Evoluzione. Adattamento genetico
L'evoluzione della vita si manifesta in due forme distinte, attraverso la biodiversità e attraverso l'adattamento biologico. A tutta prima, l'esistenza dell'adattamento sembra facilmente dimostrabile osservando sia le strutture sia il funzionamento di animali, piante e altri tipi di organismi, ma in realtà non è così. Gli evoluzionisti moderni, infatti, distinguono opportunamente tra caratteri adattativi direttamente frutto della selezione naturale e caratteri con funzioni solo secondariamente adattative. La nozione di 'adattamento', imparentata con i concetti di genotipo, fenotipo, variazione dei caratteri, ambiente, selezione, fitness, è entrata in biologia ben prima che fosse elaborata la teoria dell'evoluzione, portando con sé significati garantiti solo dal senso comune, su cui furono spesso fondate visioni del mondo vivente del tutto estranee alla conoscenza scientifica della natura, quando non in contrasto con essa. L'esistenza dell'adattamento era infatti pienamente riconosciuta dai creazionisti, i quali, anzi, proprio nell'adattamento e nel finalismo radicavano la propria visione provvidenzialistica della natura vivente. Nonostante le difficoltà collegate all'analisi scientifica dei fenomeni adattativi, la centralità della nozione di adattamento nella moderna biologia resta immutata per la sua enorme, ineguagliata capacità di riunire un'immensa ed eterogenea raccolta di dati osservativi e sperimentali servendosi di un unico principio esplicativo: il principio di selezione.
Gli adattamenti possono essere studiati nella loro dinamica processuale oppure quando già avvenuti. L'adattamento è perciò definibile diacronicamente come 'una reazione favorevole di un soggetto esposto al cambiamento di un fattore ecologico' e sincronicamente come 'stato di congruità tra organismo e ambiente'. Questa differenza tra processo e configurazione è di grande importanza dato che le cause che hanno originato un adattamento evolutivo non necessariamente agiscono ancora quando se ne osservano gli effetti.
Assolutamente decisiva è poi la distinzione relativa al soggetto che si adatta: potrà essere un individuo oppure una popolazione. Nel primo caso si avranno adattamenti eco-fisiologici ottenuti attraverso cambiamenti fenotipici, non trasmissibili alla progenie, solitamente quantitativi e reversibili; nel secondo caso si tratterà di adattamenti genetico-evolutivi ottenuti per cambiamenti della costituzione genetica della popolazione, trasmissibili alla progenie, qualitativi e solitamente irreversibili. Gli adattamenti possono manifestarsi su scala micro- o macroevolutiva, con la differenza che mentre i meccanismi sottostanti gli adattamenti microevolutivi sono indagabili sperimentalmente, la dinamica degli adattamenti macroevolutivi è ricostruibile solo in via ipotetica e inferenzialmente. Inoltre gli adattamenti macroevolutivi sono di norma irreversibili, hanno cause molteplici e complesse e coinvolgono i processi di sviluppo su tempi lunghi. La biologia non possiede una definizione chiara e univoca di adattamento. Il termine viene applicato ad almeno tre distinti tipi di fenomeni: (a) il processo inerente tutti i viventi, che comporta l'aggiustamento, performato individualmente, di caratteristiche fisiologiche, morfologiche, etologiche in accordo con l'ambiente di vita (adattamento come risposta indotta da un fattore ecologico); (b) lo stato con cui un carattere geneticamente determinato si manifesta e che in un certo contesto conferisce un vantaggio al suo portatore rispetto ad altri individui portatori di stati alternativi del carattere (adattamento come evoluzione selettiva di un polimorfismo genetico in una popolazione); (c) il possesso di strutture complesse, ereditate filogeneticamente, che permettono lo svolgimento di funzioni di livello elevato (per es., i macroscopici adattamenti di differenti specie di animali acquatici al nuoto). Nell'adattamento macroevolutivo, che è di norma irreversibile e multifattoriale, sono coinvolti i processi di sviluppo su tempi lunghi.
Mentre sembrava ovvio agli studiosi di storia naturale come anche ai teologi, ai darwiniani come agli antidarwiniani, che gli organismi fossero fortemente adattati al mondo e gli uni agli altri, serie difficoltà si presentarono a un attento esame del concetto di adattamento. In primo luogo, l'idea di adattamento implica sempre che vi sia una forma, intesa come condizione effettiva o come ideale preesistente, in virtù della quale un oggetto possa essere inserito in un tutto armonico: senza un ideale preesistente del genere non ci può essere adattamento. Così, una chiave che non entra in una serratura può esservi adattata con un'accurata limatura, o un apparecchio elettrico fabbricato per funzionare a un determinato voltaggio può essere reso idoneo, mediante un trasformatore, a funzionare a un altro voltaggio. Per i prodotti del lavoro umano non è difficile stabilire la condizione preesistente alla quale un oggetto deve essere adattato. Similmente, quando si riteneva che il mondo naturale fosse la creazione preordinata di un artefice supremo, appariva ovvio che i pesci fossero stati fatti per nuotare nel mare e gli uccelli per volare nell'aria: cioè, che l'Universo fisico fosse stato creato per primo e fosse stato successivamente popolato con organismi che fossero in armonia con esso.
Nella biologia moderna questo aspetto riappare nel concetto di 'nicchia ecologica' come modo di prefabbricare un posto adatto alla vita, che può essere occupato o no da una specie esistente. Secondo questo punto di vista, l'evoluzione è un processo che produce nuove specie adatte a nicchie ecologiche non occupate precedentemente. La selezione naturale è considerata un agente che adatta le nuove specie alla nicchia preesistente, come la chiave viene successivamente adattata alla serratura. Una difficoltà di questo approccio è costituita dal fatto che gli organismi in ogni momento della loro storia evolutiva devono occupare qualche nicchia ecologica, in modo che in ogni momento la specie sia adattata a un ambiente: se così non fosse, si estinguerebbe. Così, l'evoluzione sarebbe un processo che cambia l'adattamento di una specie da una nicchia prestabilita a un'altra, o che scinde una specie, che era adattata a una nicchia, in numerose specie, ognuna con il suo nuovo adattamento; ma in nessun senso essa può essere considerata in grado di adattare una forma precedentemente non adattata.
Un diverso modo di concepire la è quello per cui essa può essere definita in maniera appropriata solo da un organismo che la occupa, così che il concetto di 'nicchia non occupata' diviene un controsenso. Secondo questo punto di vista, i modi in cui la mente umana può suddividere l'Universo sono infinitamente numerosi ed è un puro pregiudizio scegliere alcuni di questi come nicchie ecologiche reali alle quali l'evoluzione possa adattare o meno alcune specie. Questa definizione esistenziale di nicchia ecologica rende privo di significato il concetto di adattamento dal momento che non c'è niente a cui adattarsi. Le specie cominciano a esistere, cambiano, si estinguono: è tutto. Niente della loro storia può essere ricostruito dal loro stato di adattamento.
Quando si passa dalla questione dell'adattamento come modo di essere delle specie al concetto di adattamenti specifici come meccanismi particolari, sorgono altri problemi. Ogni singola struttura sarà il risultato di molti processi differenti, i quali non possono essere considerati tutti come funzioni adattative. Così, il becco forte e aguzzo del pappagallo è generalmente considerato come un adattamento per la nutrizione, benché incidentalmente esso possa essere usato per infliggere dei morsi dolorosi. Neppure l'uso regolare di una struttura è sufficiente per capire la sua funzione adattativa. Le pinne frontali della tartaruga verde (Chelonia mydas) sono usate per far muovere l'animale sopra la sabbia asciutta verso un posto adatto per deporre le uova, ma nessuno che abbia assistito a questo laborioso spettacolo potrà considerare le pinne come adattamenti per la locomozione sopra un terreno asciutto. Nel caso di forme conosciute solo attraverso i fossili, ci sono delle reali ambiguità. La larga 'pinna' dorsale dei Pelicosauri era un adattamento per la regolazione del calore o per la manifestazione di aggressività o per l'attrazione sessuale? In realtà, il possesso della pinna potrebbe aver dato origine a tutte e tre le conseguenze. Talvolta alcune strutture o schemi di comportamento vengono considerati come adattamenti per particolari funzioni se la sopravvivenza dell'organismo o della specie dipende dalla loro esistenza. I polmoni sono un adattamento per la respirazione nei grandi animali terrestri poiché, presumibilmente, nessun grande mammifero terrestre avrebbe potuto sopravvivere senza di essi. Ciò nonostante, un simile criterio in realtà è troppo rigoroso e molti adattamenti non supererebbero test di questo genere. In primo luogo non è affatto sicuro che la mancanza della maggior parte degli adattamenti sarebbe stata fatale: nell'accezione corrente del termine le pinne sono un adattamento al nuoto, eppure i serpenti di mare e le anguille se la cavano benissimo senza di esse. Come ha fatto notare George C. Williams, la pelliccia bianca dell'orso polare è un vantaggio per potersi nascondere nella neve, ma non si può affermare che la specie non sarebbe sopravvissuta se il suo mantello fosse stato scuro.
In secondo luogo, la presenza o l'assenza di un comportamento o di una struttura non sono gli unici stati possibili. Charles Darwin scelse l'occhio dei Vertebrati come un esempio di organo di estrema perfezione, eppure ammise che recettori luminosi meno complessi costituivano altrettanti adattamenti per i loro possessori. L'adattabilità di tutte le forme intermedie di recettori luminosi in tutto il regno animale rappresentava, in effetti, un'asserzione cruciale per Darwin dato che, senza di essa, non avrebbe potuto sostenere che l'evoluzione dell'occhio dei Vertebrati era avvenuta con piccoli cambiamenti in tempi successivi. Il paradosso della posizione darwiniana era rappresentato dal fatto che, mentre ogni stadio dello sviluppo dell'occhio dei Vertebrati costituiva un adattamento sufficiente per l'animale, durante l'evoluzione doveva esserci stato anche un orientamento verso la 'perfezione' dell'occhio. La soluzione del paradosso risiedeva nel meccanismo della selezione naturale che operava per mezzo di differenze nell'adattamento relativo tra forme in competizione.
Dal momento che la conseguenza del processo evoluzionistico non definisce, di per sé, un adattamento, si torna nuovamente alla natura a priori del concetto. Un carattere viene considerato un adattamento se un'analisi razionale mostra che esso è, in un certo senso, la soluzione di un dato problema funzionale; più precisamente, si considera che un carattere sia più adatto di un altro se risponde maggiormente alle richieste di una macchina progettata per una particolare funzione. Su questa base si sostiene che la forma delle spugne è un adattamento per la nutrizione, perché essa aumenta al massimo il volume di acqua filtrabile permettendo il passaggio di microplancton. Se la forma attuale delle spugne fosse differente da quella ottimale, ma molto vicina a essa, sarebbe ancora considerata come un adattamento imperfetto; non è chiaro di quanto la forma delle spugne dovrebbe essere lontana dall'adattabilità perché gli anatomo-ingegneri siano costretti a cercare un'altra spiegazione per giustificare il loro aspetto. Inoltre, il successo di un'analisi di questo tipo dipende dall'insieme delle componenti dell'intera attività vitale dell'organismo considerate come 'problemi' da risolvere. La forma di una spugna può costituire l'adattamento ideale per la nutrizione, ma rappresentare un problema per resistere ai predatori. Di conseguenza, dal momento che la conoscenza di tutti gli aspetti della storia della vita è di solito incompleta, un anatomista può quasi sempre produrre una prova convincente del fatto che un carattere costituisca un adattamento. Il notevole successo di questo tipo di spiegazioni funzionali ha portato qualche evoluzionista ad ammettere che tutti i caratteri sono degli adattamenti, persino quelli di cui non si conosce la storia evolutiva. Finanche uno scettico come Williams, diventato estremamente cauto nell'applicare questo concetto in seguito alla sua penetrante analisi dell'adattamento, fa questa ipotesi: "Trovo che l'assenza di tra gli Uccelli sia quanto mai misteriosa. L'enorme tasso di mortalità tra le uova in molte specie […] suggerisce che un uccello potrebbe trarre un grande beneficio dalla viviparità, anche se la fecondità fosse molto ridotta in modo che il peso dei feti non interferisca seriamente con il volo. […] Forse, gli Uccelli sono privi di un qualche importante preadattamento, che i primi Mammiferi possedevano, per superare gli ostacoli immunologici alla viviparità" (Williams 1966, p. 170).
Questa argomentazione può essere considerata come paradigmatica: individua la viviparità come soluzione al problema della mortalità delle uova, tenendo conto di un effetto collaterale indesiderabile da questa prodotto, l'interferenza con il volo, e infine suggerisce che la mancata evoluzione di questo carattere risieda nella intrinseca mancanza di flessibilità della fisiologia degli Uccelli. Ragionando su queste basi, diventano evidenti le radici intellettuali degli argomenti espressi sull'adattamento. La nozione è stata introdotta nel pensiero biologico a partire dai concetti predarwiniani e pre-evoluzionistici di progetto e di creazione speciale. È l'unica traccia della storia teistica delle idee sull'Universo inserita in uno schema per il resto meccanicistico e materialistico. C'è in questo caso un sorprendente parallelismo con le origini dell'idea della selezione naturale. Darwin iniziò il suo lavoro sull'origine delle specie con una discussione sulle variazioni dovute all'addomesticamento e sul modo in cui la selezione artificiale degli allevatori dava come risultato la stabilizzazione di razze distinte. Per analogia, Darwin voleva stabilire che la variazione tra gli individui nelle popolazioni naturali poteva portare alla formazione di specie distinte, e per spiegare ciò egli postulava la natura come selettore, per quanto cieco e meccanico.
Le espressioni 'selezione naturale' e 'adattamento' sono il risultato di una lunga storia del pensiero. Mentre gli evoluzionisti moderni non credono in un 'divino ingegnere' che risolve le questioni che egli stesso pone, l'interpretazione dei problemi dell'evoluzione come risultato di un processo naturale di adattamento deriva direttamente dalle precedenti teorie teologiche. Se è vero che nelle teorie evoluzionistiche e di formazione delle specie la questione dell'adattamento non è fondamentale, tuttavia la maggior parte degli evoluzionisti guarda all'adattamento come al nodo centrale e non superficiale degli studi sull'evoluzione.
La teoria darwiniana dell'evoluzione attraverso la selezione naturale si basa su tre proposizioni: (a) esiste una variabilità tra gli individui nell'ambito di una specie per ciò che riguarda la morfologia, la fisiologia e il comportamento (principio di variabilità); (b) la variabilità è in parte ereditabile così che il figlio somigli più ai genitori che alla media della popolazione (principio di ereditarietà); (c) forme differenti lasciano un numero diverso di figli nelle generazioni immediatamente successive o in quelle più lontane (principio di selezione naturale). Da queste tre proposizioni deriva che la specie evolverà in modo che le forme con un potenziale riproduttivo minore vengano eventualmente sostituite da quelle che hanno maggiori probabilità di sopravvivere e di riprodursi. Come è stato detto prima, questi tre principî non dicono niente riguardo all'adattamento. Essi asseriscono soltanto che, se in una popolazione esiste una variabilità ereditaria e se, in media, alcune varianti danno una discendenza maggiore delle altre, la popolazione evolverà. Il concetto di adattamento appare solo in un'altra espressione, 'lotta per l'esistenza', che non è essenziale per la dimostrazione di un'evoluzione operata dalla selezione naturale. La lotta per l'esistenza era intesa da Darwin come causa fondamentale della selezione naturale. Rifacendosi a Thomas R. Malthus, Darwin asserì che tutte le specie producono una progenie più numerosa di quella che è in grado di sopravvivere a causa delle limitate risorse di cibo e di spazio. Questi individui combatteranno, allora, gli uni contro gli altri, per le risorse insufficienti e in questa lotta la vittoria andrà di norma a quella forma la cui morfologia e fisiologia saranno meccanicamente più adatte alla lotta. Il corridore più veloce, l'individuo con il metabolismo più efficiente, il più abile, il più forte dei due antagonisti riuscirà ad attingere maggiormente alle limitate risorse, oppure riuscirà ad avere una progenie maggiore e verrà così selezionato. Darwin ampliò il concetto di lotta al di là della sola competizione tra organismi per risorse scarse: "Devo premettere ch'io uso questa espressione 'lotta per l'esistenza' in un senso lato e metaforico […]. Si può affermare con certezza che due Canidi, in un periodo di carestia, lottano l'uno contro l'altro per carpirsi l'alimento necessario alla vita. Ma diremo anche che una pianta al limite del deserto lotta per la vita contro la siccità" (Darwin 1967, p. 132). Estendendo la nozione di lotta fino a includere la dipendenza dai fattori fisici dell'ambiente, Darwin ha liberato la teoria della selezione naturale dalla dipendenza dal meccanismo della sovrappopolazione, dato che la lotta di una pianta per avere l'acqua al limite di un deserto avverrebbe anche in assenza di altri individui. In ambedue i casi la vittoria nella lotta appartiene alla forma che meglio si è adattata, nel senso che la sua morfologia, la sua fisiologia e il suo comportamento danno come risultato diretto un livello di riproduttività più alto.
Tuttavia, qualche volta è stato sostenuto che il principio della selezione naturale è tautologico, in quanto afferma che la forma che più si è adattata sopravvive, e definisce quindi la forma che sopravvive meglio come quella che si è più adattata. Ma in questo caso si confonde il principio di selezione naturale con quello della lotta per la sopravvivenza, che è la causa meccanica della prima. In termini pratici questo significa che il maggior adattamento di una forma rispetto a un'altra, è, almeno in linea di principio, osservabile e misurabile indipendentemente da ogni valutazione di efficienza riproduttiva. Considerando il concetto di adattamento a priori rispetto a quello di selezione naturale e insistendo su una meccanica predizione a priori si evita il circolo vizioso per cui 'quello che è adattato sopravvive meglio e quello che sopravvive meglio è adattato'.
Darwin 1967: Darwin, Charles, L'origine delle specie, Torino, Bollati Boringhieri, 1967 (rist. 2003; ed. orig.: On the origin of species, London, John Murray, 1859).
Leigh 1971: Leigh, Egbert G. jr, Adaptation and diversity, San Francisco, Freeman, Cooper, 1971.
Lewontin 1973: Lewontin, Richard Ch., The genetical basis of evolutionary change, New York-London, Columbia University Press, 1973.
Stern 1970: Stern, Jack T. jr, The meaning of 'adaptation' and its relation to the phenomenon of natural selection, "Evolutionary biology", 4, 1970, pp. 39-66.
Williams 1966: Williams, George C., Adaptation and natural selection, Princeton, Princeton University Press, 1966.