Evoluzione
Per e. si intende il cambiamento storico dell'insieme delle istruzioni necessarie alla formazione di un organismo (Luria, Gould, Singer 1984). In particolare, con riferimento all'e. biologica, tale definizione appare estremamente sintetica, e richiede pertanto alcune precisazioni. Essa assume i seguenti presupposti: le istruzioni contenute nei patrimoni genetici (genomi) degli organismi sono il principale fattore che determina le loro proprietà; tali istruzioni concorrono a determinare le proprietà dell'individuo, nel contesto delle innumerevoli sollecitazioni dell'ambiente in cui l'individuo si sviluppa e vive; il mondo vivente è organizzato in livelli di complessità crescente.
In molti casi l'individuo è un insieme integrato di componenti più semplici (nell'ordine: organelli subcellulari, cellule, tessuti, organi e apparati), ed è a sua volta il componente di livelli ancor più complessi in cui sussistono interazioni fra individui, popolazioni, specie e così via (ciò implica che gli effetti dei geni possano riguardare le proprietà di ciascuno e tutti questi livelli); per quanto riguarda la riproduzione, un individuo appartiene necessariamente a un gruppo riproduttivo, il quale gli offre la possibilità di contribuire alla generazione successiva; l'appartenenza a tale gruppo dipende, fra l'altro, dalla scelta dell'habitat, dal riconoscimento del partner riproduttivo, dalla compatibilità gametica, dalla possibilità di ricostituire un corredo cromosomico che consenta una corretta segregazione meiotica, ossia caratteristiche in buona misura geneticamente determinate; in accordo con il consolidato concetto biologico di specie (Mayr 1942) l'insieme dei genomi di individui fra loro interfecondi costituisce un pool genetico; è verificata sperimentalmente la presenza di una notevole quota di variabilità genetica nella composizione di tali pool, a causa dell'esistenza di forme varianti (alleliche) in pressoché ogni gene e perfino di piccole variazioni strutturali nei genomi degli individui della stessa specie; non esiste quindi una determinazione genetica identica per tutti gli individui del gruppo. Alcune tra le forme alleliche determinano caratteri che conferiscono un maggiore successo nella sopravvivenza e nella riproduzione rispetto ad altre (vantaggio selettivo); la composizione del pool nella generazione successiva dipende dalla composizione dell'insieme dei genomi degli individui che si sono riprodotti di più in virtù del loro maggiore vantaggio selettivo, e che rappresentano solo un sottoinsieme del totale (selezione naturale darwiniana).
Da tali presupposti discendono i seguenti effetti, esplicitati o impliciti nella definizione: l'e. biologica può investire tutti gli aspetti degli appartenenti al mondo vivente (metabolismo, fisiologia, ruolo ecologico, morfologia, resistenza ai predatori, all'inquinamento, ai pesticidi e agli erbicidi); gruppi di individui possono estinguersi e/o frammentarsi in più sottogruppi, eventualmente con lo stabilirsi di barriere riproduttive fra gli appartenenti (speciazione); la composizione dei diversi pool genetici si modifica a ogni generazione (cambiamento variazionale) e, se il cambiamento è sempre nella medesima direzione, esso diventa percepibile nel corso di numerose generazioni (cambiamento storico); la modificazione è una risposta (adattamento) ai vincoli imposti dall'ambiente esterno (pressione selettiva).
Il materiale genetico e le sue variazioni sono quindi il prerequisito essenziale del processo evolutivo, nonché l'oggetto su cui si esercita l'azione prolungata e gli effetti del processo stesso. Ciò costituisce una delle caratteristiche discriminanti dell'e. biologica, rispetto ad altre cosiddette evoluzioni (per es., geo-morfologica): non un mero cambiamento nel tempo delle caratteristiche di particolari oggetti (cellule, individui, popolazioni), ma anche un cambiamento delle informazioni (programmi genetici) che portano in larga parte alla formazione di tali oggetti.
Teorie dell'evoluzione
I progressi nella comprensione dei meccanismi evolutivi dell'ultimo quarto del 20° sec. discendono in maniera diretta dallo sviluppo esplosivo avutosi nelle metodologie di analisi e nelle conoscenze della struttura e dei meccanismi di espressione genica, delle interazioni fra prodotti genici, della composizione di interi genomi e, non ultimo, delle origini delle mutazioni genetiche. Tre appaiono essere gli avanzamenti più solidi: 1) la definitiva affermazione dell'idea dell'e. come processo intrinsecamente variazionale anziché trasformazionale; 2) la comprensione del fenomeno per cui una certa quota di differenziamento biologico si accompagna inevitabilmente al processo di riproduzione di individui, popolazioni e specie, anche in assenza di processi di selezione naturale (e. neutrale); 3) il riconoscimento che il processo evolutivo è descritto nella sua completezza quando si possono individuare e misurare le modificazioni nella composizione dei pool genetici di gruppi di individui che sono state alla base di particolari adattamenti mediante selezione naturale. L'aspetto variazionale dell'e. consiste nel fatto che non si verifica una graduale trasformazione del singolo da una condizione a un'altra (come nel concetto di e. trasformazionale), bensì si modifica la composizione del gruppo a cui la sua discendenza appartiene, e quindi la composizione del pool genetico attraverso le generazioni (v. sopra). L'insieme delle relazioni che esistono fra composizione del pool genetico, pressione selettiva, scelte riproduttive degli individui, comparsa, affermazione e destino finale delle diverse varianti genetiche nel corso delle generazioni (e quindi composizione futura del pool genetico) costituiscono il corpus della cosiddetta teoria sintetica dell'e., che rappresenta una mirabile sintesi delle intuizioni darwiniane e delle conoscenze sui meccanismi di trasmissione genetica.
Previsioni teoriche, osservazioni sperimentali e accurati esami delle risultanze paleontologiche hanno tuttavia portato a rivedere alcuni dettagli dell'impianto darwiniano. In particolare è stato evidenziato il fatto che, in uno stesso ambiente, tutti gli individui di un gruppo sono esposti alle pressioni selettive, determinando così un intero spettro di successi nella sopravvivenza e nella riproduzione. Tale visione tende a sostituire il concetto di sopravvivenza del più adatto con quello, più comprensivo, di selezione per eliminazione delle forme più inadatte. Il risultato è che durante il processo di selezione di un certo carattere vantaggioso, la variabilità interindividuale per gli altri caratteri non subisce una riduzione consistente ed è quindi trasmessa inalterata o addirittura incrementata alle generazioni successive. Un altro aspetto rilevante riguarda la dinamica del cambiamento nel tempo. Le osservazioni effettuate su taxa molto distanti, inclusi gli Ominidi, convergono nell'indicare che la velocità del cambiamento evolutivo non è costante. Viceversa, il processo di cambiamento è segnato da frequenti periodi di stasi evolutiva, intervallati da brevi periodi di produzione di abbondante diversità (teoria degli equilibri punteggiati).
Avanzamenti molto rilevanti sono stati ottenuti circa le variazioni genetiche che non concorrono a determinare caratteristiche dell'organismo rilevanti per la sua sopravvivenza e riproduzione. È emerso che questo tipo di variazioni costituisce presumibilmente una quota preponderante di tutta la variabilità, e la comprensione dei meccanismi di produzione dei cambiamenti elementari nel DNA lascia prevedere la possibilità di produzione di un repertorio pressoché infinito di tali varianti. La teoria dell'evoluzione neutrale ha permesso di elaborare attese statistiche per i processi di comparsa, scomparsa (estinzione) e sostituzione dei varianti presenti in precedenza da parte di quelli più recenti (fissazione e sostituzione). Il valore della teoria è duplice: innanzitutto essa porta a considerare la diversificazione come processo assolutamente normale e spontaneo per popolazioni e altri gruppi isolati fra loro; per le premesse, detto processo è indipendente dai benefici tratti dall'adattamento all'ambiente, come invece accade nella selezione naturale darwiniana. In secondo luogo essa si è affermata come teoria di base per costruire 'ipotesi nulle' contro cui saggiare i risultati sperimentali; in altre parole, essa permette di valutare se un cambiamento evolutivo osservato è troppo rapido o troppo lento rispetto all'aspettativa del comportamento neutrale. Questo tipo di confronto è divenuto il principale strumento per trarre inferenze sul possibile intervento della selezione naturale nel determinare il cambiamento o la stazionarietà di caratteristiche biologiche.
I suddetti principi hanno trovato la loro applicazione più potente nello studio dell'e. molecolare, ossia delle modificazioni strutturali accumulatesi in molecole biologiche (acidi nucleici e proteine) omologhe (discendenti di un antenato comune) durante l'e. di gruppi tassonomici distinti. La natura polimerica e le conseguenti proprietà combinatoriali di queste molecole consentono di prevedere i comportamenti neutrali della loro e., da confrontare con i risultati sperimentali. Poiché le modalità dei cambiamenti elementari in queste molecole sono note (sostituzioni di basi negli acidi nucleici e loro conseguenze nelle proteine), è possibile adottare una sistematica molecolare in cui si definiscono raggruppamenti sulla base dei rapporti di affinità. È quindi possibile ricostruire una filogenesi molecolare, in cui le varie forme molecolari sono ordinate per i loro rapporti di derivazione a formare alberi che ne descrivono l'evoluzione. Ciò rappresenta uno studio lungo la 'genealogia del gene' (o, per estensione, segmento di DNA), cioè un'analisi delle modificazioni subite da uno stesso tratto di DNA durante l'e. dei gruppi tassonomici che ne sono portatori. Combinando questo tipo di analisi con le nozioni sulla funzione del particolare segmento di DNA in studio, è possibile comprendere il significato adattativo di queste modificazioni nell'e. di determinati taxa. La riduzione di complessità che si realizza considerando il singolo segmento di DNA ha inoltre il vantaggio di poter considerare diverse realizzazioni del percorso evolutivo, ossia il fatto che il pool dei genomi di un gruppo di individui viene generalmente a essere composto da geni evolutisi in numerosi ascendenti differenti, ed esposti pertanto a pressioni selettive differenti.
Avanzamenti nella descrizione della complessità dei viventi come risultato dell'evoluzione
L'enorme aumento dei dati molecolari disponibili (per es., la sequenza dell'intero genoma di molti organismi) e la loro analisi secondo i principi esposti sopra, ha permesso di affrontare molti punti irrisolti della ramificazione dell'albero evolutivo delle forme viventi. In particolare appare fondamentale la comprensione delle similitudini fra i tre rami più profondi dell'albero (Archea, Bacteria, Eukaryota), la ricostruzione delle ramificazioni principali nell'ambito dei Protostomii, della filogenesi dei Mammiferi placentati e delle piante terrestri. Nel primo caso si è individuato un contributo genetico agli Eucarioti sia dagli Archea sia dai Batteri. In questo quadro, il fenomeno del trasferimento genico orizzontale (l'acquisizione di materiale genetico e delle proprietà per cui esso codifica, non per trasmissione ereditaria lungo una discendenza, ma per incorporazione diretta dall'ambiente esterno o a seguito della vita simbiontica) sembra aver giocato un ruolo fondamentale nella formazione di combinazioni geniche vantaggiose nei genomi di vari organismi. Nel secondo caso è stata riconosciuta la validità del clade degli Ecdisozoi (comprendente Artropodi, Nematodi e altri), parallelo a quello dei Lofotrocozoi (comprendente Molluschi e altri). Una tale interpretazione implica che strutture corporee (il celoma e l'organizzazione segmentale) considerate per lungo tempo ancestrali e omologhe nei celomati, siano riconosciute come soluzioni evolutive di successo apparse più volte. Nel terzo caso, i dati molecolari hanno permesso di risolvere situazioni rese complesse da radiazioni evolutive esplosive che hanno prodotto in breve tempo forme molto diverse fra loro. Nell'ambito dei Mammiferi placentati, per es., sono stati identificati quattro raggruppamenti di ordini, le cui origini possono essere spiegate con l'isolamento geografico conseguente alla tettonica terrestre. Gli studi molecolari hanno rivelato notevoli processi di convergenza morfologica e quindi radiazioni adattative parallele.
È infine da osservare il grande impulso dato alla comprensione dell'e. morfologica dalla conoscenza dei processi di regolazione genica. Questi si sono rivelati essere dipendenti da delicati equilibri di interazione fra molecole regolatrici con funzione di stimolazione o soppressione e sequenze di DNA bersaglio localizzate in prossimità di un gene o un gruppo di geni. In questa situazione è frequente il fenomeno della pleiotropia, in cui la stessa molecola regolatrice agisce su più geni bersaglio, eventualmente in tessuti e stadi di sviluppo diversi. L'e. dei regolatori e dei loro bersagli aggiunge nuove capacità di rispondere in modo specifico in ogni contesto. Per es., le proprietà di diversi tessuti o dell'intero organismo in diversi stadi dello sviluppo possono essere modificate da un semplice cambiamento del livello o del momento in cui alcuni geni sono espressi. Ciò può verificarsi anche all'interno di 'gerarchie regolatorie' in cui il gene regolato è a sua volta regolatore di altri geni più a valle.
Cambiamenti di tali gerarchie regolatorie durante lo sviluppo sono in grado di spiegare la specializzazione in piani corporei suddivisi in moduli, come quelli di Vertebrati, Artropodi e Anellidi. In conclusione, nuove morfologie possono emergere da nuove combinazioni di espressione genica che non necessitano di cambiamenti nella funzione proteica. Molti studi in questo campo dimostrano l'esistenza di una variazione genetica diffusa e 'criptica', ossia con effetti non individuabili se non in presenza di altre mutazioni. L'importante implicazione è che, a fronte della stabilità fenotipica, gli effetti quantitativi dei messaggi genetici regolatori possono variare molto. Non appena si verifica una nuova combinazione di siti di interazione negli elementi funzionali esistenti, possono evolvere variazioni nel livello di espressione genica che danno luogo a variazioni fenotipiche. Pertanto, sotto la superficie della stabilità fenotipica, la variazione genetica criptica determina un potenziale di diversità dello sviluppo e della morfologia molto maggiore di quanto ipotizzato o realizzatosi nel corso dell'evoluzione.
Peculiarità dell'evoluzione biologica umana
I notevoli progressi compiuti nella individuazione delle particolari pressioni selettive intervenute nell'e. umana si sono avvalsi e promettono di progredire ancor più rapidamente grazie alla conoscenza dell'intera sequenza del genoma umano e della specie vivente più affine (lo Scimpanzé), nonché alla descrizione sempre più dettagliata della variabilità genetica umana, sia normale sia patologica. A ciò si aggiungano l'aumentata disponibilità di reperti paleontologici e la ricostruzione delle condizioni climatiche ed ecologiche in cui l'intero processo si è svolto, a partire dagli antenati comuni con gli altri Primati. Ne emerge un quadro di e. di forme distinte realizzatosi prevalentemente in Africa, con migrazioni multiple verso l'Asia e da qui in Europa, Oceania e poi nelle Americhe. L'inquadramento tassonomico di tali forme è oggetto di continue revisioni, ma appare chiaro come forme diverse abbiano convissuto in Africa e forse in Asia ed Europa. La possibilità di incrocio, non documentato né escluso, rende problematica l'applicazione del concetto biologico di specie per la loro classificazione. Appare chiaro che, soprattutto nella linea evolutiva umana, i cambiamenti morfologici, metabolici, ecologici e comportamentali sono stati altamente interdipendenti, e hanno condotto a una rete estremamente complessa di rapporti causa-effetto. In questo quadro le capacità cognitive (e la loro base anatomica, il sistema nervoso centrale) emergono come tratti la cui e. ha caratterizzato tutti gli Ominoidi e ha subito un'ulteriore accelerazione nella linea evolutiva che ha condotto all'Uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens sapiens). Studi comparativi a livello molecolare hanno individuato alterazioni che possono essere state responsabili di cambiamenti chiave, quali l'aumento volumetrico della scatola cranica o la capacità di linguaggio. Questo tipo di studi si estende rapidamente all'intero genoma, al fine di individuare intere classi di geni o processi biologici che possono essere stati particolarmente rilevanti nell'e. umana.
In linea con quanto detto, l'e. di particolari capacità cognitive si è configurata, inoltre, come presupposto per l'e. di altre caratteristiche peculiari, quali le forme più complesse di socialità e la manipolazione dell'ambiente per la produzione alimentare (includendo in questo l'agricoltura, la pastorizia e, in senso più lato, la gestione pianificata delle risorse alimentari). Queste caratteristiche hanno a loro volta innescato fenomeni di notevole impatto per l'e. di tratti biologici. In particolare appaiono assai rilevanti forme di selezione non legate alle proprietà biologiche del singolo (selezione naturale darwiniana) quanto alla sua appartenenza a un particolare gruppo (group selection o kin selection). Un eventuale aumento delle dimensioni del gruppo (a scapito o meno di altri gruppi) corrisponde a tutti gli effetti a un successo evolutivo per tutti i membri, anche quando questo sia determinato da fenomeni quali la coesione interna, il contributo di individui esterni alla famiglia alle cure parentali, la comunione di risorse alimentari. Tale meccanismo è in grado di contrastare gli effetti dannosi di alcune varianti genetiche ed è pertanto in grado di portare alla diffusione di tratti biologici svantaggiosi, meccanismo alla base del cosiddetto rilassamento della selezione.
Anche le capacità di produzione delle risorse alimentari hanno avuto conseguenze su alcuni caratteri biologici. Durante l'e. degli Ominidi si sono ripetutamente verificate fasi di cambiamento drastico delle abitudini alimentari, dettate semplicemente dalle disponibilità o determinate dallo sviluppo di particolari modi di raccolta (per es., la pesca) o produzione (per es., l'allevamento). Se da una parte tale versatilità ha consentito il popolamento di tutti gli ambienti, dall'altra ha sottoposto i diversi gruppi a pressioni selettive ben precise. Il caso più documentato riguarda la persistenza dell'enzima lattasi: questo enzima, che è normalmente attivo solo fino allo svezzamento, consente il metabolismo del lattosio, uno zucchero abbondante nel latte ovino e vaccino. In popolazioni umane che per lungo tempo hanno consumato latte fresco vi è un'alta incidenza di soggetti in cui l'enzima persiste anche nell'età adulta. Si ritiene che ciò rappresenti un carattere adattativo che consente di sfruttare le proprietà nutrizionali del latte senza gli inconvenienti a cui vanno incontro i soggetti che sono privi dell'enzima. L'alta frequenza della persistenza rappresenterebbe quindi il risultato della selezione naturale darwiniana operante nell'ambiente nutrizionale prodottosi con l'introduzione dell'allevamento.
bibliografia
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