Abstract
Vengono esaminate la natura e la struttura della procedura ad evidenza pubblica, con riferimento particolare alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni. Si afferma la sussistenza delle regole dell’evidenza pubblica anche nella fase dell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, durante le quali l’amministrazione continua a perseguire l’interesse pubblico. La fase di gara, inoltre, presenta dei punti di contiguità con la fase negoziale che ne scaturisce: questo, ad esempio, si può constatare nei rapporti fra provvedimento di revoca dell’aggiudicazione definitiva e responsabilità precontrattuale, ovvero nella revoca dell’aggiudicazione invece dell’applicazione dell’istituto di matrice civilistica del recesso. La chiave di lettura risiede nel principio di specialità positivizzato dal Codice dei contratti pubblici.
Nei trattati e nei manuali della dottrina di scienza del diritto amministrativo gli istituti relativi alla partecipazione del privato cittadino durante l’esercizio del pubblico potere e al principio della trasparenza amministrativa compaiono solo dall’ultimo trentennio del novecento; infatti nei tradizionali scritti amministrativistici dopo le nozioni sulle norme nel diritto pubblico seguivano analisi e considerazioni sui rapporti, sui soggetti e sui beni; seguivano poi le classificazioni degli atti amministrativi, dei vizi di legittimità e dei conseguenti ricorsi: la voce “procedimento amministrativo” era ridotta nello spazio di un paragrafo, compreso fra le parallele voci di capacità, causa, forma e fatti materiali dell’autorità amministrativa (intendendo cioè con tale locuzione la responsabilità amministrativa). Nel corso degli anni la trasparenza amministrativa da valore etico e da principio direttamente applicabile dal diritto europeo ha assunto la natura di bene giuridico strumentale: si pensi, ad esempio, all’attuale funzione della trasparenza amministrativa per l’anticorruzione (d.lgs. 14.3.2013, n. 33). In questa linea evolutiva della trasparenza dell’azione amministrativa si inquadra, quale principio fondamentale dell’amministrazione pubblica e principio di materia, la cd. evidenza pubblica.
Evidenza pubblica è un'espressione che venne utilizzata la prima volta da Massimo Severo Giannini (Diritto amministrativo, II ed., Milano, 1988, II , 797 ss.) per indicare le procedure di gara finalizzate alla scelta di un contraente da parte della pubblica amministrazione nel rispetto delle regole pubblicistiche e delle norme di azione che sovrintendono, garantiscono e regolamentano il corretto esercizio del potere pubblico. All’ombra degli elementi che compongono il fenomeno processuale – specie quello penale – (Cordero, F., Procedura penale, IX ed., Milano 2012, 5 ss.), anche il procedimento amministrativo è composto dalla manifestazione del potere pubblico, dal rito, dallo spettacolo e dal giudizio. Evolvendo culturalmente, allo spettacolo ( del tutto assente ab ovo nei modelli inquisitori sia dei processi, sia dei procedimenti ( si sostituisce la partecipazione, la trasparenza dell’agire del potere pubblico; trasparenza ed esercizio del potere rivolti entrambi al cittadino.
Ovviamente, l'evidenza pubblica riguarda tutta l'attività contrattuale della pubblica amministrazione, la quale rientra nella competenza statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, co. 2, lett. e, Cost.), così come indicato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 401/2007.
L'attività contrattuale in generale della pubblica amministrazione può essere classificata in tipologie di negozi giuridici delineate da inverse direzioni vettoriali: infatti, sono definiti contratti attivi quei contratti dai quali l'amministrazione riceve la prestazione economica a favore (si pensi, ad esempio, ai contratti di locazione), mentre sono passivi quei contratti per i quali l'amministrazione è tenuta al pagamento in quanto obbligazione sorta dal negozio; tra questi ultimi sono ascrivibili, tra gli altri, i contratti d'appalto e di concessione (di lavori o servizi) per i quali vige la normativa speciale contenuta nel d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) e nel Regolamento che ne dà esecuzione d'attuazione, cioè il d.P.R. 5.10.2010, n. 207; l'evidenza pubblica per i contratti diversi da quelli che sono già oggetto della disciplina del Codice dei contratti seguono le regole dell'evidenza pubblica contenute nel R.d. n. 2440 del 1923 e nel R.d. n. 827 del 1924. Altro esempio ascrivibile a tale ultima categoria di contratti è la cd. locazione passiva, che è stata, tra l'altro, oggetto già di disposizione nel d.l. 6.7.2012, n. 95, conv. in l. 7.8.2012, n. 135 e della circolare n. 2 del Ministero dell'economia e delle finanze del 5.2.2013, n. 10486 (p. 21 ss.), in cui si fa riferimento alla riduzione dei canoni di locazione a decorrere dal 1 gennaio 2005 fino al 15% di quanto attualmente corrisposto; tale ultima disposizione vale per tutte le amministrazioni pubbliche centrali, cioè quelle ricomprese nella prima parte dell'elenco Istat e come tali inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione.
Anche le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti di natura pubblicistica operano mediante un'attività negoziale: laddove la pubblica amministrazione abbia stipulato un contratto, essa opera in una situazione di parità con la controparte privata venendo a costituirsi posizioni giuridiche soggettive attive, quali sono i diritti di credito nascenti dal contratto, ascrivibili com'è noto nella più vasta categoria dei diritti soggettivi. Ai diritti di credito corrispondono le relative obbligazioni specie nei contratti sinallagmatici, categoria quest'ultima nella quale si inseriscono i contratti di appalto pubblico di lavori, di servizi e di forniture. Ma, come di recente ha precisato l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 20 giugno 2014, n.14, questa parità nel contratto tra amministrazione e privato è affievolita tendenzialmente; infatti, esistono norme prima di tutto pubblicistiche dal carattere speciale che si applicano alla pubblica amministrazione anche nella fase contrattuale e quindi trovano regime solo in via integrativa le norme di diritto privato: tanto è prescritto dall'art. 2, co. 4, d.lgs. n. 163/2006.
Ora, tale specialità non si riscontra solamente nei riguardi della fase dell’esecuzione contrattuale, ma anche nel precedente momento selettivo dell’evidenza pubblica: l’art. 2 del Codice dei contratti pubblici, al comma 4, positivizza per la prima volta il principio di specialità (quale principio dell’ordinamento), e, al comma 3, esprime lo stesso principio di specialità nella veste di principio di materia: infatti stabilisce che le regole del procedimento di gara ad evidenza pubblica siano norme speciali e quindi derogatorie rispetto alla l. 7.8.1990, n. 241. In altri termini si tratta, allora, di un principio di specialità di doppio grado che investe sia i rapporti fra diritto pubblico e diritto civile (come è noto, infatti, l’art.1, co. 1-bis della legge sul procedimento amministrativo stabilisce che la pubblica amministrazione nell'adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato, inserendo la clausola «salvo che la legge disponga diversamente»; in quest'ultima è da ascriversi in pieno la deroga in quanto specialità prevista espressamente dal Codice dei contratti pubblici), sia la dialettica interna allo stesso regime pubblicistico del procedimento amministrativo.
Il procedimento ad evidenza pubblica deve per ciò stesso essere sottoposto alla conoscibilità, alla trasparenza, alla procedimentalizzazione, quest’ultima intesa come bene giuridico a garanzia della correttezza e della liceità del comportamento, infatti agire secondo schemi obiettivi e conoscibili a-priori è altresì efficace strumento di tutela della concorrenzialità, della par condicio, dell’imparzialità dell’esercizio del potere pubblico e offre certezze. Il procedimento ad evidenza pubblica presuppone l’obbligo di pubblicità, in quanto l'amministrazione in ogni sua azione, anche nella scelta del contraente privato, deve sempre indicare qual è l'interesse pubblico che si persegue e per il quale viene speso il denaro pubblico.
L'evidenza pubblica è un procedimento amministrativo complesso che viene a fondarsi su due grandi momenti contigui: la fase pubblicistica (i.e. evidenza pubblica in senso stretto) finalizzata all'individuazione del contraente privato con il quale l'amministrazione stipulerà il contratto, e la fase dell’esecuzione contrattuale (disciplinata in primis dalle norme speciali pubblicistiche – evidenza pubblica in senso ampio – e in via integrativa dalle regole civilistiche).
Due cardini compongono, a loro volta, la fase della gara d'evidenza pubblica: l'intento di contrarre, che viene reso manifesto dall'amministrazione mediante la delibera o la determina a contrarre (sono provvedimenti di esternalizzazione di quest'intenzione di scegliere un contraente mediante la gara per la realizzazione di un'opera, la prestazione di un servizio, la fornitura di un bene).Ovviamente la scelta dell'opera, del servizio e della fornitura è fissata mediante una programmazione triennale, annualmente aggiornata, con eccezione logica delle urgenze e delle particolari tipologie di lavorazioni quali sono, ad esempio, le manutenzioni, improntate su un carattere di straordinarietà e quindi di imprevedibilità.
La seconda struttura dell'evidenza pubblica è la scelta del contraente nella quale si ascrivono le procedure aperta, ristretta e negoziata, i criteri di aggiudicazione (prezzo più basso od offerta economicamente più vantaggiosa), il momento della formazione del consenso che ha inizio dal momento della aggiudicazione provvisoria (cioè da quando la commissione giudicatrice ha stilato la graduatoria a valle del giudizio valutativo esperito) e che dovrà essere cristallizzato con un provvedimento di aggiudicazione definitiva dall'organo deliberante dell'amministrazione, sino a giungere, infine, ai riscontri dei requisiti dichiarati in gara da parte dell'aggiudicatario e all’acquisizione dell’efficacia da parte del provvedimento aggiudicatorio. Le trattative e l’eventuale responsabilità precontrattuale si innesteranno nel procedimento di gara ad evidenza pubblica pur essendo istituti di matrice civilistica, ma solo nella fase interna al momento della scelta del contraente che è quella della formazione del consenso, cioè dall'aggiudicazione fino alla stipula.
In conclusione di tali prime riflessioni sull'evidenza pubblica è da segnalare come questa sorta di connubio tra il momento della gara e il momento dell'esecuzione possano comportare degli effetti derivanti dai vizi di legittimità del provvedimento amministrativo aggiudicatorio, che si ripercuotono sul contratto stipulato a seguito della gara: sul punto operano oggi sia la competenza del giudice amministrativo in via esclusiva – art. 133, co. 1, lett. a), c.p.a. – sia gli artt. 120-125 c.p.a. in riferimento alla caducazione del contratto a valle di una aggiudicazione di gara annullata dal giudice amministrativo. Dunque, talvolta i vizi di legittimità possono anche comportare l'invalidità del contratto; in altri termini, i vizi di legittimità che riguardano l'atto e il provvedimento amministrativo possono essere anche i motivi di invalidità radicale del contratto: si pensi alla insussistenza di requisiti generali e alla eventuale stipula del contratto che avvenga in violazione dell'art. 38 del Codice dei contratti pubblici, il quale, al comma 1, sancisce quale norma imperativa il divieto di stipulare contratti con i soggetti ricadenti anche in una sola delle cause ostative.
Diventa interessante verificare come i procedimenti per atti strumentali, sub-procedimentali ed incidentali elaborati dalla dottrina (in particolare, v. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, cit., 647), possano avere delle attuali rispondenze nell'evidenza pubblica per i contratti d'appalto e di concessione.
Al di là delle cosiddette irregolarità formali che non sono capaci di comportare l'annullamento o l’annullabilità del provvedimento, ad oggi non sembrano sussistere quelli che in generale la dottrina aveva chiamato atti neutri (infatti già Giannini segnalava, prima del 1990, che quando l'amministrazione agisce come soggetto di diritto pubblico gli atti in realtà diventano atti del procedimento o atti strumentali che hanno la soggezione intera alla disciplina procedimentale); si può dire, allora, che solo i procedimenti strumentali tendono ad assorbire gli atti neutri e sono legati rispetto al procedimento cosiddetto principale: questo sta a significare che anche all'interno di un procedimento ad evidenza pubblica, un eventuale parere o una proposta di un altro ente pubblico sono a loro volta procedimenti per atti strumentali rispetto al procedimento principale, rilevando per via indiretta gli eventuali vizi procedimentali nel procedimento principale (sempre che non siano ritenuti questi delle mere irregolarità rientrando quindi nella già menzionata ipotesi della neutralità).
L'ulteriore categoria elaborata dalla dottrina del Giannini è quella dei cosiddetti subprocedimenti, cioè dei procedimenti che non vivono di vita autonoma ma che sono funzionali al procedimento principale; infatti questi subprocedimenti sono «parti organicamente concluse» (Giannini, M.S., Diritto amministrativo, op. cit., p. 648) che suddividono un procedimento; i subprocedimenti sono assoggettati alle regole generali del procedimento ed è per questo che non sono suscettibili di un’autonoma impugnativa ma il loro vizio si riverbera sul vizio della decisione del provvedimento generale; nell'evidenza pubblica ipotesi di sub-procedimenti sono la verifica di congruità delle offerte anormalmente basse (in essa opera sempre il responsabile del procedimento), e la verifica dell'eventuale sussistenza di ipotesi di controllo o collegamento ai sensi dell'art. 2359 c.c. che abbia determinato la mancanza della genuinità delle offerte.
Un'ultima categoria espressa dalla dottrina è quella dei procedimenti incidentali che sono svincolati dal procedimento principale e si svolgono secondo propri ritmi e regole. Ci si può domandare quale sia il confine tra l'annullamento d'ufficio e i provvedimenti incidentali, fermo restando che l’autotutela ha ad oggetto provvedimenti emanati a valle di un procedimento amministrativo concluso. Con riferimento ai subprocedimenti si avrebbe una certa continuità tra i procedimenti incidentali e quelli di annullamento in autotutela là dove: 1) il procedimento incidentale venisse mosso d'ufficio da un'autorità sovraordinata, 2) riguardasse un subprocedimento nel contesto di un procedimento generale, 3) annullasse le risultanze del subprocedimento. Allora in questa ipotesi l'annullamento ex officio potrebbe pur coincidere con la categoria dei procedimenti incidentali. Ad esempio, si immagini che intervenga d'ufficio l'organo deliberante dell'amministrazione perché consideri viziato il giudizio compiuto nella verifica di congruità, e intervenga prima ancora che la commissione giudicatrice provveda.
Esistono due tipologie di interessi diametralmente opposte facenti capo all'operatore economico; la prima tipologia di interesse è qualificata come interesse positivo e corrisponde alla istanza risarcitoria, quindi all'azione di condanna che l'operatore economico muove nei confronti dell'amministrazione a valle di un provvedimento viziato di illegittimità. L'interesse positivo coincide con l'istanza risarcitoria nella forma dell'equivalenza (comprendente le voci di: lucro cessante, danno emergente e il danno curriculare). Simmetricamente, sussiste l'interesse cd. negativo che si fonda sul diritto a che un soggetto non venga coinvolto in trattative inutili; l'interesse negativo pertanto è l'humus sul quale si fonda la cd. responsabilità precontrattuale, la quale, prevista e alimentata nella sfera civilistica, sussiste altresì nella sfera pubblicistica ed è un preciso istituto applicabile nella fase finale della gara ad evidenza pubblica. Quindi come si può notare nella gara d'evidenza pubblica è applicabile addirittura un istituto di matrice civilistica (art. 1337 c.c.) che si viene incastonare in quel procedimento di gara, il quale a sua volta configura una normativa speciale rispetto alla l. n. 241/1990. Affinché si possa configurare la responsabilità precontrattuale in una gara d'appalto deve essere stato emanato il provvedimento di aggiudicazione; quindi la sfera dell'interesse negativo viene a sussistere solo dopo l'emanazione del provvedimento, in quella fase, perciò, centrale come importanza e terminale sotto il punto di vista cronologico.
La responsabilità precontrattuale presuppone una scorrettezza comportamentale della pubblica amministrazione, non una illegittimità provvedimentale; è in questa fase fondamentale della gara ad evidenza pubblica che vengono ad innestarsi potenzialmente diversi istituti. Infatti, oltre alla responsabilità precontrattuale può benissimo presentarsi un provvedimento amministrativo di revoca dell'aggiudicazione disposta.
Quindi si può dire che il risarcimento del danno della pubblica amministrazione sussiste nell'ipotesi della responsabilità precontrattuale anche quando l'amministrazione medesima non abbia emanato un provvedimento illegittimo (come, ad esempio, la revoca esperita, però, in ritardo rispetto le situazioni di fatto che l’hanno determinata: ad es., perdita del finanziamento dell’amministrazione ma in un tempo antecedente all’aggiudicazione avvenuta). Visto dal piano processuale, il medesimo paradigma logico si riflette nella considerazione per cui un’azione di condanna non consegue sempre e unicamente da un'azione demolitoria, ma ben può sussistere in via autonoma anche in presenza di un provvedimento legittimo: ed è qui che si affaccia lo schema concettuale che sostiene l'art. 30 del d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) in cui si afferma l'autonomia dell'azione di condanna rispetto all'azione di annullamento. È naturale che, ai sensi dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990, la revoca del provvedimento comporta l'obbligo di indennizzo al privato: non si può parlare di risarcimento del danno, che invece consegue a un atto illegittimo perché deviato rispetto al paradigma legale che ha attribuito il potere all'amministrazione medesima. L’indennizzo, come è noto, sotto il profilo della quantità e della qualificazione sostanziale dell'istituto copre solo il danno emergente, mentre il risarcimento del danno copre anche il lucro cessante. Alla luce di tutto questo non è nemmeno da sottovalutare il fatto, a proposito della quantificazione, che l'interesse negativo (che è l'espressione del risarcimento da responsabilità precontrattuale), può, in talune ipotesi, anche essere un maggior danno rispetto all'interesse positivo.
È da sottolineare un recente intervento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in particolare la sentenza 20.6.2014, n. 14 la quale codifica un principio di diritto importantissimo: si è detto infatti che il contratto ad evidenza pubblica, come già sottolineava Massimo Severo Giannini (Diritto amministrativo, cit., 797 ss.) «consti infatti di due procedimenti paralleli: l'uno è il procedimento di formazione della volontà contrattuale quale disciplinato con alcune varianti dalle norme di diritto privato; l'altro è un procedimento amministrativo che si sviluppa tra l'autorità che intende concludere e/o ha concluso il contratto e l'autorità che su di essa esercita il controllo». I due procedimenti si svolgono parallelamente: sono le due macro fasi – delle quali si è già detto – che consistono nella gara ad evidenza pubblica e nell'esecuzione della prestazione contrattuale. Ebbene, durante l'esecuzione dell'appalto, là dove sopraggiungano motivi legati all'interesse pubblico che facciano ritenere alla committenza pubblica la mancanza del proseguimento dell'interesse ad avere quell'opera pubblica quel servizio quella fornitura, è possibile per la committenza pubblica applicare l'istituto del recesso. Ma in particolare, e solo per i lavori pubblici, esiste una norma speciale contenuta nel Codice dei contratti: si tratta dell'art. 134 che è una norma sui generis, poiché, a differenza del recesso regolato dal codice civile prevede il pagamento, oltre che dell’eseguito dall'appaltatore, anche del 10% dei quattro quinti del non eseguito. Si è posto il problema in giurisprudenza – ed è in questo ambito che interviene l'adunanza plenaria citata – se l'amministrazione appaltante invece di operare nell'ambito dei lavori pubblici con l’istituto del recesso possa operare con il provvedimento di revoca dell'aggiudicazione dell'appalto, con conseguente caducazione del negozio giuridico che è stato stipulato valle di quell'aggiudicazione; in altri termini, ci si è domandato se la stazione appaltante – alla luce dell'interesse pubblico e della mutazione della situazione fattuale di riferimento – possa o meno operare con l’art 21 quinquies della l. n. 241/1990 corrispondendo all'appaltatore l'indennizzo di revoca e riconoscendo la matematica caducazione del contratto per effetto della precedente revoca, ovvero debba operare mediante l'istituto del recesso così come previsto dall'art. 134 del Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio di Stato (sez. V) ha rimesso il tutto all'Adunanza Plenaria sulla base di una serie di considerazioni che ha svolto partendo dal quadro normativo; in particolare, chiedendo di individuare la linea di demarcazione tra l'ipotesi dell’art. 21 quinquies (revoca) rispetto della previsione dell'articolo 21 sexies della l. n. 241/1990 in cui è affermata la possibilità del recesso unilaterale dai contratti della pubblica limitazione nei casi previsti dalla legge o dal contratto. Come abbinare, poi, l’ipotesi del 21 sexies con l'ipotesi dell'art. 134 del Codice dei contratti pubblici? Ovviamente, l'Adunanza Plenaria ripercorre tutta la giurisprudenza formatasi sul punto e, a valle di tutto, fissa un chiaro orientamento: alla luce del fatto che sussiste dopo la stipula del contratto il vincolo del sinallagma – che nasce con l’atto distinto e separato della stipulazione rispetto a quella che è l’aggiudicazione-provvedimento – e considerato che dare attuazione a un rapporto negoziale significa riconoscere un carattere privatistico, è stato ritenuto che, intervenuta la stipulazione del contratto ad evidenza pubblica, l’amministrazione non possa esercitare il potere di revoca, ma debba agire attraverso il recesso. In altri termini, l’Adunanza Plenaria ha affermato il principio di diritto, che a ben vedere è espressone del principio di specialità ex art. 2, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, secondo il quale nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del D.lgs. n. 163/2006.
Questa sorta di vibrazioni di categorie e di effetti logico-giuridici si rinvengono nell’alveo dell’evidenza pubblica, tanto della gara quanto dell’esecuzione della prestazione.
D.lgs. 12.4.2006, n. 163; R.d. 18.11.1923, n. 2440; R.d. 23.5.1924, n. 827; d.P.R. 5.10.2010, n. 207.
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