto, in quel periodo, il collegio Tolomei fu coinvolto nella profonda ristrutturazione delle scuole senesi dopo l’Unità e in discussioni, campagne di stampa e inchieste che infine condussero, nel 1876, all’allontanamento degli scolopi, tra i quali, come si evince da alcune lettere del M., si manifestarono gravi divisioni interne. Fu in un contesto di polemiche e di questioni accademiche aperte che, nominato dal governo nel settembre 1866 docente di antropologia e pedagogia, il M. fu trasferito a Pisa. Si trattò di un trasferimento non gradito. A Pisa non esisteva una famiglia di padri scolopi; inoltre il M. dovette alloggiare presso di sé l’anziana madre, che sarebbe scomparsa nel 1871. Pur vivendo privatamente, continuò a vestire l’abito e ad appartenere alla famiglia scolopia di Siena; ne derivarono questioni molto delicate, come quella della disponibilità dello stipendio governativo, risolte a suo favore. Inoltre il passaggio da Siena, Università di secondo grado, a Pisa, ateneo primario, non comportò quel pieno riconoscimento retributivo e di carriera che il M. avrebbe conseguito solo nel 1877 passando all’Università di Padova. Il periodo pisano fu tuttavia quello di maggiore rilievo per la sua attività scientifica e pubblicistica.
A Pisa, dove negli anni precedenti il clima era stato spesso di scontro, il M. prese parte attiva alla vita intellettuale cittadina sia occupandosi della tutela e del restauro dei beni artistici sia, soprattutto, con il suo insegnamento universitario, da inquadrare in una fase specifica, quella del primo periodo postunitario, di ridefinizione della prassi accademica e dei profili disciplinari. Forse anche per tradizione familiare, oltre che per sensibilità e gusto erudito, era incline a occuparsi di tematiche storico-artistiche.
Aveva già scritto, e avrebbe continuato a scrivere, attorno al patrimonio senese (Guida artistica della città e contorni di Siena, Siena 1863; Sul pavimento del duomo di Siena, ibid. 1870; Breve istoria della galleria nell’Istituto di belle arti in Siena, ibid. 1872) e si impegnò nella salvaguardia di quello pisano (Sull’organo della conventuale di S. Stefano. Lettera, Pisa 1871; Sul pulpito di Giovanni Niccola – Per la primaziale ricostruito da Giuseppe Fontana, ibid. 1875), tanto da entrare a far parte, nel 1873, della Commissione consultiva di belle arti per le province di Pisa e Livorno.
La storia settecentesca dell’ateneo pisano era stata profondamente segnata, in ambito umanistico, dalla presenza degli scolopi, con tre rilevanti figure come A. Politi (1679-1752), E. Corsini (1702-1765) e C. Antonioli (1728-1800); e a questa tradizione, anche con contributi particolari (Di Carlo Antonioli delle Scuole pie educatore. Al p. Tommaso Pendola [estratto dalla Rivista universale, dicembre 1870], Genova 1871), il M. si rifece affrontandone la ricostruzione. Invece la Storia dell’Università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX scritta per Everardo Micheli scolopio in continuazione dell’altra pubblicata da Angiolo Fabroni (Pisa 1877, estratto dagli Annali delle Università toscane, t. 16, 1879, parte 1a, pp. 3-84, ora in ristampa anastatica, Sala Bolognese 1988) rimase incompiuta, fermandosi al primo libro, dalla reggenza sino alla «prima invasione delle soldatesche francesi in Toscana» (ed. 1879, p. 11), e fu abbandonata con il trasferimento del M. a Padova. Qui, come nell’opera maggiore la Storia della pedagogia italiana dal tempo dei Romani a tutto il secolo XVIII (Torino 1876), il M. seguiva un rigido ordine espositivo.
A una breve introduzione storiografica facevano seguito un quadro storico generale, i profili dei provveditori dello Studio, e quelli dei docenti, cattedra per cattedra, con brevi appendici su stipendi, numero delle lezioni, calendario scolastico. Repertorio accurato, certo: a questa opera conviene tuttavia la pesante riserva generale formulata a proposito della storiografia del M., che sarebbe contrassegnata dal rilievo informativo e documentario ma anche dalla «mancanza di critica» (P. Fornari, M., p. E., in Dizionario illustrato di pedagogia, diretto dai professori A. Martinazzoli - L. Credaro, Milano s.d., II, p. 693); asserzione che per altri scritti del M. appare invece ingenerosa e non fondata.
Spinto anche, come documentano le sue carte, da esigenze didattiche, il M. lavorò nel decennio pisano alla ricomposizione, su larga base testuale e bibliografica, di un quadro del pensiero pedagogico italiano muovendo dall’Età classica. Fra il 1871 e il 1875, con un seguito padovano nel 1877, pubblicò sotto forma di lettere apparse in opuscoli separati e per nozze, oppure ospitate dalla Rivista universale – e la sede era significativa, trattandosi di un importante organo di stampa dell’ala non intransigente del cattolicesimo italiano – , una serie di saggi sul pensiero educativo presso i Romani (poi raccolti in L’educazione secondo gli scrittori latini. Lettere di Averardo Micheli, a cura di E. Taglialatela, I-II, Lanciano 1919-21), accompagnati da altri studi preparatori (Di Girolamo Cardano educatore, Pisa 1869; Storia della pedagogia in Italia nel secolo XIV, Siena 1873). L’elenco dei destinatari delle lettere – colleghi pisani e studiosi, confratelli scolopi, interlocutori «politici» come il marchese P.M. Salvago – illustra anche una rete di relazioni: ma è soprattutto da segnalare la modalità compositiva, basata su repertori di luoghi, tradotti e compendiati, con un uso sistematico delle citazioni: documentazione più solida, insomma, di quanto sia stato riconosciuto da studiosi della generazione successiva (G.B. Gerini, Le dottrine pedagogiche di M. Tullio Cicerone, L. Anneo Seneca, M. Fabio Quintiliano, Plinio il Giovine, Claudio Claudiano, Giuliano imperatore e Plutarco, precedute da uno Studio sulla educazione presso i Romani, Torino 1894, seconda ed. accresciuta 1914, p. IX).
Certo il M. non si dovette riconoscere pienamente nell’ordinamento scolastico del nuovo Regno, e in alcuni documenti privati di recente pubblicazione non mancano spunti in questo senso. Ma già nella Storia della pedagogia italiana …, pur parlando della Roma della decadenza, era stato chiaro: «Si verificò insomma allora quello che è sempre stato e sarà, cioè che tristo è quel paese, dove riboccano i regolamenti pedagogici e didattici, imperocché è segno che gli eletti a educare ed ammaestrare non trovano più in loro stessi il modo migliore di compiere questo loro sacrosanto dovere» (p. 28). Contro la corrente imitazione dei modelli scolastici europei, in specie tedeschi, riteneva che fosse necessario «riandare ciò che su questo avevano pensato, operato e scritto i nostri vecchi», aprendo «la via agli italiani a ritrovare una scienza e un’arte dell’educare e dello istruire, tale che si potesse dire, e fosse opportuna a noi e proprio nostra» (p. 6). «Italianismo» inclusivo, questo, che portava il M. a censire, anche per gusto letterario, un numero assai ampio di autori, serbando spazi in fondo non dovuti persino a N. Machiavelli (pp. 209 s.); e se per lui Vittorino da Feltre era stato «il maggiore di quanti v’ebbero educatori in Italia» (p. 121), G. Filangieri era il massimo ingegno italiano del ’700, e grande attenzione veniva prestata all’opera di G. Parini.
L’opera comprende due ampi capitoli iniziali, il primo riservato all’educazione in Età romana, il secondo all’Alto Medioevo fino al 1300, ed era poi strutturata per secoli; in ogni libro una breve trattazione istituzionale, comprensiva delle università, precedeva una più estesa analisi riservata a testi, idee, dottrine. E, spesso indirettamente, qui il M. prendeva posizione: nel dosaggio dell’esposizione e del commento, in alcune inclusioni – esemplare, e ovvia, l’italianizzazione di G. Calasanzio (pp. 151s.) –, in qualche presentazione che lasciava trasparire alcune tracce dell’antica contrapposizione fra scolopi e gesuiti. Indicativo del modo di procedere del M. è il fatto che una delle sue più impegnative dichiarazioni sul ruolo dell’educatore e sugli scopi dell’educazione fosse enunciata in margine al commento dei versi danteschi sul distacco di Virgilio (Purg., XXVII, 139-142; Storia della pedagogia italiana …, pp. 100-102). Da segnalare l’appendice, legata alla collaborazione con Pendola, sull’educazione dei sordomuti, questione che aveva implicazioni non solo pratiche, ma anche filosofiche.
A Pisa il M. aveva proseguito l’esercizio sacerdotale, assistendo, fra l’altro, alla morte di Paolina Leopardi. Aveva accettato il trasferimento a Padova per motivi pratici e di carriera, dopo aver rifiutato sedi come Palermo e Napoli; ma coltivava propositi di ritiro dalla cattedra e di ritorno alla vita dell’Ordine. Nel periodo padovano pubblicò alcune rilevanti traduzioni, da autori entrambi riferibili alla sua nuova collocazione accademica (Dell’Educazione secondo Jacopo Stellini, somasco, Siena 1877; Dei nobili costumi di Pierpaolo Vergerio [il Vecchio], ibid. 1878), e tornò a parlare di Rosmini, già qualificato come «ingegno divino» (L’educazione secondo gli scrittori latini, II, p. 3), aprendosi il decennio che ne avrebbe visto la condanna postuma (Di Antonio Rosmini scrittore sull’educazione. Orazione inaugurale, Padova 1880).
Il M. morì a San Pellegrino (Bergamo) il 17 sett. 1881.
Fonti e Bibl.: Un cospicuo nucleo documentario relativo al M. si trova a Firenze, nell’Archivio provinciale dei padri scolopi della Toscana, ed è stato illustrato e in parte pubblicato nello studio più ampio disponibile sul M., quello di O. Tosti - G. Cianfrocca, Un illustre scolopio dimenticato: p. E.L. M., in Archivum Scholarum piarum, XXXII (2008), 64, pp. 65-156 (lettere e manoscritti editi e descritti alle pp. 101-154). Alcune lettere a G. Capponi, F. Le Monnier, F. Protonotari, e un più nutrito numero di lettere al p. A. Checcucci sono in Firenze, Biblioteca nazionale; due lettere ad A. D’Ancona sono conservate nella Biblioteca della Scuola normale superiore di Pisa. Il fascicolo personale del M. è conservato in Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Fascicoli personali 1860-1880, ad nomen. Una sommaria bibliografia degli scritti è offerta da O. Tosti - G. Cianfrocca, Un illustre scolopio, cit., pp. 155 s., da integrare, per quel che riguarda la collaborazione con Pendola sul problema dei sordomuti, con le indicazioni presenti in L’educazione dei sordomuti nell’Italia dell’800. Istituzioni, metodi, proposte formative, a cura di R. Sani, Torino 2008, pp. 31, 377, 453. Cfr. inoltre T. Pendola, Commemoraz. del p. E.L. M. delle Scuole pie, Siena 1881; F. Bonatelli, Elogio funebre del cav. prof. E. M. s. p., Padova 1882; E. Taglialatela, L’educazione romana, in L’educazione secondo gli scrittori latini, cit., I, pp. 1-37; F. De Vivo, L’insegnamento della pedagogia nell’Università di Padova durante il XIX secolo, Trieste 1983, pp. 48-51; G. Landucci, L’occhio e la mente. Scienze e filosofia nell’Italia del secondo Ottocento, Firenze 1987, pp. 208-217; F. De Vivo, E. M., pedagogista, in Enc. pedagogica, IV, Brescia 1990, coll. 7692-7694; A. Gaudio, Educazione e scuola nella Toscana dell’Ottocento. Dalla Restaurazione alla caduta della Destra, Brescia 2001, pp. 93, 289.
M. Moretti