EVO-DEVO
– Acronimo di Evolutionary developmental biology («biologia evolutiva dello sviluppo»), costituisce una nuova branca della biologia contemporanea nella quale confluiscono teorie evolutive, filogenesi, embriologia e genetica molecolare. Tale disciplina verifica in chiave evolutiva la struttura e le funzioni del genoma, analizzando il rapporto tra lo sviluppo embrionale e fetale di un organismo (ontogenesi) e l'evoluzione della popolazione cui tale organismo appartiene (filogenesi). Principio fondante dell'EVO-DEVO è che le mutazioni a carico dei geni coinvolti nel controllo e nella regolazione dello sviluppo embrionale, provocando una riprogrammazione cellulare, possono originare caratteri inediti (nuove strutture o nuove vie metaboliche) nell'adulto, il quale potrà trasmettere tali caratteri alle generazioni successive. In questo modo, i nuovi caratteri inizieranno il loro percorso evolutivo all'interno di una popolazione e saranno anche l'origine della biodiversità. La teoria dell'EVO-DEVO e quella dell'evoluzione per selezione naturale non sono in opposizione tra di loro, ma piuttosto si integrano: l'EVO-DEVO sottolinea l'importanza di mutazioni che modificano la regolazione dello sviluppo, con questo spiegando anche i caratteri non adattativi che possono trovarsi in una popolazione; la selezione agisce come un meccanismo di controllo sulle variazioni casuali che si presentano in una popolazione.
Fondamenti genetici. ‒ In base agli studi di genomica, è noto che i genomi sono ridondanti, modulari e soggetti a rimaneggiamento e rimodellamento (turnover genomico). Questa plasticità è assicurata da fenomeni come la trasposizione (spostamenti di materiale all'interno del genoma), la conversione genica (un gene può trasformarsi in un altro gene), il crossing-over ineguale (il materiale genetico può dividersi in modo ineguale tra le cellule durante la meiosi), ecc.; inoltre, anche gli stimoli ambientali possono interagire con il genoma, determinando una risposta. Il turnover genomico può essere causa di mutazioni spontanee. D'altra parte, poiché è noto che nel corso dell’evoluzione i cambiamenti morfologici e le divergenze biologiche presentano un alto grado di conservazione dei moduli genetici che li producono, se ne deduce che i meccanismi preposti alla regolazione dell’espressione genica e alla composizione del genoma sono coinvolti nei processi evolutivi. I geni sono estremamente stabili, anche se si prendono in considerazione specie diversissime tra di loro. Un esempio classico è quello della classe dei geni Hox, i quali funzionano da interruttori generali capaci di attivare gruppi di altri geni responsabili dello sviluppo di specifiche parti del corpo di un animale. Tutte le specie hanno ereditato i geni Hox da un antenato comune ed essi mantengono una disposizione, nel tempo (come momento di attivazione) e nello spazio (come posizione sul cromosoma), che è correlata tra le varie specie. La genomica comparata ha dimostrato che esiste una grande conservazione di intere famiglie geniche, piuttosto che geni diversi tra i diversi organismi. Appare quindi chiaro che la diversità tra gli organismi è regolata dalla diversa espressione dei loro geni, piuttosto che dalla presenza di geni diversi. Al riguardo, è importante conoscere la composizione e il significato funzionale di quella parte del DNA detto junk DNA («DNA spazzatura»). Si tratta della maggior parte del DNA di un genoma e un tempo era ritenuto inattivo (da qui il soprannome). Studi recenti (v. ) indicano però che nel junk DNA sono contenute sequenze che regolano l'attività di altri geni.