EVIDENZA
. Il concetto dell'evidenza si potrebbe definire come il criterio della verità intermedio tra quello oggettivistico dell'adeguazione al reale (adaequatio rei et intellectus) e quello soggettivistico della certezza. Esso non concerne infatti, da un lato, quella eonoscenza di sé che è il vero campo della certezza, né, d'altro lato, garantisce la verità della singola conoscenza obiettiva in forza di una constatazione della sua coincidenza con la realtà che si può presumere la condizioni: bensì persuade della verità d'un contenuto conoscitivo solo in forza d'una chiarezza, d'una coerenza da esso direttamente posseduta. S'intende così come il creatore del criterio dell'evidenza sia stato propriamente Epicuro, che, non accettando il criterio oggettivistico della verità implicito nella logica stoica dell'assenso, per non cadere nelle difficoltà che contro di esso sollevava la critica scettica, parlava invece di una ἐνάργεια, di un'evidenza immediata che possedevano in sé i fenomeni (ϕαντασίαι) a cui convenisse assentire. E così, più tardi, il concetto dell'evidenza tornava ad aver gran peso nella gnoseologia del Descartes, che, riprendendo la critica scettica intorno al criterio della verità e riuscendo a superarla, mediante il motivo agostiniano della certezza, solo nel ristretto campo della conoscenza di sé, era costretto, nei riguardi delle conoscenze oggettive, a ricorrere a quel criterio dell'evidenza delle idées claires et distinctes, in cui si continuava in realtà (attraverso la fede nella fondamentale veridicità delle nostre funzioni conoscitive in quanto create da Dio) l'antico motivo, parimenti agostiniano, della rivelazione.