Evoluzione genetica e culturale
Fino a duecento anni fa, era convinzione generale che gli esseri viventi non cambiassero nel corso del tempo. Poi si è lentamente imposta l’evidenza che gli organismi si trasformano attraverso le generazioni. È un cambiamento che determina una continua differenziazione nello spazio come nel tempo, cui diamo il nome di evoluzione. Quale ne è la presenza e quale l’importanza nella cultura d’oggi? Cerchiamo qui di darne una visione d’insieme sulla base delle più recenti acquisizioni del sapere scientifico.
L’evoluzione biologica è una proprietà inevitabile degli organismi viventi, in quanto capaci di autoriprodursi, cioè di produrre copie di sé stessi. In qualsiasi processo di copia si generano inevitabilmente errori, o più in generale cambiamenti. Che si tratti di cambiamenti volontari oppure involontari, essi compariranno nella copia (i figli) come novità, attese o inattese, osservate oppure inosservate. Se queste sono ereditarie, cioè trasmissibili ai figli dei figli e così di seguito a tutti i discendenti, è inevitabile che vi sia evoluzione. Gli errori o i cambiamenti possono avere costi e/o benefici: se il costo è maggiore del beneficio, saranno probabilmente eliminati; nel caso opposto, invece, saranno assimilati.
In che cosa si traduce l’evoluzione nella vita reale? È una variazione nel tempo e nello spazio. Non riguarda soltanto gli organismi viventi, ma tutto il mondo fisico e chimico. Un tempo non c’erano le montagne che esistono oggi; altre esistevano già, ma erano più alte. Più anticamente, non c’era la Terra, ma c’era il Sole. In un tempo ancora più antico non c’era neanche il Sole.
In questo saggio dedicheremo un’attenzione particolare alla nostra specie. Anche noi siamo cambiati: per es., sessantamila anni fa in Europa vivevano solo uomini diversi da noi, di cui si conservano molti scheletri. Il primo è stato scoperto a metà dell’Ottocento scavando nella valle di Neandertal, in Germania occidentale, e ha dato il nome agli altri suoi simili, di cui sono stati trovati in seguito parecchi esemplari. Questi uomini erano più bassi di noi, ma relativamente più grossi, con ossa pesanti, mento e fronte sfuggenti. Non se ne sono trovati resti databili a meno di trentamila anni fa. Nelle ultime decine di migliaia di anni in Europa si sono rinvenuti solo resti di uomini molto simili a noi. Fino a pochi decenni orsono gli archeologi avevano creduto che i Neandertal si fossero trasformati negli europei moderni, ma poi sono state scoperte e datate molte altre ossa e, combinando dati archeologici e genetici, si è compreso che tutti gli uomini oggi viventi provengono da una piccola tribù che viveva in Africa orientale e che si è moltiplicata e diffusa nel mondo intero nell’arco di cinquantamila anni.
La sostituzione dei Neandertal da parte degli uomini ‘anatomicamente moderni’, cioè noi, è stata aiutata dal nostro linguaggio certamente molto più sviluppato, per cui è giusto interessarci anche di evoluzione culturale, ossia del progressivo cambiamento dei nostri costumi, delle nostre credenze e conoscenze, del perché continuiamo a inventare e a imparare nuove idee, parole, cose, o a dimenticarne. L’evoluzione culturale non è limitata alla specie umana, ma fra noi ha raggiunto una velocità molto elevata, grazie al linguaggio, alla struttura e alla storia delle nostre società.
Che cos’è l’evoluzione?
L’evoluzione della vita comporta sia la differenziazione sia la trasformazione delle specie, con un aumento in genere della varietà dei tipi esistenti. Questo può fornire a ogni specie maggiori probabilità di riuscire a sopravvivere e generare discendenza, in quanto la presenza di più tipi genetici diversi all’interno di una popolazione rende più facile superare le crisi che si prospettano quando l’ambiente cambia e pone sfide nuove. Se, per es., compare una nuova malattia infettiva che fa strage nella popolazione, una maggiore variazione può aumentare le probabilità che ci sia almeno un individuo resistente. Se la resistenza è genetica, cioè ereditaria, sarà trasmessa ai discendenti e potrà diffondersi nel corso del tempo.
Evoluzione non è necessariamente sinonimo di progresso o miglioramento. Differenziazione e trasformazione portano un aumento della varietà disponibile. La trasformazione comporta spesso, ma di nuovo non necessariamente, un aumento di complessità, che aiuterà ad adattarsi ai cambiamenti che intervengono di continuo nell’ambiente. L’evoluzione è stata molto lunga e numerosi organismi viventi presentano una struttura estremamente complicata ed efficiente. Tuttavia, ogni organismo è stato in grado di addattarsi ad ambienti diversi che presentano problemi differenti, e la complessità non è un fenomeno universale. I parassiti, per citare un esempio, si sono evoluti perdendo gran parte del proprio macchinario biologico, ma in compenso hanno affinato e sviluppato le funzioni che permettono loro di penetrare nell’ospite, di sfruttarlo e di uscirne per infettare altri ospiti, in modo sempre più efficiente.
Evoluzione significa soprattutto miglioramento della capacità di vivere nel proprio ambiente. Questo concetto è stato espresso sin dal tempo di Jean-Baptiste Lamarck, che all’inizio dell’Ottocento parlò di adattamento progressivo. La capacità di interagire positivamente con il proprio ambiente è ciò che decide, in definitiva, la sorte delle specie viventi, che possono esistere proprio perché si conformano all’ambiente in cui si trovano a nascere e vivere. L’aumento di varietà e complessità è favorito perché di solito fornisce alle specie più alternative e maggiore efficienza nell’ambito del proprio adattamento.
Un esempio dell’aumento di variazione determinato dalla necessità di adattamento è rappresentato dal caso della dafnia, un microscopico crostaceo che vive in ambienti di acqua dolce.
Normalmente le dafnie sono tutte femmine, non vi sono maschi. La riproduzione avviene per partenogenesi: nascono cioè solo figlie femmine, in tutto uguali alle madri e quindi perfettamente adattate all’ambiente in cui sorgono. Quando, però, interviene un cambiamento nell’ambiente, magari una variazione di temperatura, un inquinante che minaccia la sopravvivenza della popolazione, per es. un nuovo predatore, le dafnie rispondono cominciando a generare figli dei due sessi, maschi e femmine, che si incrociano tra loro, determinando una notevole diversità ereditaria nelle generazioni successive. Qualcuno dei nuovi tipi può contribuire in modo importante a superare la crisi ambientale, se questa non è troppo grave. Dopo un periodo in cui la maggiore variazione permessa dalla comparsa dei maschi e della generazione sessuale consente un migliore adattamento al nuovo ambiente, le dafnie riprendono a generare solo figlie femmine, uguali alla madre e quindi di nuovo ben adatte all’ambiente mutato, finché questo non cambia di nuovo. Anche la capacità di alternare cicli di partenogenesi e di riproduzione sessuale è un adattamento ereditario, di cui dispongono poche specie animali, ma che è assai comune tra le piante.
Il materiale biologico dell’evoluzione
La vita ha avuto origine più di tre miliardi di anni fa, con lo sviluppo di molecole formate da catene di acidi nucleici. Questi sono lunghi filamenti composti di unità dette nucleotidi, capaci di riprodurre sé stessi e anche di produrre sostanze più complesse: le proteine, di cui esiste un’enorme varietà, incapaci di riprodurre sé stesse, ma in grado di svolgere funzioni diverse molto specifiche. I processi vitali che costruiscono gli esseri viventi, formandone tutti i tessuti e gli organi che li compongono e permettono loro di crescere, vivere e moltiplicarsi, sono il prodotto di questi due tipi di molecole, gli acidi nucleici e le proteine.
In una prima fase dell’esistenza degli organismi viventi prosperava probabilmente un solo tipo di acidi nucleici, detti RNA (RiboNucleic Acids) o acidi ribonucleici. A questa prima fase ha fatto seguito una seconda, con la comparsa di altre molecole molto simili agli RNA, gli acidi deossiribonucleici o DNA (DeoxyriboNucleic Acids), molecole più rigide e chimicamente meno reattive dell’RNA, capaci di riprodurre sé stesse con meno errori. Il DNA ha così assunto maggiore importanza dell’RNA nello svolgere la funzione di patrimonio ereditario, cioè trasmissibile, dell’individuo (il suo genoma). Nella molecola di questo acido nucleico sono contenute tutte le informazioni necessarie per produrre nuovi individui quasi identici ai loro genitori, sulla base dell’ordine in cui si susseguono i quattro tipi di nucleotidi (A,G,C,T) che svolgono la stessa funzione delle lettere dell’alfabeto in un libro.
Oggi esistono ancora organismi che si riproducono esclusivamente a base di RNA, ma il patrimonio ereditario della gran maggioranza degli esseri viventi è formato di DNA che, grazie alla sua maggiore stabilità relativa, può dare origine più facilmente a organismi complessi. In questi, il primo prodotto del DNA è costituito da diversi RNA, composti anch’essi di quattro nucleotidi, di cui tre identici a quelli del DNA. Le proteine prodotte dal DNA, attraverso l’RNA che funziona da intermediario, sono le sostanze che costituiscono la massima parte del corpo dei figli e che ne assicurano il funzionamento.
Mutazione e selezione naturale
La prima fase della creazione di un nuovo individuo è la generazione di una copia del DNA, praticamente identica al DNA del genitore. Nella produzione di una copia si verificano inevitabilmente errori, ma nell’evoluzione vi è stata una tendenza automatica alla diminuzione del numero di errori di copia nel creare nuovo DNA. La copia del genoma che forma un figlio diviene ciò che il figlio usa per fare nuove copie da trasmettere ai suoi discendenti, per cui gli errori di copia avvenuti nel DNA di una generazione vengono trasmessi a tutte le generazioni successive. Questi cambiamenti trasmissibili, detti mutazioni, sono molto rari in quasi tutti gli organismi: dell’ordine di uno per milione di unità di DNA per generazione, ma con frequenza assai variabile a seconda del carattere ereditario considerato.
Un breve frammento di DNA potrebbe essere, per es., ACAACGATTTTCG, e la mutazione più semplice e più comune ACATCGATTTTCG, cioè la sostituzione di un’adenina (quarto nucleotide della prima sequenza) con una timina. La maggioranza delle mutazioni non ha effetto visibile, così come noi possiamo di solito comprendere il senso di una parola, anche se una lettera è cambiata. Tuttavia alcune mutazioni possono provocare un cambiamento importante: per es. l’incapacità dell’ala di un insetto di svilupparsi quando l’insetto adulto esce dalla crisalide e la sua ala si espande a partire da un minuscolo moncone. Una mutazione del moscerino drosofila rende impossibile l’espansione dell’ala, che rimane un moncherino, per cui l’insetto è incapace di volare e quindi, in pratica, di vivere normalmente.
La mutazione è un fatto casuale, non predeterminato a svolgere uno scopo preciso, e alcune mutazioni possono essere mortali. Ma anche mutazioni che sembrano incompatibili o quasi con la vita possono avere un effetto benefico. Il genetista francese Philippe L’Héritier negli anni Trenta del 20° sec. effettuò un famoso esperimento con la drosofila, mescolando individui normali con mutanti incapaci di sviluppare le ali, e pose la miscela in una regione della costa bretone ove soffia un vento da terra verso il mare. I moscerini con le ali normali venivano trasportati verso il mare e morivano, mentre quelli con le ali tozze, incapaci di volare, riuscivano a vivere a terra e persino a prosperarvi. È l’ambiente a scegliere chi è maggiormente in grado di riprodursi, cioè è più adatto. Nelle condizioni ambientali sperimentate da L’Héritier potevano sopravvivere solo i moscerini senza ali.
Il mantenimento della vita richiede soltanto di poter riprodurre sé stessi. La mutazione nel DNA si limita a trasmettere ai figli e ai loro discendenti le istruzioni per costruire il proprio corpo, con i vantaggi e gli svantaggi che ne discendono, come per il tipo ad ali normali e quello ad ali non sviluppate del nostro esempio, tuttavia vantaggi e svantaggi sono determinati dall’ambiente in cui si vive. Un altro esempio: i miopi sono incapaci di leggere senza occhiali, ma lo possono fare portando lo scritto molto vicino all’occhio; in tal modo vedono cose che chi è dotato di vista normale non riesce a vedere, come se disponessero di una lente molto forte. Pare che nell’antico Egitto, quando non esistevano lenti e occhiali, i miopi trovassero un buon impiego come orefici, dovendo fare spesso lavori di grende precisione, per i quali oggi si impiega una lente.
L’esperimento di L’Heritier è un esempio di selezione naturale indotta dallo sperimentatore. Vi sono parecchi casi di differenze provocate nell’uomo da fattori naturali quali, per es., il clima. Il colore nero della pelle serve come protezione contro la radiazione solare ultravioletta, ove essa è molto forte (ai tropici, quanto più si è vicini all’equatore), mentre è importante che la pelle sia bianca quando l’alimentazione è povera di vitamina D, la cui mancanza provoca rachitismo. La pelle bianca infatti permette ai raggi ultravioletti di giungere negli strati inferiori della cute, ove un enzima produce vitamina D a partire da altre sostanze presenti in cibi poveri di tale vitamina, come il frumento. In modo analogo, ai tropici, dove l’aria è calda e umida e non danneggia i polmoni, le narici sono larghe e corte, mentre sono lunghe e affilate dove l’aria è fredda e secca. La forma delle palpebre comune in Asia orientale, che lascia una fessura sottile alla vista, protegge gli occhi nelle regioni, come per es. la Mongolia, dove il vento è forte e gelido.
Mutazione e selezione naturale sono le cause principali dell’evoluzione biologica. La mutazione assicura un contributo costante di novità negli organismi viventi, che in circostanze speciali può rivelarsi utile. È la prima causa di evoluzione: potrebbe essere pericolosa se vi fossero troppi errori di copia, ma la frequenza di errori è mantenuta al livello giusto, per così dire, in modo automatico dalla selezione naturale. Si crea quindi abbastanza diversità nelle popolazioni perché a ogni cambiamento dell’ambiente vi possano essere tipi nuovi, anche se rari, in grado di risolvere problemi che potrebbero ridurre o sopprimere la capacità di sopravvivenza della specie.
Per mantenersi, però, gli organismi viventi devono sempre riprodursi più di quanto sarebbe strettamente necessario per il mantenimento del numero di individui esistente. La base del successo evolutivo è la possibilità di sostituire i tipi ereditari meno adatti fra quanti vivono oggi con altri leggermente diversi, che mostrino un migliore adattamento a un ambiente costantemente mutevole; per evitare il rischio di estinzione un organismo deve così riprodursi al di sopra della stretta necessità.
È fondamentale rendersi conto che la selezione naturale è un fenomeno del tutto automatico che avviene continuamente, perché quegli individui che hanno e trasmettono ai figli caratteri che danno loro un vantaggio rispetto alla media della popolazione produrranno più figli rispetto alla media degli altri individui. Di conseguenza il miglioramento evolutivo è automaticamente garantito dal meccanismo di autoriproduzione, che permette ai più adatti all’ambiente di produrre relativamente più figli in grado di crescere e riprodursi. Anche la frequenza di mutazione è sotto il controllo della selezione naturale.
Drift e migrazione
Vi sono, oltre alla mutazione e alla selezione naturale, altri due meccanismi importanti per l’evoluzione: la migrazione e i fenomeni casuali che prendono il nome di drifts, i quali dipendono dalle dimensioni di una popolazione (indicata dal numero dei riproduttori attivi all’interno di essa a ogni generazione). Gli effetti del drift sono dovuti al fatto che non tutti gli individui che formano una generazione contribuiscono a dare origine alla generazione successiva, e che il numero dei figli varia comunque da un individuo all’altro.
Come già accennato, tutti discendiamo da una popolazione di qualche migliaio di individui circa, che viveva in Africa orientale prima di 100.000 anni fa e che iniziò a riprodursi superando il limite di sopravvivenza nei luoghi di origine. Alcuni dei suoi componenti, in piccoli gruppi, crearono colonie vicine e vi si riprodussero con successo dando origine a nuove popolazioni, cresciute nel corso del tempo e dalle quali partirono in seguito altri gruppi di pionieri, per fondare nuove colonie a maggiore distanza. Nel corso dell’espansione originata da un piccolo nucleo iniziale di colonizzatori vi sono stati così centinaia o migliaia di episodi successivi di colonizzazione, che in seguito si sono estesi a tutto il mondo abitabile. Intorno a 60.000 anni fa queste popolazioni si sono diffuse al di fuori del continente africano: sono occorsi circa 50.000 anni per raggiungere il punto più lontano dall’origine, la Patagonia, traversando tutta l’Asia e penetrando in America Settentrionale attraverso lo Stretto di Bering (un percorso di circa 25.000 chilometri).
Un piccolo gruppo di fondatori produce un effetto statistico (il drift) che tende a diminuire la diversità genetica dei discendenti rispetto a quella del gruppo di origine, per la semplice ragione che non tutti i vari tipi genetici presenti nella popolazione madre possono essere rappresentati tra i pochi pionieri che fondano una colonia. Questa perdita di diversità genetica all’interno delle singole colonie ha contribuito alla creazione di differenze genetiche tra i discendenti delle diverse colonie che troviamo oggi nel mondo, formatesi nel corso dell’espansione in più direzioni e a diverse distanze. Queste differenze sono dovute anche al fatto che, nel corso della propagazione nel mondo abitato, si sono verificate, e in seguito diffuse localmente, nuove mutazioni: alcune sono state favorite dalla selezione naturale perché hanno rivelato migliore adattamento rispetto ad ambienti diversi, soprattutto perché ogni regione della Terra ha offerto climi, cibi e parassiti differenti.
Si hanno stime ancora molto grossolane su quante delle differenze osservate nelle variazioni locali della frequenza di nucleotidi siano dovute a mutazione e selezione naturale, cioè ad adattamento differenziale, piuttosto che a fenomeni di natura casuale, come il drift. Le differenze genetiche fra popolazioni create dal drift sono state controbilanciate in parte da nuove mutazioni, ma vengono ridotte anche dalle migrazioni reciproche fra popolazioni, che sono comuni e continue soprattutto fra gruppi geograficamente vicini. Lo scambio migratorio fra due comunità ha effetto opposto al drift: tende a rimescolare il pool genetico delle due popolazioni (l’insieme dei geni presenti in esse) e a ridurne la diversità relativa.
Per questi motivi, drift e migrazione si aggiungono ai due fattori evolutivi classici, mutazione e selezione naturale. Il drift è l’effetto statistico del caso su ogni nuova generazione, legato al numero di individui che le dà origine: provoca differenze tra popolazioni, che sono tanto più grandi quanto minore è il numero di individui che compongono le popolazioni stesse. È interessante notare che tre di questi quattro fattori (selezione naturale, drift e migrazione) sono misurabili e prevedibili esattamente in base a dati demografici, ossia dati di natalità, mortalità, fertilità, numero di individui e migrazione.
Nei fatti la demografia può permettere di fare previsioni straordinariamente esatte sull’andamento dell’evoluzione. Risulta, fra l’altro, che gli effetti statistici del drift hanno un’influenza di gran lunga superiore rispetto a quanto si supponeva all’inizio degli studi di genetica delle popolazioni, e permettono di spiegare molte apparenti stranezze nella distribuzione geografica ed etnica di parecchie malattie ereditarie, e anche di caratteri non patologici.
Mutazione, selezione e drift tendono ad aumentare le differenze tra le varie popolazioni umane presenti sul pianeta; la migrazione, all’opposto, tende a ridurle. Anche la selezione naturale può ridurre la diversità tra popolazioni, quando queste, benché lontane fra loro, siano sottoposte a identici fattori selettivi (come, per es., uno stesso clima). Quale può essere l’importanza relativa di queste cause distinte di evoluzione, e quale equilibrio si stabilirà fra categorie di cause con effetto opposto?
La diversità fra esseri umani
La differenziazione fra le popolazioni umane viventi è avvenuta in un tempo molto breve, poiché tutti gli uomini presenti nel mondo oggi discendono da quel piccolo gruppo africano che nel corso dell’espansione si è differenziato in numerose popolazioni locali. L’evoluzione si misura in generazioni, e poiché è breve il tempo in cui siamo evoluti (in 100.000 anni si succedono circa 4000 generazioni), le popolazioni odierne presentano poche differenze genetiche fra loro.
Lo studio del genoma, eseguito su un gran numero di nucleotidi, ha mostrato che la variazione fra individui della stessa popolazione è l’89% della variazione totale, mentre quella fra le diverse popolazioni di tutto il mondo esaminate finora è il resto, cioè appena l’11%. A questa stima del rapporto tra la variazione genetica entro popolazioni e quella fra popolazioni umane distinte si è giunti al principio del 2008, esaminando 650.000 nucleotidi del nostro genoma in circa 1000 individui provenienti da 52 popolazioni indigene di tutti i continenti (Li, Devin, Tang et al. 2008). Il numero totale di nucleotidi che formano il genoma umano è di oltre tre miliardi, tuttavia la stragrande maggioranza dei nucleotidi non mostra alcuna diversità da un individuo all’altro (o forse la mostra assai più raramente di quanto in effetti sia stato finora possibile accertare).
La stima della proporzione di nucleotidi che possono variare fra due genomi umani è di uno su duecento: indica che circa 15 milioni di nucleotidi sono variabili. Con i 650.000 nucleotidi studiati sono stati quindi esaminati circa uno su venti dei nucleotidi variabili fra individui. La stima dell’11% è molto accurata, essendo quasi identica sui 23 cromosomi dell’uomo, e corregge stime precedenti del 15%, meno accurate anche perché era più ridotto il numero di popolazioni e geni che si potevano studiare allora.
La stima odierna del numero di nucleotidi che variano fra due genomi umani è stata ottenuta sul primo genoma umano esaminato per intero (pubblicato nel 2007): quello di John Craig Venter, il ricercatore di Celera genomics che ha terminato l’analisi in tempo molto più breve dei concorrenti diretti dal governo statunitense. La stima si basa sul confronto completo fra i genomi trasmessi a Venter dai suoi genitori: il 99,5% dei nucleotidi dei suoi due genomi, paterno e materno, sono identici. La disponibilità di dati di questo genere crescerà nel prossimo futuro e aumenterà quindi la loro precisione.
Lo sviluppo dell’uomo moderno
Oggi sono stati ricostruiti molti dettagli dell’evoluzione umana negli ultimi 150.000-100.000 anni. L’espansione dall’Africa avvenne alla bassa densità di popolazione determinata dalle limitazioni dell’economia di caccia, pesca e raccolta di vegetali, che sola permetteva allora di procurarsi il cibo.
Lo stimolo alla crescita demografica derivò senza dubbio da alcune importanti invenzioni, come la navigazione, le nuove tecnologie litiche, gli strumenti e le strategie di caccia; ma già prima che l’espansione avesse inizio, il grande motore dell’evoluzione culturale umana, il linguaggio, doveva avere raggiunto il suo attuale sviluppo. La buona comunicazione che esso permette rese particolarmente rapida l’evoluzione culturale e favorì l’aumento numerico della popolazione, facilitando una serie di espansioni demografiche successive alle prime, che portarono alla colonizzazione del mondo intero. Al tempo stesso, la crescita demografica aumentò il numero potenziale di inventori e di invenzioni che il linguaggio, l’espansione dei gruppi sociali e le migrazioni reciproche poterono diffondere rapidamente. Non vi è accordo fra i linguisti sull’origine unica delle lingue, ma la capacità di qualunque gruppo di uomini vivente di imparare egualmente bene qualsiasi linguaggio dei 6000 ancora parlati oggi prova che l’uomo moderno possedeva i mezzi biologici quando è iniziata l’espansione. Il gruppo iniziale doveva essere piccolo, probabilmente delle dimensioni di una tribù che, per definizione, parla la stessa lingua.
L’archeologia mostra che l’uomo moderno aveva sviluppato un’arte avanzata già quasi quarantamila anni fa, come dimostrato dalle pitture della Grotta Chauvet nel Sud della Francia.
Dopo la diffusione dall’Africa al resto del mondo, alcune regioni che offrivano un ambiente particolarmente favorevole allo sviluppo demografico, per ecologia e clima, raggiunsero una densità di popolamento che non permetteva ulteriore crescita, e in diverse parti del pianeta comparvero sviluppi culturali che condussero alla produzione di cibo mediante l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento degli animali. La prima regione ove comparve l’economia agro-pastorale fu tra il Medio Oriente e l’Anatolia, a partire da circa 11.500 anni fa. Seguirono nuovi inizi nei millenni successivi, apparentemente autonomi, nella Cina del Nord e del Sud, in Messico, in Nuova Guinea, in Africa settentrionale e in quella occidentale. La maggiore disponibilità di cibo determinò un ulteriore sviluppo demografico.
Negli ultimi diecimila anni la popolazione umana è aumentata di mille volte, e una forte urbanizzazione si è avviata già 8000 anni fa. Il grande sviluppo demografico dell’uomo moderno (dalle poche migliaia di individui di 100.000 anni fa ai pochi milioni di 10.000 anni fa, quando comparve l’agricoltura, sino ai quasi sette miliardi odierni) è interamente dovuto all’evoluzione culturale, cioè alle nuove tecnologie sviluppate in questo periodo di tempo. Non si è trattato quindi di mutazioni genetiche, ma di ‘mutazioni’ di tipo completamente diverso: idee nuove. Le idee più utili hanno potuto diffondersi rapidamente dall’inventore che le ha originate, grazie alla comunicazione resa possibile dal linguaggio e ai nuovi sistemi sociali che si sono sviluppati per la necessità di vivere a densità di popolazione sempre più alte.
La trasmissione delle conoscenze
Se si usa il termine cultura per indicare le conoscenze che si accumulano in una specie nel tempo e nello spazio, è possibile comprendere i meccanismi dell’evoluzione culturale applicando molti dei concetti che permettono di capire l’evoluzione biologica, naturalmente trasformandoli per poterli applicare alla diversa natura di ciò che evolve: nella biologia geni (cioè DNA), nella cultura idee.
Un organismo vivente ne genera altri quasi identici a sé stesso perché esiste una trasmissione ereditaria per via genetica che oggi è ben compresa, grazie allo studio del DNA. Il passaggio delle nostre conoscenze da un individuo all’altro e il loro mantenimento sono resi possibili invece dalla trasmissione culturale, che è molto più ricca e complessa di quella genetica.
Negli animali, come nelle piante, la trasmissione genetica avviene esclusivamente da genitori a figli. Anche la trasmissione culturale ha luogo così, ma solo in parte: la si designa come trasmissione verticale, tenendo il termine orizzontale per contrassegnare invece tutti gli scambi che avvengono fra individui che non sono genitori e figli. La trasmissione culturale si realizza in molti modi e può essere ben più rapida di quella biologica, in cui ogni novità viene trasferita dai genitori a pochi figli e deve attendere una nuova generazione per diffondersi ulteriormente.
Per prevedere la velocità di evoluzione culturale occorre studiare questi meccanismi di trasmissione, e un’utile classificazione viene offerta dall’esame del rapporto tra il numero di coloro che trasmettono e quello di coloro che ricevono le informazioni, o di chi insegna e di chi impara. Se la novità viene passata da una persona all’altra per contatto diretto, come nel caso della diffusione di barzellette o di altre informazioni, che è molto simile a quella delle malattie contagiose, la diffusione è lenta, ma è pur sempre più rapida di quella biologica, perché l’unità di tempo che separa il momento in cui uno impara (o viene contagiato) da quello durante il quale uno insegna (o contagia a sua volta) è di solito più breve di una generazione, e può essere anzi brevissima.
Si parla in questo caso di trasmissione da uno a un altro, o comunque fra pochi, o fra piccoli gruppi. Ma se un maestro insegna a molti, e può trattarsi di moltissimi con i moderni mezzi di comunicazione, la diffusione di una novità qualunque può essere rapidissima e avvenire su una scala spaziale elevata (da uno a molti). Il numero dei possibili fruitori di una novità e la rapidità di trasmissione sono andate sempre aumentando nel corso della storia umana, a partire dall’invenzione della scrittura, che ha reso le informazioni disponibili anche a chi non è presente al momento e a generazioni non ancora nate, e poi della stampa, del telegrafo e del telefono, della radio e della televisione, del computer e della rete informatica. Quanto ai ‘maestri’, possono essere persone di forte potere o prestigio, che in qualche modo influenzano o controllano grandi masse: re e papi, autorità politiche e religiose, ma anche artisti, attori e cantanti. Più grandi sono l’autorità o il prestigio del trasmittente, maggiore è la penetrazione del messaggio che egli trasmette. Con lo sviluppo della rete informatica si è poi configurata una forma di trasmissione nuova, da molti a molti, con parecchi trasmettitori e parecchi ascoltatori, da cui è lecito attendersi una nuova accelerazione della velocità di evoluzione culturale.
Si è visto che la trasmissione biologica è, di necessità, molto conservatrice. Un organismo tende a formare una copia esatta di sé stesso: le piccole novità portate nella nuova generazione da mutazioni casuali non possono incidere che in misura assai modesta sull’assetto complessivo del nuovo organismo, perché altrimenti ne minaccerebbero la sopravvivenza, data la complessità delle strutture e delle funzioni che molti organismi viventi hanno sviluppato. Se organismi e popolazioni sopravvivono a lungo è perché si integrano bene nel proprio ambiente di vita. Anche la trasmissione culturale verticale tende a essere, alla stessa stregua, molto conservatrice.
La trasmissione orizzontale tende invece a introdurre novità e cambiamenti, che possono essere particolarmente vasti e veloci quando essa avviene da uno a molti (basti pensare alla rapida diffusione delle mode). Vi è però un caso opposto, che può rendere anche la trasmissione orizzontale quanto mai conservatrice: è la trasmissione da molti a uno, che tende a uniformare l’individuo ai comportamenti e ai valori del gruppo cui appartiene. Così si diffondono le leggi dello Stato e le norme del vivere civile; così l’esercito e le chiese ottengono obbedienza e disciplina; così le mafie impongono l’omertà ai propri associati, e la società detta le sue regole all’immigrato.
Può essere, naturalmente, che una novità sia difficile da accettare. Chi la comunica a un gruppo può trovare allora una risposta negativa dello stesso: la novità non riuscirà a superare la barriera del conformismo, o sarà giudicata inutile e scartata. In questo caso vi è una resistenza di molti che renderà poco probabile l’accettazione. La trasmissione vincente sarà allora quella da molti a uno, a meno che il trasmittente abbia grande potere, prestigio o fascino, o che la nuova idea sia invincibile.
Le idee
Le novità, le mutazioni culturali, sono rappresentate dalle idee. La nuova idea ha la stessa funzione che la mutazione ha in biologia, specie se gli inventori sono solamente una piccola frazione di una popolazione; in una popolazione di dimensioni più grandi, invece, vi sarà un numero maggiore di inventori e quindi un’evoluzione culturale più rapida.
Purtroppo non si hanno ipotesi precise su che cosa sia un’idea, se non un’attività fondamentale del cervello. Deve essere una manifestazione di circuiti neuronali, ma oggi non si sa nemmeno quando si comincerà a capire di cosa esattamente si tratti. Fino al 1953, del resto, non si conosceva la natura del patrimonio ereditario, e quindi cosa fosse una mutazione biologica. Pure, quando la genetica ignorava ancora tutto sull’argomento, è stato egualmente possibile capire molte cose e generare numerose leggi scientifiche tuttora usate, a cominciare da quelle di Gregor Mendel sull’eredità dei caratteri semplici.
Un’idea si riproduce quando viene passata al cervello di un altro, e questo passaggio è l’equivalente di un’autoriproduzione. Come in ogni processo di autoriproduzione, bisogna però che l’apprendimento abbia successo, cioè che l’idea sia adottata, altrimenti è come se la trasmissione non fosse avvenuta. Questa fase equivale a quella della selezione naturale in biologia: è la selezione culturale.
La misura del successo evolutivo
In natura, il successo riproduttivo di una specie coincide in pratica con il suo successo evolutivo. La selezione naturale si misura in base alla variazione individuale della fitness darwiniana di un tipo ereditario, che è definita come la differenza relativa tra il numero medio di figli di un tipo biologico e la media della popolazione. Se un nuovo tipo ereditario ha fitness superiore alla media si diffonderà nella popolazione, se ne avrà una minore diminuirà e alla fine andrà perduto: il segno e il valore della fitness determinano la direzione e la velocità della selezione naturale. In modo simile, la selezione culturale promuove le invenzioni che sono più adatte.
Chi adotta le invenzioni, però, si troverà in ogni caso sottoposto a selezione naturale per queste stesse invenzioni, come più in generale per ogni costume che ha appreso o adottato o inventato. Imparare a nuotare, o a costruire un’imbarcazione, può permettere di traversare un fiume o un tratto di mare altrimenti invalicabili, ma espone anche al rischio di affogare, travolti da una corrente o da una tempesta: un pericolo che non corre chi rimane a terra. Chi cade in balia di una droga pericolosa può morire anzitempo, o in altri modi procurarsi una fitness darwiniana negativa.
L’Italia è da tempo in decremento demografico perché la natalità è scesa moltissimo. La popolazione non diminuisce di numero solo perché vi è sufficiente immigrazione dall’estero. Le popolazioni mondiali numericamente importanti che mostrano questo eccezionale calo delle nascite sono pochissime: Germania, Giappone e Italia e, in modo meno chiaro, altre popolazioni della costa settentrionale del Mediterraneo, in genere ad alta densità.
Vale la pena notare che l’aumento numerico non è più auspicabile per la nostra specie, che da tempo ha superato la capacità portante dell’ambiente: lo dimostrano innanzitutto la fame e la miseria che affliggono oltre un terzo dell’umanità. Benché l’ingegnosità umana possa essere in grado di sviluppare nuove fonti di cibo, il fortissimo impatto della cultura umana sull’ambiente sta determinando un progressivo degrado degli ecosistemi che hanno fornito il nutrimento fino a oggi. La spontanea diminuzione numerica di alcune popolazioni può essere vista come la prima manifestazione di un nuovo adattamento culturale a condizioni ambientali in via di mutamento. La tendenza demografica della popolazione mondiale suggerisce, in ogni caso, un andamento della crescita numerica che porterà al raggiungimento di uno stato di relativo equilibrio nel decennio 2040-2050.
La cultura non è fenomeno esclusivo della nostra specie: l’uomo non è l’unico animale culturale, benché sia certo di gran lunga il più attivo, grazie alla comunicazione resa possibile dal linguaggio. La cultura si fonda sulla comunicazione, per cui non stupisce che le specie più sociali siano anche le più culturali. Gli insetti eusociali (api, formiche ecc.) hanno raggiunto livelli di socialità molto più elevata della nostra, perché hanno avuto più tempo per evolvere e hanno differenziato geneticamente i loro ruoli sociali, stabilizzando la struttura delle loro comunità. Hanno sviluppato linguaggi e anche capacità numeriche tutt’altro che trascurabili. Forme avanzate di cultura si ritrovano tra i mammiferi e gli uccelli, ma anche tra organismi molto semplici si continuano a scoprire esempi di socialità.
Istituzioni e organizzazioni
Vi sono strutture sociali, come istituzioni e organizzazioni, divenute ormai simili a organismi complessi, con una propria capacità di autoriprodursi e dunque di evolvere indipendentemente. Ogni organismo vivente, soprattutto gli eucarioti (composti di una o molte cellule assai complesse, a differenza dei procarioti come batteri e virus) ha all’interno delle proprie cellule l’ambiente adatto affinché il suo patrimonio ereditario (il suo genoma, cioè il DNA) possa creare copie di sé stesso, assicurando l’autoriproduzione dell’intero organismo. In modo analogo agiscono le organizzazioni e le istituzioni che sono diventate indispensabili alla vita sociale. Naturalmente, possono mantenersi solo finché la nostra specie continuerà a esistere e ne avrà bisogno.
Queste istituzioni e organizzazioni hanno nature diverse: governi e politici, leggi e tribunali, giudici e avvocati, scuole e insegnanti, eserciti, banche, industrie, sindacati, cinema e teatri, negozi, ristoranti, caffè e bar, abitazioni, e si potrebbe continuare a lungo. Come vi è una teoria matematica dell’evoluzione culturale, così ne esiste una per queste organizzazioni, che è importante anche per gli animali, centrata soprattutto, per il momento, sulle abitazioni (teoria delle nicchie, Odling-Smee, Laland, Feldman 2003).
Un processo ‘quasi-intelligente’
L’autoriproduzione comporta automaticamente anche mutazioni, ma nell’evoluzione culturale il processo elementare di mutazione presenta una differenza fondamentale rispetto alla mutazione biologica: non è casuale e non va in direzione imprevedibile. È invece cosciente, e spesso volontario, diretto verso un preciso scopo, benché anche nelle scoperte e nelle invenzioni vi sia spesso un elemento casuale. Questa sua caratteristica tende a rendere il processo culturale più rapido, benché comunque limitato dalla rarità delle invenzioni (forse dovuta anche al semplice fatto che gli inventori sono pochi). L’invenzione importante potrebbe essere tanto rara quanto la mutazione biologica importante; ma mentre quest’ultima si può diffondere solo molto lentamente per trasmissione verticale, le mutazioni culturali importanti – ovverosia le invenzioni veramente utili, o almeno facilmente adottate – possono spargersi per trasmissione orizzontale con grande rapidità.
Un movimento nato negli Stati Uniti da particolari gruppi finanziari e religiosi ha cercato negli ultimi anni di diffondere, e di portare persino nell’insegnamento scolastico delle scienze, una spiegazione delle diversità tra le specie opposta all’evoluzione, che va sotto il nome di intelligent design (progetto intelligente), e attribuisce a enti sovrannaturali (ovviamente divini, anche se spesso non nominati) le differenze tra le specie, in particolare quella tra la nostra specie e le altre. Naturalmente, l’introduzione di spiegazioni sovrannaturali rende impossibile considerare questo approccio come parte della scienza.
In un certo senso, l’evoluzione culturale può essere descritta come un processo ‘quasi-intelligente’ (senza con questo segnalare alcuna simpatia per il ‘progetto intelligente’). La nostra specie fa ampio uso di capacità scientifiche, sia razionali sia intuitive. La limitazione fondamentale suggerita dal dubbio introdotto dalla parola ‘quasi’ trae origine dalla nostra incapacità di valutare costi e benefici di ogni innovazione.
L’impatto della cultura
L’esperienza dimostra che ogni innovazione, anche la più importante, ha costi oltre che benefici. L’agricoltura ha permesso di aumentare di mille volte il numero degli esseri umani, ma ha anche dato avvio alle prime forme di inquinamento ambientale su vasta scala, con l’erosione e la salificazione dei suoli e la progressiva desertificazione di intere regioni, già a partire dai primi millenni dopo la sua comparsa. Nel Settecento, il carbone ha sostituito la legna come sorgente di energia e ha permesso la rivoluzione industriale, ma ha oscurato i cieli, specie in Inghilterra, portando rachitismo e malattie broncopolmonari, per non parlare dello sfruttamento dei minatori. L’era del petrolio e del gas a basso costo ha permesso lo sviluppo di gran parte del mondo contemporaneo, ma ha portato gravissimi problemi di impatto ambientale. La sua fine potrà coincidere con la fine delle società che ha contribuito a creare. Non è chiaro se l’invenzione dell’energia atomica fornirà un aiuto fondamentale nella transizione a modelli energetici sostenibili, o se provocherà una guerra catastrofica per l’umanità (come ebbe a dire Albert Einstein: «Non so esattamente con che armi sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta sarà combattuta con bastoni e pietre»). La rete telematica planetaria promette un livello finora inimmaginabile di comunicazione interumana, con straordinaria accelerazione del processo di diffusione delle novità, ma è intrinsecamente fragile, e ogni suo crollo o discontinuità è destinato ad avere conseguenze molto gravi su società che ne divengono via via più dipendenti. Una recentissima invenzione, il suicidio con cinture esplosive in luoghi pubblici per conquistarsi il paradiso islamico, è una perenne minaccia all’integrità fisica di individui del tutto incolpevoli in più regioni del mondo. È una pericolosa forma di egoismo e la prova migliore di quanto possano divenire dannose le religioni, anche se fondate con le migliori intenzioni.
L’evoluzione culturale non ha ancora portato al vero trionfo dell’intelligenza, almeno nell’uomo. Del resto, anche dell’evoluzione culturale si può dire quanto si afferma dell’evoluzione biologica: che non produce necessariamente un miglioramento, ma genera diversità e trasformazione, cioè aumento della varietà disponibile di tratti culturali umani. Questo comporta spesso, ma non sempre, un aumento di complessità. Significa infine miglioramento della capacità di interagire con l’ambiente, perché ogni innovazione, dopo essere passata al filtro della selezione culturale esercitata dall’ambiente umano, per potere ottenere successo deve superare il filtro della selezione naturale.
Quando gli europei raggiunsero la Tasmania, scoprirono che gli aborigeni non erano più in grado né di accendere il fuoco né di costruire imbarcazioni. Non si trattava necessariamente di un segno di regressione: non avevano più bisogno di accendere il fuoco, perché i fuochi erano mantenuti sempre accesi; le barche probabilmente non servivano, perché il pesce abbondava in mare e potevano pescarlo a riva. La cultura, esattamente come la biologia, è ciò che ci permette di interagire con l’ambiente, ed è solo naturale che un’invenzione sia abbandonata o rimpiazzata, una volta che non se ne veda più il vantaggio. In modi simili, organi divenuti inutili vengono scartati nel corso dell’evoluzione: i pipistrelli, come altri animali che abitano nell’oscurità delle caverne, hanno perso l’uso degli occhi o gli occhi stessi e hanno sviluppato nuovi organi che permettono loro di andare in giro, cambiando quindi in modi che non implicano necessariamente regressione, ma piuttosto un adattamento più efficace al proprio ambiente, dal momento che nell’oscurità la vista non serve, mentre è facile ferirsi gli occhi al buio e sviluppare infezioni pericolose.
La cultura come strumento di adattamento
Esattamente come la biologia, la cultura evolve in funzione dell’adattamento di una specie al suo ambiente. Nel caso umano, si è rivelata il più potente strumento di adattamento a disposizione della nostra specie. Chi attualmente si trovi ad abitare i climi rigidi dell’estremo Nord del mondo non ha più bisogno di sviluppare adattamenti biologici che richiederebbero molti millenni: la tecnologia gli procura tutto quanto può servire.
La cultura quindi fornisce estensioni del nostro assetto biologico. In aggiunta a questo, permette di controllare la nostra biologia, in misura maggiore o minore. Lo vediamo ogni volta che un farmaco o un intervento chirurgico salvano la vita di una persona altrimenti condannata a morire. Alcune innovazioni culturali hanno influenzato in modo importante la nostra stessa biologia: l’agricoltura e l’allevamento degli animali, per es., hanno diffuso ampiamente fra le popolazioni umane le mutazioni che permettono di digerire il glutine contenuto nei cereali, o di digerire ancora il latte dopo che l’allattamento al seno ha avuto termine. Hanno anche aumentato la diffusione tra gli uomini di malattie contagiose responsabili di importanti epidemie e prima limitate quasi esclusivamente agli animali oggi domestici, quando erano selvatici. Queste invenzioni si sono così trasformate in potenti fattori selettivi. I nostri strumenti culturali possono portare persino al di là della nostra stessa biologia, come quando un astronauta viaggia nello spazio, oltre i confini che la natura ha assegnato ad animali come noi, grazie all’ambiente artificiale assicurato da un veicolo e da una tuta spaziali.
In misura immensamente superiore a ogni altra specie animale, l’uomo ha adattato l’ambiente alle proprie esigenze, incidendo in profondità sugli habitat naturali e creandone altri artificiali in cui vivere. Si può dire anzi che l’ambiente planetario sia oggi un ambiente umano, poiché non vi è praticamente area del pianeta che non rechi i segni dell’intervento dell’uomo. La sorte di parecchie decine di migliaia di specie viventi è ora affidata all’azione umana. Se la progressiva perdita di biodiversità si risolverà in una nuova estinzione di massa, come numerosi indicatori sembrano suggerire, la prossima estinzione non sarà stata indotta da un meteorite, ma dall’uomo.
Bibliografia
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L.L. Cavalli-Sforza, P. Menozzi, A. Piazza, The history and geography of human genes, Princeton 1994 (trad. it. Milano 1997).
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