Evoluzione
Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) fu il primo a sviluppare, all'inizio del XIX sec., una teoria concreta dell'evoluzione graduale, basata sull'eredità dei caratteri acquisiti e sulla tendenza naturale degli organismi ad andare verso una maggiore complessità. Il concetto di 'evoluzione' si impose però solo dopo la pubblicazione nel 1859 dell'opera On the origin of species di Charles Darwin (1809-1882), in cui lo scienziato teorizzò il meccanismo della 'selezione naturale'. La teoria dell'evoluzione ha finalmente consentito di sviluppare una concezione unitaria di tutti gli organismi viventi e più di ogni altro concetto scientifico ha contribuito alla comprensione dell'uomo. Il termine evoluzione implica un mutamento graduale, generalmente orientato in una determinata direzione. Più precisamente, l'evoluzione biologica si definisce come 'mutamento nella diversità e adattamento di popolazioni di organismi'. Essa riguarda tutti gli aspetti degli organismi, ossia strutture, percorsi di sviluppo, funzioni, specie ed ecosistemi interagenti.
Quando Lamarck e Darwin proposero le loro idee, si parlava di 'teoria' dell'evoluzione percepita, dunque, nel suo carattere ancora ipotetico. Oggi l'evoluzione è invece un dato assolutamente certo, quanto il fatto che la Terra gira intorno al Sole o che la Terra è sferica e non piatta. Le prove a favore dell'evoluzione sono varie e tutte schiaccianti: tra queste, per esempio, le serie di fossili incluse in strati geologici accuratamente datati mediante precisi metodi di misurazione della radioattività. L'evoluzione è anche comprovata dallo studio del fenomeno dell'ereditarietà, che ci ha insegnato che a ogni generazione si forma un nuovo assortimento di genotipi, e dalle ricerche di biologia molecolare, che hanno consentito la ricostruzione di mutamenti succedutisi nel tempo in determinate molecole, mutamenti cui hanno fatto riscontro quelli di certe caratteristiche strutturali, scoperti da anatomisti e tassonomisti. Vi sono comunque alcuni specifici problemi evolutivi che devono ancora essere risolti e generano controversie anche aspre; tuttavia queste controversie non mettono assolutamente in discussione l'evoluzione come dato di fatto.
È stato a partire dagli anni Quaranta del XX sec. che le posizioni, precedentemente avversate, dei biologi evolutivi hanno ricevuto un ampio consenso, confluendo in quella che Julian Huxley ha chiamato la 'sintesi evolutiva', che costituisce ancora oggi il quadro concettuale della biologia evoluzionista. L'evoluzione, secondo la teoria sintetica, è provocata dalla produzione incessante di variazione genetica, attraverso processi casuali, e dal diverso grado di sopravvivenza e di riproduzione dei nuovi individui, geneticamente unici, prodotti da questo processo. Il successo riproduttivo differenziale degli individui è ciò che Darwin ha chiamato 'selezione naturale'.
Il processo di selezione ha comunque limiti, che derivano soprattutto dalla precedente storia evolutiva degli organismi. Questi infatti sono, a ogni livello, dal genotipo al fenotipo, sistemi altamente integrati, per cui ogni cambiamento si riflette su tutte le parti del sistema. Cambiamenti drastici sono quindi esclusi dal consueto corso dell'evoluzione, che sulla normale scala temporale della microevoluzione sarà lento e graduale.
I due principali problemi dell'evoluzione sono la spiegazione dell'origine della grande varietà di organismi sulla Terra e la spiegazione degli adattamenti reciproci fra organismi e dell'adattamento degli organismi al mondo in cui vivono. Tutti gli altri aspetti dell'evoluzione rientrano nell'ambito di queste due problematiche.
Prima di Darwin, la grande varietà degli organismi veniva spiegata come prodotto della creazione divina o come risultato dell'origine istantanea e spontanea di nuovi tipi. Secondo questa concezione saltazionista, le specie si moltiplicherebbero attraverso l'improvvisa comparsa di singoli individui che rappresenterebbero una nuova specie, un nuovo genere o una nuova categoria superiore.
La spiegazione fornita da Darwin per la moltiplicazione delle specie era fondamentalmente diversa. Secondo Darwin le specie erano prodotte attraverso la modificazione graduale di popolazioni. Anche se questo processo graduale è di gran lunga il più comune processo di speciazione, notiamo che casi di speciazione istantanea esistono, in particolare fra le piante, e sono prodotti da duplicazione cromosomica in specie ibride (allopoliploidia) e da altri processi cromosomici. Il verificarsi di questa speciazione istantanea, comunque, non sembra avere un gran significato evolutivo.
Una condizione imprescindibile per comprendere la speciazione è aver capito la natura delle specie biologiche. Darwin introdusse il concetto di 'specie di popolazioni', secondo cui le specie sono aggregati di popolazioni, isolati dal punto di vista riproduttivo da altri aggregati consimili. L'isolamento riproduttivo è attuato dai cosiddetti 'meccanismi di isolamento' (come le barriere di sterilità o le incompatibilità comportamentali); tali meccanismi sono responsabili della discontinuità fra specie che condividono le stesse aree geografiche. Il problema della speciazione è come possa una tale discontinuità evolvere gradualmente. Nella maggioranza dei casi, questo processo si verifica a causa dell'isolamento geografico delle popolazioni e della loro conseguente divergenza genetica. Questo processo si chiama 'speciazione geografica' o 'allopatrica' e può avvenire in due modi. Nel primo caso, le popolazioni che originariamente vivevano in contatto reciproco vengono separate da una barriera sorta in un secondo tempo (un braccio di mare o una discontinuità nella vegetazione). Mutazioni, processi stocastici e fattori di selezione saranno diversi nei due tronconi separati della specie originaria (essendo ogni scambio di geni fra di essi impedito dalla barriera geografica) e a tempo debito le due popolazioni figlie saranno sufficientemente diverse da comportarsi, l'una nei confronti dell'altra, come fossero due specie distinte. Nel secondo caso, una popolazione fondatrice si stabilisce oltre i confini del territorio originario della specie. Questa nuova popolazione, fondata da una singola femmina fecondata oppure da pochi individui, conterrà soltanto poche e spesso insolite combinazioni dei geni della popolazione madre e sarà esposta a un nuovo insieme di pressioni di selezione. Una tale popolazione, quindi, viene modificata geneticamente in maniera alquanto drastica e può speciare rapidamente. Per di più una siffatta popolazione fondatrice, a causa della sua limitata base genetica e della drastica ristrutturazione genetica che subisce, risulta particolarmente adatta a dare origine a nuove linee evolutive.
La teoria della discendenza comune possiede uno straordinario potere esplicativo ed è quindi stata adottata da botanici e zoologi con grande entusiasmo. Essa spiega le ragioni dell'esistenza della , le somiglianze anatomiche fra organismi appartenenti allo stesso tipo morfologico e la natura delle somiglianze fra le strutture molecolari di organismi più o meno strettamente imparentati. In base a questa teoria ci si aspetterebbe una completa continuità fra tutti i taxa di organismi. L'evoluzionista, a dire il vero, è convinto che ci sia stata una tale continuità, e che le piccole e grandi lacune che ora si riscontrano fra molti taxa siano dovute al fatto che diverse specie si sono estinte. Che una tale estinzione abbia effettivamente avuto luogo è documentato nei più recenti strati geologici, che contengono probanti reperti fossili. Tuttavia non è sempre possibile trovare anelli mancanti tra i taxa: l'evoluzione avviene spesso in modo rapido e su popolazioni piccole e isolate, così che è estremamente difficile ritrovare tracce fossili del processo. Tuttavia, non ogni filogenesi è stata divergente. Per esempio, nelle piante l'ibridazione può talvolta portare a nuove specie e attualmente si dispone di molte prove del fatto che gli eucarioti abbiano avuto origine da una simbiosi fra linee di procarioti preesistenti.
La teoria della selezione naturale di Darwin aveva come obiettivo una spiegazione in termini naturali dell'adattamento e dell'armonia complessiva del mondo vivente. Il procedimento logico di Darwin era il seguente: esiste una grande sovrapproduzione di individui a ogni generazione, ma, dal momento che le risorse naturali sono limitate, soltanto una piccolissima percentuale dei membri di ogni generazione può sopravvivere. In secondo luogo, tutti i nati si distinguono l'uno dall'altro per quel che riguarda il patrimonio genetico e quindi, almeno in linea di principio, differiscono per quel che riguarda il rispettivo adattamento all'ambiente comune e l'abilità di competere con i propri simili. In terzo luogo, le cause delle differenze nelle capacità di adattamento sono in parte ereditarie. Ne consegue che gli individui dotati delle maggiori capacità di adattamento hanno maggiori possibilità di sopravvivere e di riprodursi. In virtù di questa sopravvivenza non casuale vi sarà un mutamento continuo nel mondo vivente, in altre parole vi sarà evoluzione.
La selezione naturale avviene in due stadi: nel primo si verificano i processi attraverso cui si genera la moltitudine di individui che nel secondo stadio saranno esposti alla selezione naturale. Dato che ognuno di questi individui è unico dal punto di vista genetico, si può anche dire che il primo passo della selezione naturale consiste nella produzione di variazione genetica, attraverso i diversi meccanismi di casuale che avvengono durante la riproduzione sessuale. In questo modo la variazione prodotta è pressoché illimitata. Con la produzione di uno zigote ‒ un uovo fecondato ‒ comincia il secondo stadio del processo di selezione naturale. Da questo momento in poi la buona qualità del nuovo individuo è costantemente messa alla prova, dallo stadio di larva (o di embrione) fino all'età adulta e al periodo riproduttivo. Solo gli individui più efficienti nel far fronte alle avversità dell'ambiente e agli scontri con gli altri membri della stessa specie sopravvivranno fino all'età della riproduzione e si riprodurranno con successo, in relazione al patrimonio genetico di ogni individuo.
La differenza fondamentale fra il primo e il secondo stadio della selezione naturale dovrebbe ora essere chiara: nel primo, quello della produzione di variazione genetica, ogni evento è casuale; nel secondo, quello della sopravvivenza e della riproduzione differenziali, il caso svolge un ruolo di gran lunga minore e il successo dell'individuo è in larga misura determinato dalle sue caratteristiche genetiche. Ciò rende anche evidente come il bersaglio della selezione sia l'individuo. È l'individuo che sopravvive o meno, che si riproduce con successo oppure no. Può darsi che un singolo gene sia responsabile della superiorità o dell'inferiorità di un individuo, ma ciò non toglie che sia l'individuo nel suo insieme, o, più correttamente, il suo , il bersaglio effettivo della selezione.
Evidentemente nessun individuo può contribuire al pool genetico della generazione successiva se non sopravvive fino all'età della riproduzione; il tasso di mortalità fra il momento della fecondazione dello zigote e l'età riproduttiva è molto alto. Dato che ogni individuo, nelle specie che si riproducono sessualmente, è diverso da tutti gli altri membri della popolazione cui appartiene, in media differirà dagli altri per numerose proprietà. Gran parte della mortalità fra il momento della fecondazione e l'età adulta è dovuta all'eliminazione di individui (zigoti) che difettano dell'una o dell'altra capacità adattativa o le posseggono in misura non adeguata. Non tutta la selezione è di questo tipo negativo: la selezione naturale non solo colpisce inferiori, ma favorisce anche la sopravvivenza e la riproduzione di genotipi superiori. Poiché questi individui favoriti sono il risultato di una ricombinazione genica che si verifica durante la meiosi, la selezione naturale è un processo creativo che dà come risultato l'adattabilità degli individui.
L'adattamento non è un fatto accidentale, ma il risultato di un processo di selezione che ha ulteriormente perfezionato le primitive versioni dei tratti adattativi presenti nell'organismo attualmente vivente. Dal momento che il bersaglio della selezione è l'individuo nel suo complesso, esso è considerato ben adattato se riesce ad affermarsi nel corso del processo di selezione. Ciascuna componente del fenotipo non viene sottoposta alla selezione separatamente, ma solo in quanto parte dell'intero fenotipo; per questo motivo non è necessario che singoli aspetti del fenotipo siano perfetti, fintantoché il fenotipo nel suo insieme risulti ben adattato.
Gli eventi evolutivi più importanti che intervengono nel processo di adattamento sono gli spostamenti di certi organismi in nuove nicchie o in nuove zone adattative. Quando gli antenati dei primi Anfibi emersero dall'acqua, non erano affatto perfettamente adattati alla vita sulla terraferma, ma possedevano certe strutture, come i polmoni, uno scheletro interno, estremità che consentivano loro di camminare ecc., che costituivano preadattamenti alla vita sulla terraferma. Ciò dimostra che alcune strutture o altre caratteristiche di un organismo, oltre a costituire adattamenti al particolare ambiente in cui l'organismo vive in quel momento, possono anche assumere il ruolo di preadattamenti quando l'organismo in questione si sposta in una zona adattativa diversa.
Malgrado la casualità del processo di selezione naturale, gli organismi che vivono in un ambiente più o meno stabile sono, in genere, ragionevolmente ben adattati. Quando l'evoluzionista studia un organismo, cerca di ricostruire le forze selettive che hanno portato alla formazione delle sue diverse caratteristiche. Questa strategia di ricerca ha conseguito straordinari successi e ha permesso di capire molte caratteristiche che prima non si riuscivano a spiegare. Tuttavia, dal momento che il bersaglio della selezione è l'organismo nel suo insieme, sarebbe un errore insistere sul fatto che ogni singola caratteristica di un organismo debba possedere un proprio valore adattativo.
Di fronte alla varietà possibile degli adattamenti, come definirne con certezza il valore in termini di selezione? Il contributo relativo dell'individuo (in termini di prole) alla generazione successiva fornisce in molti casi una misura adeguata, ma esistono eventi casuali (un fulmine che colpisce un individuo e non il fratello) che nulla hanno a che fare con l'adattamento. L'adattamento è stato quindi ridefinito in termini di 'tendenza' a sopravvivere e a riprodursi con successo. È la 'speranza' (intesa in senso statistico) in questo successo, fatti salvi tutti gli incidenti e le evenienze improbabili, che misura il grado di adattamento.
Esistono limiti severi all'efficacia della selezione, che le impediscono di produrre adattamenti 'perfetti'. Le ragioni di questa limitazione sono diverse. La prima è il potenziale del genotipo, cioè le possibilità concesse dall'effettiva organizzazione genetica di un organismo. Per esempio, nei Mammiferi le dimensioni non possono scendere al di sotto di un certo limite e la selezione, per quanto forte, non è riuscita a produrre Mammiferi più piccoli del toporagno nano. Si verificano poi alcuni processi casuali da cui dipende gran parte della sopravvivenza e della riproduzione differenziali in una popolazione. Le combinazioni genetiche casuali prodotte nei processi riproduttivi, anche se potenzialmente favorevoli, sono spesso distrutte da forze ambientali che agiscono indiscriminatamente, come alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, senza che la selezione naturale abbia l'opportunità di favorire questi genotipi.
La selezione, inoltre, non può agire frequentemente sulle diverse risposte che gli organismi possono dare ai problemi posti dall'ambiente, perché è l'effettiva struttura dell'organismo che spesso determina la soluzione adottata. Ogni evoluzione rappresenta un diverso compromesso fra i requisiti necessari per la sopravvivenza e la struttura preesistente, che restringe notevolmente le possibilità di evoluzione futura. Se l'evoluzione ha prodotto un organismo molto flessibile nei comportamenti fenotipici (come l'uomo, capace di adattamenti fisiologici a diversi ambienti), ciò riduce la forza di una pressione selettiva avversa. La selezione naturale, ovviamente, interviene anche in questo fenomeno, dal momento che la capacità di adattamento non genetico è sotto stretto controllo genetico. Può anche succedere che una popolazione che si sposti in un nuovo ambiente con caratteristiche specifiche acquisisca, con la selezione, geni che rinforzano e alla fine rimpiazzano in larga misura la capacità di adattamento non genetico.
La selezione è inoltre vincolata alle interazioni tra le diverse componenti del morfotipo, le quali non sono indipendenti l'una dall'altra. In particolare, il processo di sviluppo individuale è limitato da queste interazioni e gli organismi rappresentano compromessi fra richieste contrastanti. Ogni cambiamento di zona adattativa lascia un residuo di caratteristiche morfologiche che costituiscono, in effetti, un impedimento. Per questo il processo di sviluppo sembra tortuoso e non ottimale: l'alta integrazione del sistema non permette scorciatoie. Anche l'organizzazione del genoma costituisce un limite al potere della selezione. Esistono infatti diverse classi funzionali di geni, e molti di essi sono organizzati in sistemi funzionali, che per molti versi agiscono all'unisono. Tuttavia, questo è forse il settore più controverso della biologia evolutiva, poiché sussiste ancora incertezza a proposito dell'effettiva organizzazione del genotipo. Tutto ciò che si apprenderà sulla struttura del genotipo darà informazioni fondamentali sul modo in cui opera l'evoluzione; nessun altro tipo di ricerca può fare altrettanto.
3. Estinzione
Alla moltiplicazione delle specie (speciazione) si contrappone l'estinzione. I problemi più importanti riguardo a questo fenomeno concernono in primo luogo le sue cause; in secondo luogo, ci si interroga se l'estinzione sia un processo continuo o se invece si verifichi in brevi periodi caratterizzati da eventi catastrofici.
Rispetto alla seconda questione, sappiamo che l'estinzione si registra in tutte le epoche, a causa della competizione fra specie diverse e dei lenti cambiamenti nelle faune e nelle flore, cui alcune specie sono incapaci di far fronte. Ci sono stati però alcuni periodi di estinzione catastrofici, il meglio documentato tra questi è il periodo di transizione dal Cretaceo al Terziario, circa 75 milioni di anni fa. Possediamo validi indizi del fatto che la Terra, in quell'epoca, fu colpita da un asteroide, che probabilmente produsse una nuvola di polvere così densa da dar luogo a un temporaneo oscuramento dell'atmosfera e a un letale raffreddamento della superficie terrestre. Molti gruppi di organismi, come, per esempio, i dinosauri, soccombettero a questo evento, mentre altri, come i Mammiferi, sopravvissero e, per un certo periodo, furono sottoposti a una notevole quantità di radiazioni nel nuovo ambiente.
La selezione potrebbe portare a una maggiore probabilità di sopravvivenza, determinata dal migliore adattamento all'ambiente. Questo miglior adattamento comprenderebbe tutti gli aspetti di una maggiore efficienza fisiologica, come la capacità di affrontare con successo predatori e rivali o una particolare flessibilità comportamentale in situazioni di emergenza. Tuttavia non sempre la selezione porta a un miglior adattamento: può darsi che un individuo fornisca un maggior contributo di geni alla generazione successiva semplicemente perché ha più successo nel riprodursi. Darwin chiamò questo tipo di selezione 'selezione sessuale': qualsiasi carattere maschile che porti a un maggior successo riproduttivo, per esempio la capacità di fecondare più femmine, sarà automaticamente favorito dalla selezione, a meno che non sia contrastato da un qualche attributo avverso. Certi caratteri sessuali secondari maschili, come le penne degli uccelli del paradiso (Paradisea raggiana), sono esempi di fattori di selezione sessuale, ma anche molti aspetti del comportamento riproduttivo, in particolar modo dei maschi, rientrano in questa categoria. Al processo di selezione sessuale contribuisce la tendenza delle femmine a non accettare indiscriminatamente qualsiasi maschio come partner sessuale e mostrare ben definite preferenze.
Nel caso del comportamento sessuale è particolarmente facile constatare che la selezione è egoista, il che rappresenta una necessità quasi inevitabile, considerato che il bersaglio della selezione è l'individuo. Si pone dunque la questione della spiegazione dei comportamenti altruistici alla luce della selezione naturale: perché un individuo dovrebbe fare dei sacrifici o correre dei rischi per procurare un vantaggio riproduttivo a un altro? È stato mostrato che l'aiuto a parenti stretti è in effetti favorito dalla selezione naturale, perché gli individui strettamente imparentati hanno, in parte, lo stesso genotipo: se un individuo contribuisce alla sopravvivenza dei propri congiunti, in effetti egli favorisce la sopravvivenza del proprio genotipo ('selezione di parentela'). Che un tale altruismo fra parenti esista risulta evidente dal comportamento di molti individui nei confronti dei coniugi e dei figli; spesso però anche nei confronti di parenti più lontani viene adottato un comportamento altruista, per esempio emettendo segnali d'allarme. Ancor più interessanti sono i casi di altruismo reciproco, come quelli osservati, per esempio, fra i babbuini: un individuo ne aiuta un altro, il quale, a sua volta, ricambia il favore in una diversa occasione. Il progresso fondamentale nell'etica umana deve essersi verificato quando, per la prima volta, un individuo ha dimostrato altruismo nei confronti di persone non legate a lui da vincoli di parentela.
Alcuni autori hanno anche sostenuto che esista una 'selezione di specie', quando le specie appartenenti a una linea filetica speciano più rapidamente di quelle di un'altra linea. Di fronte all'estinzione la linea più ricca di specie avrebbe una maggiore probabilità di sopravvivere dell'altra linea. In media questo può, effettivamente, essere vero, anche se per indicare questo processo potrebbe essere più adatta l'espressione 'selezione di speciazione'; inoltre, tutte le caratteristiche che favoriscono una rapida speciazione (capacità di diffusione e di colonizzazione, tendenza all'acquisizione di meccanismi di isolamento, ecc.) sono basate sulle proprietà genetiche degli individui. Pertanto anche questo tipo di selezione di specie si fonda sulla selezione individuale.
I fenomeni evolutivi possono essere divisi in due categorie: la microevoluzione e la macroevoluzione. La microevoluzione concerne la variazione nelle popolazioni e la speciazione: in breve tutti i fenomeni e i processi che avvengono al livello e al di sotto del livello della specie. La macroevoluzione riguarda i processi che si verificano al di sopra del livello della specie, in particolare l'origine di nuovi taxa superiori, l'invasione di nuove zone adattative e l'acquisizione di nuove caratteristiche evolutive.
La relazione fra micro- e macroevoluzione è stata oggetto di notevoli discussioni e controversie. Le incertezze al riguardo possono essere in buona misura chiarite tenendo presente il fatto che tutti gli eventi macroevolutivi hanno luogo all'interno di popolazioni e nel genotipo di singoli individui e quindi sono sempre, contemporaneamente, processi microevolutivi. Tuttavia, esiste una netta differenza fra macro- e microevoluzione a livello fenotipico e quindi i fenomeni macroevolutivi richiedono ipotesi e modelli specifici. Gli eventi macroevolutivi non possono essere semplicemente ricondotti nell'ambito della microevoluzione e sono state elaborate valide generalizzazioni riguardanti la macroevoluzione, senza dover analizzare mutamenti correlati nelle frequenze geniche. Questo atteggiamento è coerente con la definizione moderna di evoluzione, secondo cui essa consiste in un mutamento di caratteristiche adattative e in una diversificazione, piuttosto che in un mutamento di frequenze geniche.
La macroevoluzione è un campo di ricerca autonomo nell'ambito degli studi sull'evoluzione, frutto del lavoro dei paleontologi e dei tassonomisti. Le ricerche dei genetisti, effettuate all'interno delle popolazioni, consentono solo deboli inferenze circa i processi macroevolutivi, o per lo meno così è stato finora. Si spera che le analisi della struttura del DNA del genotipo, fatte dai biologi molecolari, portino verso una comprensione della macroevoluzione più approfondita di quella raggiunta attraverso gli studi dei paleontologi e dei tassonomisti.
Una delle obiezioni principali alla teoria darwiniana riguarda l'acquisizione di nuove caratteristiche evolutive attraverso un processo graduale. Negli stadi iniziali, infatti, le nuove strutture (come per es., le ali degli Uccelli) non danno alcun vantaggio selettivo. Darwin faceva notare che l'acquisizione di nuove caratteristiche evolutive poteva dipendere da due distinti processi. Il primo consiste in una 'intensificazione di funzione', come nel caso della trasformazione delle estremità anteriori dei Mammiferi in ali (pipistrelli), pale (talpe), pinne (Cetacei), zampe (antilopi) o braccia (Primati). L'altro processo in cui possono avere origine nuove strutture evolutive è attraverso un mutamento di funzione. In base a questo principio un tale percorso per l'acquisizione di una nuova caratteristica evolutiva è disponibile quando un organo o una struttura possono svolgere simultaneamente due funzioni. Ciò è vero per quel che riguarda le estremità anteriori dell'antenato degli Uccelli, che servivano sia per la locomozione sia per planare, o per quel che riguarda le antenne dei Crostacei Cladoceri, che funzionano sia come organi sensori sia come 'pagaie'. Nel caso di un mutamento di funzione di questo tipo, una struttura già completamente formata può mettersi al servizio di una nuova funzione.
Malgrado le conoscenze raggiunte a partire da Darwin in poi, sarebbe prematuro pensare che ogni aspetto dell'evoluzione sia stato chiarito. Benché l'impalcatura teorica fondamentale del darwinismo sia ragionevolmente sicura, permangono enormi vuoti nella comprensione di singoli fenomeni: non sappiamo ancora quanto siano importanti alcune forme di speciazione diverse da quella geografica (allopatrica) e da quella per ; gli esatti dettagli riguardo all'origine della vita restano inspiegati; le affinità tra alcuni importanti gruppi principali di animali e piante non sono stati a oggi identificati; le ragioni della stasi evolutiva di tante specie continuano a costituire un problema.
L'aspetto di gran lunga meno compreso del processo evolutivo è il ruolo svolto dalla struttura del genotipo: quale funzione svolgono i mutamenti del genotipo durante la speciazione peripatrica rapida? Qual è il corrispettivo genotipico dei vincoli nello sviluppo? Qual è l'esatta natura dei cosiddetti 'geni regolatori' e quanti tipi ne esistono? In che modo il comportamento agisce come forza selettiva? Quale relazione esiste fra speciazione e struttura di una popolazione, in particolare per quel che riguarda la tendenza a diffondersi? Questa è solo una piccola parte dei numerosi problemi non ancora risolti. L'impostazione in termini evolutivi ha arricchito molto tutte le branche della biologia, dato che nessuna struttura, nessun comportamento, nessuna forma di adattamento, nessun tipo di distribuzione si possono pienamente comprendere finché la relativa storia evolutiva non sia stata chiarita. È questo stato di cose che sancisce la validità dell'affermazione di Theodosius G. Dobzhansky: nulla ha senso in biologia se non alla luce dell'evoluzione.
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