Evoluzione culturale
Con l'espressione 'evoluzione culturale' si intendono comunemente i mutamenti nelle attività culturali, il patrimonio culturale delle società umane. Un confronto tra la cultura dell'età della pietra e quella del moderno mondo occidentale, ad esempio, metterà in luce enormi differenze, e il corso dei cambiamenti che hanno determinato queste differenze nel tempo costituirebbe senza dubbio un esempio primario di evoluzione culturale. In questo articolo ci occuperemo brevemente di questo aspetto della tematica, dando però un rilievo assai maggiore all'analisi della natura e delle origini dell'evoluzione culturale.
Il modo migliore per comprendere la natura dell'evoluzione culturale - della trasmissione di usanze e tradizioni da una generazione all'altra - è quello di istituire un confronto con l'evoluzione darwiniana. Entrambe le forme di evoluzione sono caratterizzate da un sistema di trasmissione ereditaria, ma come vedremo tali sistemi sono completamente diversi per alcuni aspetti fondamentali. Un confronto di questo tipo consentirà di cogliere più a fondo la natura dell'evoluzione culturale.
Non sorprende che gli antropologi si siano occupati esclusivamente della cultura umana. Essi non hanno neppure preso in considerazione l'idea che gli animali, dotati di facoltà mentali inferiori, possano avere qualcosa che assomigli alla cultura. Tuttavia, al fine di comprendere l'evoluzione culturale e in che modo essa si differenzi da quella biologica è assai utile considerare la cultura sia nell'uomo che negli altri animali. Poiché la cultura di questi ultimi è relativamente semplice, è possibile individuarne gli elementi di base e il modo in cui questi possono determinare un cambiamento evolutivo. Inoltre, come vedremo, esistono numerosi esempi straordinariamente interessanti di cultura animale i quali mostrano come sia potuta nascere la cultura nel corso del grande processo dell'evoluzione organica.
Il concetto di 'cultura' è stato definito in modi assai diversi. La maggior parte di tali definizioni si riferisce specificamente alla cultura umana, ma in questa sede cercheremo una definizione più generale che includa tutti gli animali, non già con l'intento di escludere le definizioni più propriamente antropologiche, bensì di trovarne una che comprenda in sé tutte le definizioni più specificamente riferite all'uomo. Sceglieremo inoltre una definizione che consenta di contrapporre l'evoluzione culturale a quella biologica. Con 'cultura' intenderemo allora l'informazione trasmessa da un individuo all'altro mediante mezzi comportamentali. Una definizione di questo tipo comprende tutta la gamma che va dall'informazione complessa trasmessa da un essere umano all'altro al processo di apprendimento relativamente semplice di un animale attraverso l'imitazione del comportamento di un conspecifico. Per comprendere l'evoluzione culturale si rivela particolarmente utile il termine 'meme' coniato da Richard Dawkins (v., 1976), di cui egli fornisce la seguente definizione assai generale: meme è qualunque unità di informazione comportamentale - un'idea, una credenza, un'usanza, o una lezione. Possiamo affermare pertanto che l'evoluzione culturale riguarda la trasmissione di memi.
A differenza dell'evoluzione culturale, quella biologica si basa sulla trasmissione di geni anziché di memi. I geni sono localizzati nel DNA, nei cromosomi delle cellule, e trasmettono istruzioni sul modo in cui debbono essere costruiti gli organismi a ogni generazione; essi controllano in larga misura la morfologia dell'organismo, che si conserva in tal modo analoga da un ciclo vitale al successivo. Grazie agli studi di G. Mendel nel secolo scorso e a quelli successivi di molti altri sino alla moderna genetica molecolare, ora sappiamo molto di più su come i geni codificano l'informazione per la costruzione di specifiche molecole proteiche che a loro volta controllano la struttura e l'organizzazione della crescita dell'organismo. Negli organismi sessuati metà dei geni proviene da un genitore e metà dall'altro. Determinate modifiche nel patrimonio genetico di un individuo possono derivare da un rimescolamento di geni esistenti nello spermatozoo e nell'ovulo dei genitori, o da un cambiamento nella struttura di un determinato gene per mutazione. Sebbene ignorasse totalmente le ricerche di Mendel, Charles Darwin fu uno dei primi a riconoscere che la mutazione poteva essere la base dell'evoluzione, e che gli individui i quali presentavano variazioni che determinavano il successo riproduttivo (una prole più numerosa) sarebbero stati favoriti. In questo modo, attraverso quella che egli definì 'selezione naturale', alcuni geni si propagherebbero mentre altri scomparirebbero. Attualmente il concetto di selezione naturale, intesa come il mezzo attraverso il quale avvengono i mutamenti nella struttura di animali e piante nell'arco di ere geologiche, è generalmente accettato dai biologi. Questo tipo di evoluzione biologica è spesso definito evoluzione darwiniana, o evoluzione attraverso la selezione naturale. Si può anche parlare di evoluzione genetica, in quanto si tratta di un processo che implica la trasmissione di geni da una generazione all'altra.
Risulta evidente da quanto detto sinora che geni e memi sono entità assai diverse, che hanno di conseguenza meccanismi evolutivi differenti. Si tratta di una differenza cruciale, cui va dato il massimo rilievo per le seguenti ragioni.
La trasmissione genetica può aver luogo solo dai genitori alla progenie; questo è l'unico modo in cui l'informazione genetica può essere trasmessa da un individuo all'altro. I geni di un individuo provengono metà dal padre e metà dalla madre, ed è questo l'unico modo in cui possono essere trasmessi, passando attraverso le cellule germinali da una generazione all'altra. I memi, d'altro canto, possono essere trasmessi liberamente da un individuo all'altro, indipendentemente dai legami di parentela. Questa differenza ha due conseguenze fondamentali; la prima è che i memi possono apparire (o scomparire) in una popolazione con estrema rapidità. Si pensi solo a una qualche nuova moda o voga - ad esempio un nuovo stile di abbigliamento, un nuovo vocabolo o espressione, un nuovo gioco; questi memi si diffondono con straordinaria rapidità e possono scomparire altrettanto in fretta. È possibile peraltro che alcuni di essi abbiano un ciclo di vita relativamente lungo: l'abbigliamento di certe tribù ferme all'età della pietra, tuttora esistenti, senza dubbio si è conservato immutato per secoli, mentre nelle società occidentali le gonne si allungano e si accorciano da un anno all'altro. Alcune delle espressioni colloquiali dei giovani sono state inventate dalla loro generazione e sono nuove per noi; altre espressioni invece risalgono all'antichità greco-romana. Tra i giochi, lo yo-yo e lo hula-hoop hanno avuto vita breve, mentre l'aquilone ha una lunga storia. In breve, la durata minima dei memi può essere misurata in giorni, la più lunga in secoli.
I cambiamenti genetici, d'altro canto, devono essere misurati come minimo nell'arco di diverse generazioni. La mutazione di un gene in un solo individuo non è sufficiente, occorre che quel gene si diffonda in una popolazione per dar luogo a un cambiamento significativo, il che richiede ovviamente molte generazioni. Anche per gli animali con cicli vitali brevi, come i topi e i ratti, ci vogliono dai cinquemila ai diecimila anni per produrre una nuova specie. È questo l'arco di tempo necessario agli individui in isolamento per accumulare una quantità di mutamenti genici sufficiente a produrre differenze genetiche tali da dar luogo a una nuova specie. Per gli elefanti, che hanno cicli vitali molto lunghi, i tempi si allungano ulteriormente.
L'altra differenza tra memi e geni riguarda un livello di generalizzazione più fondamentale. Tutti gli organismi hanno geni, ma solo alcuni animali hanno memi. Questi ultimi sono il prodotto dei primi, ma non viceversa: non esistono organismi che abbiano memi senza avere geni.
Per illustrare in modo più dettagliato il rapporto tra queste due entità, possiamo dire che i geni sono responsabili principalmente dello sviluppo della morfologia dell'organismo, e parte di questa morfologia è la complessa struttura del cervello. Non si è ancora compreso a fondo in che modo la configurazione delle reti neuronali produca il comportamento, anche se questo continua a essere un ambito di intensa ricerca. Di fatto i geni sono in grado di produrre una struttura, il cervello, capace di trasmettere e ricevere o apprendere memi.
L'evoluzione culturale e l'evoluzione biologica sono due processi radicalmente differenti. I mutamenti genetici hanno determinato un'evoluzione dai semplici batteri ai complessi mammiferi in un arco di alcuni miliardi di anni. Homo sapiens, l'animale più fecondo per quanto riguarda la trasmissione di memi, ha un'evoluzione culturale segnata da mutamenti sbalorditivi compiutisi nel giro di pochi millenni.
Il fatto che anche i memi al pari dei geni siano soggetti alla selezione è alquanto interessante, ma può dar luogo a pericolose confusioni. È abbastanza ovvio che tutte quelle idee, voghe, mode, usanze e tradizioni che rappresentano i memi possono essere dannose o benefiche per gli individui all'interno di un gruppo sociale. Con caratteristica rapidità, i memi che risultano pregiudizievoli verranno abbandonati, mentre quelli che apportano benefici saranno preservati. Sotto questo aspetto i memi sono assai simili ai geni, e le leggi generali della selezione dei geni valgono anche per quella dei memi. Molti autori hanno istituito delle analogie tra queste due entità per evidenziarne le somiglianze. Per fare un esempio, il processo per cui l'errore compiuto nel Medioevo da un monaco nel copiare un manoscritto viene a sua volta copiato da altri monaci presenta una stretta affinità con il manifestarsi di una mutazione genica a seguito di un cambiamento in un nucleotide del DNA, che viene poi ripetuto nelle generazioni successive. L'analogia può essere estesa ulteriormente, perché sia il manoscritto che la sequenza di DNA possono essere corretti, rettificando gli eventuali errori prima che vengano replicati. Tuttavia non ci soffermeremo oltre sui numerosi parallelismi che sussistono tra la selezione dei geni e quella dei memi, ma metteremo piuttosto in evidenza i problemi che essi comportano. Come abbiamo già sottolineato, si corre il rischio di dimenticare che il sistema di trasmissione dei memi è radicalmente diverso da quello della trasmissione dei geni. I meccanismi che regolano la comparsa, la conservazione e l'eliminazione dei memi da un lato e dei geni dall'altro non hanno alcun rapporto tra di loro, e di conseguenza le leggi della selezione dei geni presentano delle somiglianze solo superficiali con quelle della selezione dei memi. Ad esempio, quando un mutamento ambientale determina nel comportamento dell'animale un mutamento che lo favorisce ai fini della sopravvivenza e della competizione, tale mutamento comportamentale, o meme, si conserverà finché l'ambiente manterrà il suo nuovo carattere. Se tale mutamento fosse di ordine genetico, l'intero processo sarebbe così lento da comportare una selezione di nuovi geni solo se il cambiamento ambientale fosse stabile e di lungo periodo. Ciò ribadisce ancora una volta l'importanza della scala temporale per le due modalità di trasmissione dell'informazione da un animale all'altro.
Negli ultimi decenni numerosi autori hanno manifestato un certo interesse per la possibilità di istituire un qualche collegamento tra i meccanismi di trasmissione dei geni e quelli dei memi, soprattutto negli animali che hanno forme comportamentali complesse, primo fra tutti l'uomo. La letteratura sull'argomento è assai vasta e presenta un certo livello di difficoltà in quanto si basa spesso su modelli matematici (v. Cavalli-Sforza e Feldman, 1978; v. Boyd e Richerson, 1985).
Consideriamo innanzitutto il problema al livello più semplice servendoci di due esempi. La setta religiosa degli shakers, che ebbe un certo rilievo alla fine del secolo scorso in una parte degli Stati Uniti, seguiva una serie di regole e di usanze (memi) tra le quali quella della totale astinenza sessuale. Poiché i suoi membri non generavano figli e non riuscivano a compensare le perdite dovute alla mortalità con il reclutamento di nuovi adepti, la setta si estinse. Dato che l'evoluzione genetica si misura in termini di successo riproduttivo, ovviamente in questo caso la trasmissione di geni era eguale a zero, e questo solo perché la setta possedeva un meme che bloccava la riproduzione.
Un esempio meno estremo è fornito da Cavalli-Sforza e Feldman (v., 1978), i quali dimostrano come dialetti e linguaggi differenti possano avere l'effetto di isolare i gruppi umani in unità riproduttive separate, e ciò a sua volta influenzerà il patrimonio genetico di ciascun gruppo permettendo il sorgere di differenze genetiche.
In entrambi questi esempi è il meme a influenzare il patrimonio genetico, ma il caso contrario è altrettanto frequente. Alcuni geni ad esempio possono produrre cervelli capaci di apprendere più efficacemente di altri, e se l'apprendimento si rivela un comportamento cruciale ai fini della sopravvivenza, della competizione per il cibo o della capacità di sfuggire ai predatori, tali geni influenzeranno la capacità di trasmettere informazioni attraverso i memi, e ciò a sua volta influenzerà la frequenza di tali geni. In tutti i casi menzionati la selezione naturale determinata geneticamente è il risultato ultimo dell'evoluzione, anche quando inizialmente vi sia stata una selezione concernente i memi. Questi pochi esempi dimostrano che può sussistere e sussiste effettivamente un'interazione tra evoluzione genetica ed evoluzione culturale, e che l'esito può essere il risultato di entrambe.
Come abbiamo affermato in precedenza, questi problemi relativi alla coevoluzione di memi-geni sono stati affrontati da molti autori in termini di modelli matematici che mostrano sul piano teorico in che modo i due tipi di trasmissione possono interagire. I modelli sono utili per illustrare il campo del possibile, ma in questo caso specifico è particolarmente difficile sapere a quali risultati si arriverà e quale potrà essere il passo successivo. Il nostro punto di vista, per certi versi pessimistico, è che al pari dell'analisi del rapporto natura-cultura, con la quale è ovviamente connessa, l'analisi delle interazioni tra memi e geni non porterà mai a risultati del tutto soddisfacenti. Le difficoltà di verificare le teorie sono enormi, forse insormontabili; il meglio che si può sperare, quindi, è che i modelli vengano progressivamente raffinati e diventino sufficientemente semplici e chiari da servire da guida alle nostre intuizioni.
Prima di analizzare l'evoluzione culturale in sé è necessario considerare l'origine e l'evoluzione dell'intero apparato preposto alla trasmissione di informazioni comportamentali. Sapere come e perché abbia avuto inizio l'evoluzione culturale infatti è altrettanto importante quanto conoscere i meccanismi in base ai quali essa opera. Per rispondere a questi interrogativi considereremo le origini del comportamento da cui può essersi sviluppata la capacità di trasmettere l'informazione comportamentale.
Considereremo dapprima l'origine del sistema nervoso al suo livello più elementare, che costituisce il fondamento dell'evoluzione culturale. Nei protozoi più primitivi esistono due tipi di risposta agli stimoli esterni. Il primo è dato da una risposta lenta ai segnali chimici, il secondo da una risposta relativamente rapida a ogni genere di stimoli, sia chimici che meccanici. La risposta lenta può essere un processo di crescita o di differenziamento; quella rapida comporta un movimento di allontanamento dai segnali di pericolo potenziale, o di avvicinamento al cibo. Nell'evoluzione degli invertebrati si ha una crescente specializzazione di queste risposte rapide, sicché alcune cellule si specializzano nel ricevere i segnali (cellule recettrici), altre nella trasmissione dell'impulso dalla cellula recettrice attivata a un effettore - un muscolo o un flagello - per produrre il movimento. Queste cellule trasmettitrici sono i neuroni, e al crescere della complessità degli organismi anch'essi diventano più efficienti (ossia capaci di trasmettere in modo più rapido) e più numerosi e riescono a controllare con maggior precisione la trasmissione dell'informazione dal recettore all'effettore. Si suppone che il controllo e la rapidità siano frutto di una pressione della selezione, che ha portato alla nascita di masse di neuroni di connessione sotto forma di gangli e soprattutto del cervello, capace di elaborare in modo efficiente le informazioni in una sorta di centrale di smistamento.
Ancora più importante dal punto di vista dell'evoluzione della cultura è la possibilità che il sistema nervoso sia in grado di dare risposte flessibili, ossia una varietà di possibili risposte a seconda delle circostanze. Tale flessibilità presenterebbe ovviamente dei vantaggi ai fini della selezione.
Come abbiamo rilevato in precedenza, la struttura del sistema nervoso, compresa quella del cervello, è in larga misura specificata nei geni, sicché ogni generazione, nel corso dello sviluppo dell'intero sistema nervoso, è in qualche modo progettata in uno schema derivato in ultima analisi dall'informazione genetica contenuta nell'uovo fecondato. Come tutte le altre strutture corporee, anche quella del sistema nervoso è in certa misura predeterminata.
Consideriamo ora un secondo livello in cui i geni, forse molto indirettamente, sono responsabili di uno schema comportamentale prefissato. Un buon esempio è quello di una vespa solitaria che divenuta adulta esce dal nido e senza alcuna direttiva o dimostrazione pratica da parte di altre vespe individua la giusta preda, la uccide e se ne nutre, si accoppia e costruisce un nido fornito di cibo per una progenie che non vedrà mai. È evidente che queste vespe non solo ereditano la struttura della loro rete neuronale, ma anche un insieme di attività specifiche e rigide di tali neuroni. L'esempio della vespa è particolarmente illuminante in quanto dimostra la complessità del comportamento ereditario o istintivo in termini di quantità di informazione immagazzinata. Tutti gli animali hanno forme di comportamento rigido, anche l'uomo, sebbene in questo caso esse siano più difficili da isolare e da individuare data la quantità di altri elementi che influenzano il suo comportamento.Il terzo e più elevato livello è quello in cui gli animali sono capaci di apprendere e di mettere a frutto ciò che hanno appreso. L'apprendimento può avvenire per imitazione o anche attraverso l'insegnamento, ma ciò che viene trasmesso sono memi. Questo processo è collegato alle attività determinate geneticamente descritte illustrando gli altri due livelli: nel corso dell'evoluzione i geni dirigono la costruzione di un cervello in grado di trasmettere memi. La capacità di apprendimento è una facoltà che può essere acquisita solo da certi tipi di cervelli determinati geneticamente.
Per spiegare perché l'apprendimento è stato selezionato dall'evoluzione occorre stabilire quali vantaggi selettivi esso comporti. Si può formulare l'ipotesi ragionevole che questa forma di flessibilità comportamentale si dimostri vantaggiosa per sfuggire ai predatori, o per catturare prede difficili, o per far fronte nei modi più vari a situazioni ambientali inaspettate e imprevedibili.
Tornando ai tre livelli menzionati nel paragrafo precedente, essi possono essere descritti utilizzando il seguente schema:
Livello 1 - Geni non comportamentali (struttura).
A ⇅
Livello 2 - Comportamento rigido, controllato dai geni.
B ⇅
Livello 3 - Apprendimento e trasmissione dei memi.
Il passo successivo è quello di mostrare che per entrambi i punti di connessione indicati con A e B nello schema esistono prove di una evoluzione che va nelle due direzioni. Si tende spontaneamente a ritenere che ogni evoluzione proceda dal semplice al complesso, ma ciò non è sempre vero. Questo assunto può essere valido per tendenze generali, ma se si considerano attentamente i dati si può vedere che ogni stadio in una data sequenza è probabilmente di per sé adattativo, e per questo motivo la selezione naturale, come vedremo, va in entrambe le direzioni, verso il basso e verso l'alto nello schema a tre livelli sopra delineato.
Considerando il primo stadio (segnato con la lettera A nello schema) appare ovvio ed elementare che il comportamento, per quanto rigido, possa risultare utile per la sopravvivenza di un organismo. Non occorre partire dal comportamento fisso complesso di un animale come la vespa, ma si può pensare a un inizio estremamente semplice. Si considerino le reazioni di fuga da un pericolo negli animali. Tale reazione ha ovviamente un grande valore per la sopravvivenza dell'individuo, e non è difficile vedere, almeno in via di principio, in che modo una struttura fissa della rete neuronale possa produrre stabilmente di generazione in generazione un comportamento fisso di questo tipo. Tutti gli individui che ne sono privi finirebbero presto per soccombere, probabilmente ancor prima di riprodursi.
Una volta stabilito il principio che il comportamento può costituire un progresso vantaggioso rispetto alla semplice morfologia, possiamo citare un esempio particolarmente interessante per illustrare questo punto. Gli uccelli giardinieri (Ptilonorinchidi) dell'Australia e della Nuova Guinea sono strettamente affini agli uccelli del paradiso, e hanno una distribuzione geografica in larga misura coincidente con quella di questi ultimi. L'uccello del paradiso è un ben noto esempio di estrema selezione sessuale in quanto il maschio ha un piumaggio assai elaborato. Seguendo l'ipotesi di Darwin (v., 1871) viene universalmente accettata la tesi secondo la quale è la femmina che sceglie il maschio col piumaggio vistoso, e ciò ha portato in ultimo alle forme straordinariamente elaborate dei maschi dell'uccello del paradiso. Si ritiene che quest'ultimo sia il progenitore dell'uccello giardiniere, che in generale ha un piumaggio relativamente poco appariscente, ma ha sviluppato a quanto sembra uno schema comportamentale altrettanto straordinario. Durante il corteggiamento i maschi costruiscono strutture diverse a seconda della specie: viali più o meno complessi o capanne estremamente elaborate, fatte di ramoscelli ammassati intorno al tronco di un alberello. Le capanne più complesse vengono adornate con oggetti colorati come conchiglie, frutta e fiori, e alcune specie di questi uccelli tingono l'interno del loro nido con il succo colorato di un frutto, verde o purpureo. Queste capanne vengono preparate per essere ammirate dalle femmine, ed è stato dimostrato che i maschi più esperti, che costruiscono le capanne più raffinate, hanno maggior successo nell'attirare le femmine per l'accoppiamento.
Come ha osservato Gilliard (v., 1963), rispetto ai loro progenitori, gli uccelli del paradiso, gli uccelli giardinieri non solo hanno un piumaggio meno vistoso, ma tra le varie specie sussiste un rapporto inverso tra splendore della capanna e colorazione del maschio: le specie con le capanne più spettacolari hanno un piumaggio modesto, mentre quelle dotate di una cresta colorata o di altri contrassegni ornamentali costruiscono capanne assai più semplici. Gilliard di conseguenza avanza l'ipotesi che l'evoluzione dall'uccello del paradiso all'uccello giardiniere ha comportato un mutamento morfologico nel piumaggio, che è stato poi progressivamente sostituito da un fenomeno comportamentale, ossia la costruzione della capanna. Il bisogno di attirare la femmina non è in alcun modo diminuito in questa transizione: semplicemente, l'attrazione sarebbe basata non più sulla morfologia ma sul comportamento. Sarebbe tale passaggio a rendere il maschio meno vistoso e di conseguenza meno soggetto alla predazione, senza che peraltro venga perduto il suo potere di richiamo sessuale.
Consideriamo ora la possibilità che questa transizione dalla morfologia al comportamento venga rovesciata, ossia che uno schema comportamentale vada perduto e venga rimpiazzato da una struttura puramente morfologica. Un esempio si ha negli insetti sociali. Nelle vespe sociali primitive le differenze morfologiche tra la regina e le altre femmine fertili della colonia sono scarse o nulle. La regina detiene il suo status dominante esclusivamente attraverso mezzi comportamentali; essa è estremamente aggressiva: se ad esempio una delle altre femmine depone un uovo in una celletta, la regina lo afferra immediatamente e lo divora, sostituendolo con il proprio uovo. Nelle società di insetti più evolute, invece, la regina differisce morfologicamente dalle altre femmine e scompare il comportamento aggressivo. Ciò si riscontra in numerose specie di vespe sociali; l'esempio a noi più noto è quello delle api mellifiche.
La specializzazione morfologica è particolarmente evidente nelle società di grandi dimensioni e complesse di alcune specie di formiche e termiti in cui le operaie possono essere di forma e dimensioni diverse. Alcuni compiti - ad esempio la cura della prole - sono svolti in modo più efficiente da individui di piccole dimensioni, mentre per altri - ad esempio la difesa della colonia - si rivelano più adatti individui di taglia maggiore.
Esiste persino il caso di una specie australiana di formica che ha un tipo di operaie straordinariamente sviluppate e dotate di enormi mandibole, che sembrano assolvere il compito specialistico di rompere un seme particolarmente grande e abbondante di cui si nutre la colonia (v. Oster e Wilson, 1978). Tali operaie giganti costituiscono l'unico mezzo di cui dispone la colonia per sfruttare questa ricca fonte di cibo. In alcune società di formiche il comportamento di una particolare casta è rigido, e se tale casta viene a mancare la colonia avrà un'insufficienza in una o più delle sue attività. In altre specie invece, come ha dimostrato Calabi in uno studio recente (v. Calabi, 1987), la flessibilità comportamentale non si è perduta: se per esperimento la colonia viene privata delle operaie di una certa dimensione, quelle di un'altra dimensione svolgeranno i compiti delle operaie mancanti. Si può assumere che ciò sia una prova dello stretto legame che sussiste tra caratteristiche morfologiche e tratti comportamentali: il comportamento in questi insetti sociali è responsabile della flessibilità, mentre la morfologia ha il vantaggio di permettere che alcuni compiti siano eseguiti con particolare efficienza. La principale conclusione che si può trarre da questi interessanti fatti è che non solo il comportamento rigido si è evoluto dalla struttura del sistema nervoso, ma che si è verificato anche il processo contrario per cui il comportamento, in questi insetti sociali, si è riconvertito in morfologia. In entrambi i casi sembra ragionevole ipotizzare che tali transizioni siano sorte attraverso la selezione naturale, perché in ciascun caso il risultato finale presenta evidenti vantaggi.
Le stesse considerazioni relative ai mutamenti dovuti alla selezione naturale possono essere fatte anche per quel che riguarda le interrelazioni tra il secondo e il terzo livello. Ancora una volta, presenteremo degli esempi in cui l'evoluzione dell'apprendimento e della trasmissione dei memi può essere interpretata solo come adattativamente vantaggiosa, per citare poi un caso in cui ciò sembra valere anche per l'evoluzione inversa.
1. Canto degli uccelli e funzione di riconoscimento. - Cominceremo con l'analizzare il canto degli uccelli in quanto esso fornisce gli esempi migliori sia di comportamento rigido che di comportamento appreso. Il canto degli uccelli è generalmente associato all'accoppiamento, sebbene assolva anche varie altre funzioni, quali la difesa del territorio, il riconoscimento del partner, la comunicazione tra genitori e prole, la segnalazione di un pericolo. Le capacità imitative di alcuni tipi di uccelli sono note sin dall'antichità. I canarini o i ciuffolotti in cattività sono in grado di imitare cantanti provetti o il suono di strumenti musicali; i pappagalli hanno la capacità di imitare la voce umana e lo stesso, con maggiore o minore facilità, fanno altri uccelli come ad esempio le gracule e anche gli storni.
La facoltà imitativa in questi casi riguarda animali in cattività, ma molte testimonianze dimostrano che l'imitazione del canto si ha anche negli uccelli selvatici e dà luogo a diversi dialetti a seconda delle regioni geografiche. È chiaro che queste differenze regionali nelle vocalizzazioni degli uccelli sono un esempio di scambio di memi, e di conseguenza di 'cultura' nel senso della definizione da noi data. Consideriamo alcuni esempi specifici. Sono stati condotti molti studi sui fringuelli e altri Fringillidi quali Zonotrichia leucophrys, Passerina cyanea, Philesturnus carunculatus neozelandese e molti altri (v. Slater e Ince, 1979; v. Payne, 1981; v. Mundinger, 1982). In alcuni casi compaiono con notevole frequenza delle innovazioni del canto, e di conseguenza i dialetti subiscono costantemente delle modifiche, mentre in altri casi una particolare tradizione di canto resta relativamente stabile per lunghi periodi di tempo. Sia i mezzi di trasmissione (ossia i memi) che il carattere generale dei cambiamenti sono affini sotto molti aspetti alle differenziazioni dialettali dei gruppi umani nelle varie regioni geografiche. Si tratta di un chiaro esempio di mutamento culturale negli animali.
Meno chiara è la natura del valore adattativo della imitazione del canto. Sussiste sempre la possibilità che essa non presenti alcun vantaggio selettivo, ma sia un effetto secondario di altre circostanze quale ad esempio la trasformazione passiva dovuta all'isolamento geografico. Questa ipotesi tuttavia non è quella ritenuta migliore, ed esistono dati secondo cui in alcune specie la capacità imitativa è in qualche modo associata al successo riproduttivo. Gli individui che padroneggiano il dialetto locale avranno più successo degli estranei nell'attirare le femmine. Nel caso di Philesturnus carunculatus della Nuova Zelanda Jenkins (v., 1978) ha dimostrato che i maschi tendono a migrare in colonie remote, e riescono ad accoppiarsi solo dopo che hanno imparato il dialetto locale. In questo caso quindi la trasmissione dei memi favorisce un meccanismo di esogamia. In tutti questi esempi, non solo si ha la creazione di dialetti, ma anche il loro riconoscimento da parte dei membri della popolazione riproduttiva, che sono così in grado di discernere affini, vicini e persino singoli individui, compreso il partner. È stata avanzata l'ipotesi che gli uccelli con spiccate capacità imitative - come i pappagalli e le gracule - si servano di tale facoltà per rafforzare il legame di coppia, inventando un canto speciale che consente una più raffinata forma di riconoscimento. Si tratta in ogni caso di ipotesi plausibili ma difficili da verificare: la plausibilità, purtroppo, è ben lontana dalla certezza.
Esistono alcuni esempi di modelli canori fissi che hanno una spiegazione ovvia. Si può ipotizzare che tra i progenitori degli uccelli in questione vi fosse una trasmissione culturale del modello canoro, la quale però attraverso la selezione naturale è stata rimpiazzata da un canto rigido, ereditato geneticamente, e ciò per una buona ragione. Consideriamo ad esempio gli uccelli parassiti - quali il cuculo europeo e il molotro, un passeraceo del Nordamerica - che depongono le uova nei nidi di altri uccelli; la prole non vedrà mai i veri genitori ma solo quelli 'adottivi' e anche se non udrà mai il canto della propria specie la primavera successiva dovrà comunque trovarsi un compagno. Tuttavia una serie di esperimenti condotti sul molotro hanno dimostrato che la femmina allevata in totale isolamento risponderà al canto registrato di un maschio assumendo la postura precopulatoria, mentre il maschio anch'egli allevato in isolamento eseguirà alla perfezione il canto della sua specie senza aver ricevuto alcun addestramento. Ovviamente questo tipo di meccanismo 'emissione vocale-risposta' è stato determinato dall'evoluzione dell'esistenza parassita dell'uccello ed è sorto con essa. Abbiamo quindi un ulteriore esempio in cui l'evoluzione sembra andare nella direzione inversa: un sistema di canto che poteva essere oggetto di trasmissione culturale si è riconvertito in un sistema comportamentale rigido e geneticamente controllato che non implica alcun processo di apprendimento.
2. Procacciamento di cibo e acqua. - I meccanismi di nutrizione offrono degli esempi di cultura animale assai più ovvi e facili da comprendere. A differenza del canto degli uccelli, in tutti i casi il vantaggio è evidente in quanto l'animale riesce a procurarsi una maggiore quantità di cibo. La ricerca del cibo e dell'acqua presenta anche un altro elemento importante che riguarda in modo particolare l'evoluzione culturale, ossia l'invenzione di tecniche per mangiare e bere che poi vengono trasmesse culturalmente. Quando analizzeremo l'evoluzione culturale umana, vedremo che anche in questo caso l'invenzione costituisce un elemento cruciale.
Molti degli esempi cui faremo riferimento sono assai noti e sono stati descritti molte volte nella letteratura sull'argomento, e tuttavia rivestono una tale importanza che riteniamo opportuno riproporli in sintesi. In tutti questi casi un determinato comportamento viene trasmesso da un individuo all'altro, e a volte il meme trasmesso è una nuova invenzione.
Nel caso delle cince capaci di aprire le bottiglie di latte si ha un esempio sia di innovazione che di trasmissione culturale. In Gran Bretagna a quanto pare una cincia particolarmente ingegnosa aveva scoperto che perforando col becco il coperchio di stagnola con cui erano chiuse le bottiglie di latte riusciva ad arrivare alla panna affiorata in superficie. Questo stratagemma venne presto imitato da altre cince, e Hinde e Fisher (v., 1951) riuscirono a tracciare una mappa della diffusione di questa invenzione, che oggi si ritrova in tutte le Isole Britanniche. Ciò rappresenta senz'altro l'inizio di una evoluzione culturale.
Altri due esempi assai famosi riguardano i fringuelli delle Galapagos descritti per la prima volta da Darwin nel resoconto del suo viaggio sul Beagle (v. Darwin, 1839). Una specie di questi fringuelli si ciba di ectoparassiti (zecche, ecc.) che trovano sul dorso delle sule, uccelli marini di grandi dimensioni che nidificano in colonie. Già questo sistema in sé potrebbe essere stato trasmesso culturalmente, ma oltre a ciò i fringuelli hanno imparato a cibarsi del sangue delle sule che fuoriesce dalle piccole ferite che essi provocano rimuovendo le zecche col becco: una innovazione che ora si è ampiamente diffusa e a quanto pare non è letale per le sule (v. Bowman e Billeb, 1965). Ancor più noto è l'esempio di una specie di fringuello di Darwin che utilizza una spina per estrarre i bruchi dagli alberi. È ragionevole assumere che anche in questo caso si tratti di una invenzione trasmessa culturalmente ad altri membri della specie.
Restando nel mondo degli uccelli, citeremo ancora l'interessante studio di Norton-Griffiths (v., 1967) sulle beccacce di mare. Questi uccelli si cibano di vari tipi di vermi, ma nelle regioni in cui questi scarseggiano il loro alimento principale è costituito dai mitili. Le cozze però sono difficili da aprire, e le beccacce di mare hanno escogitato due sistemi: o martellano col becco il guscio nel punto più debole finché il mollusco si apre, o inseriscono il becco tra le due valve per recidere i muscoli adduttori che le tengono unite. Si tratta di manovre difficili, come dimostra il fatto che nelle regioni in cui abbondano i vermi i piccoli restano con i genitori per un periodo di sei-sette settimane, mentre nei casi in cui l'alimento principale è costituito dai mitili il periodo delle cure parentali dura da diciotto a venti settimane. Un tempo tanto più lungo è necessario ai piccoli per imparare a cibarsi dei molluschi.
Un esempio assai interessante di evoluzione culturale si ha nel caso dell'airone verde (Butorides virescens) che ha elaborato un metodo di pesca assai ingegnoso: depone sull'acqua un pezzetto di materiale galleggiante, ad esempio una piuma o uno stecco, e aspetta pazientemente che un pesce arrivi a prenderlo. Il fenomeno è stato recentemente studiato in modo approfondito da Higuchi (v., 1986) in Giappone, dove è particolarmente frequente nei parchi ornamentali. Si può supporre che gli aironi imparino lo stratagemma osservando i visitatori che gettano molliche di pane alle carpe, ma Higuchi non riuscì a insegnare tale tecnica a un uccello, il quale si limitava ad afferrare instancabilmente il pesce che abboccava all'esca preparata dallo studioso ma non metteva in pratica autonomamente l'intero procedimento. Chiunque sia stato il primo inventore, l'uomo o l'uccello, è senza dubbio un meme quello che si trasmettono questi animali.
Se rivolgiamo l'attenzione ai mammiferi - specialmente ai primati - troveremo parecchi esempi di cultura. Un caso assai noto è il sistema sviluppato dagli scimpanzé di introdurre rametti o fili d'erba nel termitaio per estrarre le termiti che vi restano attaccate (v. Goodall, 1986). Questa invenzione richiede l'uso di uno strumento ed è trasmessa chiaramente attraverso l'imitazione.
Assai citato è l'esempio di Imo, un giovane macaco femmina dell'isola giapponese di Koshima, che inventò due metodi per pulire il cibo. Le scimmie venivano nutrite gettando sulla spiaggia, da una barca, vari alimenti tra cui delle patate dolci. Imo ebbe l'idea di lavare le patate dalla sabbia immergendole nell'acqua dell'oceano. Ancora più notevole fu un'altra invenzione di Imo per pulire i chicchi di grano. La scimmia li raccoglieva assieme alla sabbia per poi gettarli in mare, dove i chicchi restavano a galla mentre la sabbia andava a fondo (v. Tsumori, 1967). Studiando questa colonia si osservò inoltre che i macachi giovani erano i primi a imparare l'invenzione di Imo, mentre i membri più anziani avevano bisogno di molto più tempo per adottarla.In questo caso siamo più vicini alla evoluzione culturale umana che in tutti gli altri citati, in quanto la colonia di macachi ha accumulato non una singola invenzione bensì due. Torneremo in seguito su questo punto.
Le osservazioni e gli esperimenti su animali in cattività offrono interessanti esempi di memi relativi al procacciamento del cibo e dell'acqua. Yerkes (v., 1943), ad esempio, osservò che il metodo per aprire il rubinetto di una fontana per abbeverarsi appreso da uno scimpanzé veniva trasmesso agli altri membri del gruppo senza alcun intervento dell'uomo.
In una interessante rassegna di casi di questo tipo Mainardi (v., 1980) ne descrive uno relativo ai topi. Un topo che aveva appreso a procurarsi l'acqua da una bottiglia azionando con la lingua una valvola speciale veniva introdotto in un gruppo di topi inesperti, che apprendevano solo allora questa tecnica; senza la guida esperta in grado di mostrare loro il magico stratagemma, gli inesperti non erano capaci di procurarsi l'acqua. In un'altra serie di esperimenti, dei topi domestici rinchiusi in un labirinto riuscivano a trovare l'uscita abbastanza rapidamente se veniva introdotto nel gruppo un individuo che conosceva il percorso giusto. Ancora una volta gli altri topi apprendevano dal compagno che conosceva la soluzione, senza il quale impiegavano un tempo piuttosto lungo per uscire dal labirinto e trovare il cibo.
3. Fuga dai predatori. - La maggior parte degli animali selvaggi sono estremamente diffidenti e fuggono quando vengono avvicinati dall'uomo; tuttavia in alcune regioni della terra in cui l'uomo è penetrato raramente si comportano in modo diverso. Darwin (v., 1839) trovò gli uccelli terrestri delle Galapagos - uccelli mimi, scriccioli, fringuelli, colombe e perfino una poiana - così mansueti che potevano essere avvicinati e uccisi con un colpo di bastone. Egli cita Cowley il quale, nel 1648, aveva osservato: "Le tortore erano così docili che spesso si posavano sui nostri cappelli o sulle nostre braccia, cosicché potevamo prenderle vive; non avevano paura dell'uomo, finché alcuni dei nostri compagni non spararono su di loro, il che le rese più diffidenti".
Che questa diffidenza possa essere trasmessa culturalmente è ben illustrato da un esempio fornito dai Douglas-Hamilton (v., 1975). Nel 1919 gli elefanti venivano cacciati senza pietà dai coltivatori di agrumi, che però non riuscirono a eliminarli tutti; gli esemplari sopravvissuti vennero rinchiusi in una zona recintata nel 1930. Questo tentativo di sterminio ha determinato una alterazione permanente nel loro comportamento. "Ancor oggi essi restano animali prevalentemente notturni e reagiscono in modo estremamente aggressivo a qualunque presenza umana. Sono considerati tra gli elefanti più pericolosi dell'Africa. Pochi esemplari, se mai ve ne sono, degli elefanti oggetto delle battute di caccia del 1919 possono essere ancora vivi, sicché sembra che questo comportamento difensivo sia stato trasmesso alla loro prole, ora adulta, e anche ai discendenti della terza o quarta generazione, nessuno dei quali ha mai sperimentato direttamente un qualche attacco da parte dell'uomo".
Uno dei metodi, utilizzato soprattutto dagli uccelli, per sfuggire ai predatori consiste nello svolazzare intorno al predatore emettendo grida; in questo modo certi piccoli uccelli non solo mettono in guardia i loro simili, ma possono anche riuscire a scacciare il nemico. In alcuni importanti esperimenti Curio e altri (v., 1978) dimostrarono che l'informazione sulla natura dell'oggetto pericoloso da segnalare può essere trasmessa culturalmente da un individuo all'altro. Per questi esperimenti vennero usati dei merli europei: due individui erano posti in gabbie separate, collocando tra di esse una scatola divisa in scomparti in cui erano sistemati degli uccelli impagliati. Allorché uno dei due merli avvistava un gufo, e l'altro un innocuo melifagide australiano, il primo cominciava a creare un grande trambusto emettendo richiami e agitando le ali in direzione del gufo. L'altro uccello, osservando il comportamento del compagno, ben presto lo imitava iniziando un'analoga azione nei confronti del melifagide, cosa che non avrebbe mai fatto di sua iniziativa se fosse stato in isolamento. A questo punto il primo merlo veniva rimpiazzato da un altro che non aveva preso parte all'esperimento, e il melifagide veniva sistemato tra le due gabbie in modo che entrambi gli uccelli potessero vederlo. Il secondo merlo dava immediatamente l'allarme imitando il comportamento appreso dal primo compagno, e ben presto anche il terzo uccello seguiva il suo esempio. Questo scambio culturale si è ripetuto con sei merli inesperti, ognuno dei quali segnalava al successivo il presunto pericolo rappresentato dal melifagide australiano impagliato.
Questo esempio è istruttivo in quanto sembra ovvio che la rapida identificazione di un nuovo pericolo rappresenti un vantaggio. Se compare un predatore sconosciuto, la sua identificazione può essere rapidamente trasmessa agli altri membri della specie. Se l'informazione venisse trasmessa geneticamente, occorrerebbero parecchi anni prima che tutti i membri di una popolazione fossero al sicuro dal pericolo.A parte il riconoscimento del predatore attraverso la trasmissione di memi esistono anche casi in cui tale riconoscimento è ereditato geneticamente. Alcuni dei primi esperimenti dell'etologia classica hanno dimostrato che i paperi corrono al riparo quando una sagoma di falco sospesa a un filo viene portata sopra di loro. Questo potrebbe essere un altro caso in cui la trasmissione di memi è stata sostituita da una trasmissione genetica attraverso la selezione naturale. I falchi costituiscono un pericolo per i pulcini dal momento della schiusa fino a che non abbiano avuto la possibilità di imparare, e di conseguenza gli individui che reagiscono istintivamente nascondendosi dai falchi avranno maggiori probabilità di sopravvivere.
4. Informazione geografica. - Un altro fenomeno che rientra nella categoria generale della cultura animale riguarda la memorizzazione delle informazioni geografiche. La capacità di un animale di memorizzare l'ubicazione di un nido, o ancor meglio la rotta di una migrazione, e di fare da guida ai compagni, che a loro volta memorizzano il percorso, rappresenta, almeno in parte, la trasmissione di un meme. Gli individui inesperti seguiranno e imiteranno la guida, e in ciò risiede il meme. Ma la componente forse più importante è la capacità di apprendere la geografia dei luoghi, cosa che ogni individuo fa singolarmente.
La capacità di alcuni animali di memorizzare una zona è assai notevole, e, come è stato dimostrato, consente agli insetti di far ritorno al nido e alle api di trovare il cibo. Una volta imparato un itinerario che conduce al nettare, le api sono in grado di ritrovarlo, e di individuare correttamente il proprio alveare.I famosi esperimenti di von Frisch hanno dimostrato che le api mellifiche hanno un sistema di trasmissione di memi assai sofisticato. Per mezzo della loro danza, le operaie esploratrici possono comunicare alle altre api la distanza o la direzione di una nuova fonte di nettare. Una volta localizzata, le api navigano guidate dalla loro memoria geografica. Il grado di sofisticazione del comportamento delle api è davvero straordinario; le prove in questo senso sono sempre più numerose, e Gould (v., 1986) ha dimostrato recentemente che questi insetti comprendono così bene la geografia locale che sono in grado di ritrovare immediatamente l'orientamento quando vengono trasportati in una zona distante da una fonte conosciuta di nettare.Nel caso degli animali migratori, in particolare le anatre e le oche, ma anche la farfalla Danaus plexippus, è stato dimostrato che essi nelle migrazioni seguono di anno in anno la stessa rotta; i giovani seguono gli individui più anziani e poiché vi è sempre una sovrapposizione di generazioni, la tradizione di un determinato percorso può essere conservata.
Si presume che gli invertebrati primitivi siano incapaci di una trasmissione di memi e che tutto il loro comportamento sia 'rigido', ossia prefissato e innato. A un certo punto nel corso dell'evoluzione è sorta la trasmissione comportamentale, e ancora una volta assumiamo che, in un senso strettamente darwiniano, ciò sia accaduto perché era adattativamente vantaggiosa. Le risposte al quesito che ci siamo posti qui - per quale ragione esistono i memi - sono implicite in tutti gli esempi illustrati in precedenza, e possono essere sintetizzate dicendo che essi presentano due tipi di vantaggi: 1) la trasmissione culturale è assai più rapida di quella genetica; 2) attraverso i memi possono essere trasmesse informazioni assai più elaborate e complesse di quelle trasmesse attraverso i geni. Consideriamo i due punti più in dettaglio.
1. Come abbiamo già osservato analizzando l'esperimento sui merli europei, se i tratti distintivi di un nuovo predatore possono essere rapidamente comunicati ad altri membri della popolazione ciò sarà estremamente vantaggioso ai fini della sopravvivenza. Lo stesso vale per la scoperta di nuovi tipi di alimenti, o di tecniche per cibarsi efficacemente di tali alimenti, o addirittura per procurarseli. In tutti gli esempi relativi al procacciamento del cibo illustrati in precedenza è ovvio che la velocità costituisce un vantaggio nel diffondere l'informazione sulla natura di un nuovo alimento e sul modo di procurarselo nel modo più efficiente.
2. Nel caso dell'informazione geografica, è evidente che sarebbe impossibile memorizzare una zona attraverso un comportamento fisso determinato geneticamente, perché il paesaggio varia notevolmente da una località all'altra e anche in una stessa località da un anno all'altro; la quantità di informazioni contenute in un paesaggio, inoltre, richiederebbe un livello di complessità delle istruzioni genetiche al di là del possibile. Ma la memoria delle immagini del mondo esterno immagazzinate attraverso gli occhi o altri organi sensoriali può essere estremamente dettagliata; i contenuti di memoria inoltre possono essere costantemente riappresi o integrati in modo da riadattarli a nuovi luoghi e ai mutamenti di luoghi familiari. Come abbiamo visto, i memi possono essere usati in modo tale da consentire a un individuo di imparare efficacemente la massa di informazioni geografiche possedute dal conspecifico che funge da guida, seguendolo o imitandone il comportamento. Questo sistema di orientamento geografico rende possibili le migrazioni stagionali e la ricerca di cibo a grandi distanze dal nido. Grazie alla trasmissione comportamentale, quindi, è possibile comunicare complesse informazioni geografiche. Ancora una volta la velocità con cui l'informazione viene trasmessa riveste un'importanza cruciale. Considerando i vantaggi di queste strategie basate sui memi, sembra ragionevole assumere che esse siano sorte attraverso la selezione naturale.
Sinora abbiamo esaminato il carattere più generale della cultura, mostrando in che modo essa può essere sorta nel corso dell'evoluzione del regno animale. Affronteremo ora il problema cruciale della sua evoluzione, chiedendoci in che modo, attraverso i memi, la storia degli animali possa aver subito dei mutamenti nel corso del tempo. A tal fine è necessario operare ancora una volta una netta distinzione tra evoluzione culturale ed evoluzione genetica: ciò che ora ci interessa non è la trasformazione degli organismi attraverso le mutazioni geniche, ma in che modo i memi hanno operato dei mutamenti e quali effetti questi ultimi hanno avuto sull'organismo. In precedenza abbiamo osservato che molti autori hanno focalizzato l'attenzione sull'interazione tra memi e geni; noi però non metteremo in rilievo tale interazione, concentrandoci invece sull'evoluzione determinata dai memi in una forma pura; questo non per mettere in ombra le interessanti possibilità che possono essere, e in realtà sono, aperte da tali interazioni, bensì piuttosto per mettere in rilievo il carattere distintivo dei due tipi di evoluzione. Il fatto che l'evoluzione culturale sia assai diversa dall'evoluzione genetica a nostro avviso riveste un'importanza particolare. Forse la conseguenza più significativa di tale differenza si può vedere nel fatto che l'uomo è l'unica specie animale che ha avuto effettivamente una evoluzione culturale continua e cumulativa.
L'evoluzione culturale è il mutamento di memi nel corso del tempo. Uno dei modi in cui questa mutazione può avvenire è la semplice sostituzione di un comportamento con un altro. Consideriamo un meme semplice come il canto degli uccelli; un particolare canto può essere stato inventato (o si è prodotto per caso o per errore), e viene trasmesso ad altri individui; in seguito si producono allo stesso modo delle variazioni di tale canto, cosicché nel corso del tempo si ha una serie di canti. Se si segue nel tempo il canto di una popolazione di uccelli canori, si possono individuare i cambiamenti con notevole precisione: questa sequenza di variazioni successive costituisce un esempio di evoluzione culturale.
È abbastanza ovvio tuttavia che un'evoluzione di questo tipo sarebbe banale in tutti i sensi, perché non si avrebbero mutamenti significativi, bensì soltanto, per così dire, variazioni marginali su un tema. Perché si abbia un'evoluzione culturale più rilevante occorre un altro elemento, ossia una memoria piuttosto sviluppata. Abbiamo già visto come la memoria abbia un ruolo importante in alcune forme di cultura animale, in particolare nel caso delle migrazioni e in altri esempi di memorizzazione di luoghi geografici. Come abbiamo osservato, la quantità di dati appresi e memorizzati può essere assai estesa: gli uccelli migratori, ad esempio, memorizzano interi itinerari e sono in grado di seguirli di anno in anno.
È chiaro che tutti i memi implicano in qualche misura la memoria, perché se un meme viene immediatamente dimenticato dopo essere stato appreso non può essere imitato. Il punto importante per quanto riguarda l'evoluzione culturale è che grazie alla memoria un animale può apprendere più di un meme, e questa accumulazione costituisce un altro aspetto, particolarmente importante, della evoluzione culturale. I macachi giapponesi dell'esempio citato in precedenza accumulavano due innovazioni riguardanti la pulitura del cibo, e la comparsa e l'assimilazione di tali abitudini nella colonia rappresentano un chiaro esempio di evoluzione culturale.
Perché si abbiano mutamenti culturali significativi, quindi, oltre alle innovazioni e ai metodi per trasmetterle ad altri individui, è necessario che una serie di tali cambiamenti possa essere accumulata dalla memoria collettiva degli individui. In questo modo, grazie alla memoria, è possibile accumulare un'intera serie di memi che possono essere trasmessi, assumendo il carattere di tradizioni o consuetudini.
Tra gli animali diversi dall'uomo i tipi di memoria che abbiamo descritto sono sbalorditivi, mentre il numero di memi distinti inventati o in qualche modo acquisiti e poi accumulati nella memoria collettiva è relativamente scarso. Manca una adeguata verifica di questo fatto per i diversi animali, ma possiamo azzardare l'ipotesi che per la maggior parte degli insetti sociali e per gli uccelli - protagonisti di gran parte dei nostri esempi - il numero di memi memorizzato va da uno a cinque al massimo, sebbene sia possibile che alcuni uccelli ne abbiano qualcuno di più.
Passando ai mammiferi, il numero di memi memorizzati aumenta. Un elefante indiano ad esempio può eseguire da ventuno a venticinque ordini diversi impartitigli dall'istruttore; non solo, ma questi comandi possono essere conservati per lungo tempo nella memoria di ciascun individuo (non a caso si dice "avere una memoria da elefante"). In questi casi le innovazioni sono fornite dagli esseri umani, e la capacità dell'animale è sottoposta a verifica; ciò non ci dice quante innovazioni si sono accumulate in una società di elefanti allo stato selvatico, e tuttavia l'insegnamento da parte degli uomini dà una qualche misura delle capacità di questi animali.
Lo stesso vale per i primati; recentemente sono stati compiuti notevoli sforzi per insegnare ai gorilla, e soprattutto agli scimpanzé, un sistema di comunicazione attraverso segni che possono essere compresi anche dagli esseri umani. Questi esperimenti hanno dimostrato che queste grandi scimmie antropomorfe sono in grado di accumulare un vocabolario comprendente più di duecento segni, dei quali si servono in seguito non solo per rispondere agli insegnanti, ma anche per esprimere spontaneamente bisogni e desideri. La capacità di memoria di questi animali quindi sembra essere ancora maggiore, ma anche in questo caso sappiamo assai poco sul repertorio delle scimmie allo stato selvatico e sul modo in cui esse comunicano tra di loro. Secondo Goodall (v., 1986), gli scimpanzé dispongono di una varietà di richiami che sembrano formare in qualche modo un continuum, rendendo difficile di conseguenza sapere quanti significati passibili di memorizzazione essi possono trasmettere. Non è nostra intenzione affrontare in questa sede il problema del linguaggio; ci limiteremo a sottolineare il fatto che la risposta ai segnali è un indice della capacità di un animale di accumulare tradizioni. Queste possono essere rappresentate da meri segnali sonori o da rozzi equivalenti delle parole, in quanto sono dotati di un qualche significato, e in questo senso il repertorio di grugniti e grida negli scimpanzé o nei gorilla selvatici potrebbe essere il risultato di una evoluzione culturale di quei segnali appresi e memorizzati. Se si aggiungono a tali segnali vari altri tipi di comportamento appreso tra le grandi scimmie antropomorfe selvatiche, è facile supporre che si abbia qui un numero considerevole di unità di informazione accumulate. Poiché è assai difficile identificare questi diversi segnali e queste diverse usanze, non è dato sapere quanto sia lento o veloce il ritmo dell'evoluzione culturale in questi primati. Dobbiamo limitarci a osservare se qualche usanza si perde e viene sostituita da una nuova, o a comparare due diverse popolazioni per individuarne le differenze culturali, come hanno fatto McGrew e Tutin (v., 1984) nel loro studio sulle posture che gli scimpanzé di due differenti regioni africane assumono durante l'attività sociale di pulizia (grooming).
Abbiamo tutte le ragioni di supporre che Homo erectus e altri antenati dell'uomo fossero arrivati molto vicino ai tipi di cultura descritti per le grandi scimmie antropomorfe. A un certo momento nel corso della evoluzione biologica deve aver avuto luogo un progressivo raffinamento del sistema di segnalazione tra individui, sicché in ultimo tali segnali si sono trasformati in un linguaggio. Senza dubbio ciò ha incrementato ulteriormente il cambiamento culturale, poiché un sistema di comunicazione più progredito rende possibile la trasmissione di una maggiore quantità di informazioni. Il risultato è l'elaborazione di più memi i quali - posto che non eccedano i limiti della capacità di memoria individuale - verranno conservati nella memoria.
Quali sono le differenze tra l'uomo primitivo, le scimmie antropomorfe e l'uomo moderno? I progenitori dell'uomo erano capaci di utilizzare strumenti, e sotto questo aspetto erano simili alle scimmie e ad altri animali. La differenza senza dubbio era di tipo quantitativo, e un ruolo importante in questo senso ha avuto lo sviluppo del sistema di comunicazione tra individui. È possibile inoltre, sebbene si tratti di una semplice supposizione, che sia aumentata la capacità mnemonica. L'uomo moderno è indubbiamente capace di notevoli prestazioni mnemoniche: gli attori riescono a memorizzare intere opere di Shakespeare, cosa impensabile per le scimmie o anche per Homo erectus. Nel corso dell'evoluzione degli ominidi si è verificato un notevole incremento nelle dimensioni relative del cervello, e forse questo incremento può essere messo in correlazione con un incremento delle capacità, sia quella mnemonica che quella, ad esempio, di utilizzare segnali in forma di linguaggio.In ogni caso, la capacità del cervello dei nostri progenitori era tale da consentire la memorizzazione di un gran numero di memi, tra i quali una crescente quantità di segnali associati all'evoluzione del linguaggio vero e proprio. Il linguaggio dell'uomo moderno non può essere nato già perfettamente sviluppato dai grugniti e dai versi delle scimmie, ma deve aver seguito un lento processo di accumulazione di nuovi vocaboli e forme sintattiche; ogni progresso rappresenterebbe l'invenzione e l'accumulazione di nuovi memi. Oltre al linguaggio vi sono state altre invenzioni che si sono evolute in modo analogo: nella fabbricazione delle armi, per esempio, si è avuta una progressione dall'uso della pietra a quello del bronzo e infine del ferro. Un'altra invenzione è stata quella dell'uso controllato del fuoco, e indubbiamente ve ne sono state miriadi di altre di importanza meno cruciale.
Allorché questi memi aumentarono di numero, per poter essere conservati dovettero essere immagazzinati nella memoria collettiva di un gruppo sociale o di una popolazione: non è necessario infatti che ogni singolo individuo possegga tutte le conoscenze e le capacità del gruppo. In altre parole, è probabile che si sia sviluppata una divisione del lavoro per cui alcuni individui si specializzarono nella preparazione del cibo, altri nella fabbricazione di armi e così via, sicché diversi individui divennero depositari di diverse competenze. Una tale parcellizzazione dei compiti avrebbe determinato una estensione della memoria totale della società o della tribù.Vi è un altro modo però in cui si sviluppa la memoria collettiva. Si sostiene spesso che Homo sapiens differisce dagli altri animali per il fatto che gli anziani vengono accuditi e mantenuti dal gruppo anche quando hanno oltrepassato l'età riproduttiva, e questo perché essi sarebbero i depositari della 'memoria' delle conoscenze e delle tradizioni della tribù. Se è così, abbiamo un ulteriore esempio di come la specializzazione contribuisca alla preservazione dei memi nel modo più completo ed efficiente.
La differenza più significativa tra l'uomo moderno e quello primitivo è data dalla quantità di memi accumulati nella nostra storia e che continuano tuttora ad accumularsi. Calcolando il tasso di incremento delle innovazioni in tempi recenti (dal 1300 al 1900), Blum (v., 1978) ha dimostrato, mettendo insieme i dati raccolti da diversi autori, che si tratta di un incremento esponenziale, pari a un tasso del 25% per secolo, mentre la popolazione aumenta solo del 2,4% per secolo.
Questo incremento fornisce la misura della straordinaria evoluzione culturale dell'uomo. Le ragioni di tale evoluzione non sono difficili da capire, e sono direttamente legate alla nascita di nuovi mezzi per sviluppare la memoria collettiva, ossia all'invenzione di ulteriori mezzi per immagazzinare le informazioni, che possono poi essere recuperate in ogni momento. Il primo passo in questa direzione è stata l'invenzione della scrittura. Con la trasformazione del linguaggio orale in una qualche forma di scrittura o insieme di simboli tracciati su tavolette d'argilla, su papiri o pergamene, è possibile preservare un insieme di memi in modo tale che se anche un singolo individuo dimentica i fatti, o muore, o emigra, questi fatti resteranno accessibili e potranno essere recuperati da ogni altro membro del gruppo - fintanto che il testo scritto si conserva. Dapprima i simboli erano probabilmente assai rozzi e non riflettevano in modo completo il linguaggio verbale, ma il problema venne risolto grazie a una serie di innovazioni, a cominciare da quelle relative ai materiali per la scrittura - dalle tavolette d'argilla alla carta moderna ricavata da una pasta di legno. Seguì l'invenzione della stampa, l'archiviazione dell'informazione nei libri e infine l'organizzazione di biblioteche per raccogliere i libri. La quantità di informazione - e quindi di memi - contenuta anche in una piccola biblioteca, per non parlare delle grandi biblioteche nazionali, è talmente vasta da risultare quasi inimmaginabile.
Si considerino, per fare un altro esempio, i più moderni metodi per immagazzinare in modo rapido ed efficiente l'informazione. Un ruolo di primo piano spetta oggi ai computer, ma questi sono stati preceduti da metodi sempre più rapidi di stampa e di immagazzinamento e recupero di documenti scritti. Tutto ciò oggi può essere fatto in millesimi di secondo dai computer, utilizzando al posto dei documenti cartacei dischetti e nastri magnetici. Oltre alle informazioni scritte, i computer possono immagazzinare immagini e anche immagini in movimento, nella forma di film e videocassette. I nostri metodi per accrescere la quantità dei dati memorizzati sono diventati così efficienti che spesso ci si chiede se non siano addirittura sproporzionati ai bisogni reali. Comunque sia, l'incremento esponenziale continua anche nel presente.
Si può affermare quindi che uno degli aspetti più significativi dell'evoluzione culturale umana, che la pone a un livello assai più elevato quanto a fecondità e riuscita rispetto a quella di ogni altro animale, è l'invenzione di metodi per migliorare l'immagazzinamento dei dati e il loro recupero dalla memoria. Essa costituisce la base di tutti i grandi cambiamenti culturali che si sono verificati in epoca moderna. La banca di memi a nostra disposizione è enorme, e tutte le altre invenzioni e innovazioni nonché i cambiamenti relativi agli stili e ai costumi sono contenuti probabilmente in questo immenso deposito. Non si tratta soltanto però del volume delle informazioni custodite, ma anche dell'efficienza dei metodi di recupero e di trasmissione o comunicazione dei memi: dal sistema postale ai quotidiani, al telefono, alla radio e alla televisione.
Abbiamo cominciato col definire la cultura come la trasmissione di informazione comportamentale (memi) da un individuo all'altro, mettendo in rilievo la grande differenza che sussiste tra questo tipo di trasmissione e la trasmissione di geni, responsabile dell'evoluzione organica (evoluzione biologica o darwiniana, o evoluzione genetica attraverso la selezione naturale). Considerando gli animali diversi dall'uomo, abbiamo trovato molti esempi di trasmissione di memi, per quanto il numero dei memi trasmessi vari a seconda degli animali considerati. Negli insetti e negli uccelli i memi sono pochi, mentre nel caso dei mammiferi sono di più e nel caso di Homo sapiens la quantità è incomparabilmente maggiore. Oltre che dal maggior numero di memi, quest'ultimo è caratterizzato anche da una capacità assai più sviluppata di immagazzinare i memi nella memoria.
L'evoluzione culturale comporta sia la trasmissione comportamentale che la fissazione nella memoria della informazione trasmessa. Pertanto la quantità di cultura accumulata in forma di usanze e tradizioni è irrilevante negli uccelli e negli insetti, scarsa in molti mammiferi, assai più significativa nei primati, mentre ha un ruolo dominante e nettamente superiore negli esseri umani, grazie al potenziamento della trasmissione comportato dall'invenzione prima del linguaggio, poi della scrittura e in questo secolo dall'invenzione dei sistemi elettronici per la trasmissione dei messaggi. Considerando la storia della nostra evoluzione culturale, possiamo affermare che nel giro di poche migliaia di anni abbiamo fatto cambiamenti comparabili per portata a quelli dell'evoluzione genetica che si è compiuta in parecchi milioni di anni.
(V. anche Cultura; Genetica; Natura e cultura).
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