EVORA
Città della Lusitania. L'oppidum, di origine indigena, fu base militare di Sertono; colonizzata da Cesare, ebbe gli epiteti di Liberalitas Iulia.
Nonostante l'intensa vita goduta ancora nel Medioevo e in età moderna, di cui fanno testimonianza molti importanti monumenti, essa conserva notevoli avanzi del periodo romano. Fra essi sono: la cinta murale a pianta pentagonale con torri rettangolari e una porta ad arco, nota col nome di Arco di Dolia Isabel; l'acquedotto detto di Sertorio, e soprattutto il tempio, uno dei meglio conservati della Penisola Iberica. Esastilo, prostilo, periptero, rimangono di esso larga parte del podio, quattordici colonne con base e capitello corinzio, elementi degli architravi e del fregio. Fondamentalmente si riporta al tipo più comune di tempio romano, diffuso, oltre che nella Spagna, anche nell'Africa. Le sue dimensioni sono: podio: m 15,25 × 25,18; altezza m 3,46; altezza delle colonne 7,68, della base 0,48, dei capitelli 1,01; diametro delle colonne 1,01; larghezza dell'intercolumnio: da m 1,35 a 1,68. Il podio ha zoccolo e cornice in pietra da taglio, paramento a conci, non molto regolari, pure di pietra; le colonne scanalate, gli architravi e il fregio (con patere e bucrani) sono di granito; basi e capitelli di marmo. Il tempio è detto di Diana, ma in effetti si ignora a quale divinità fosse dedicato: vi fu rinvenuto vicino un dito di statua colossale in marmo, che potrebbe aver appartenuto ad un acrolito. L'età della costruzione sembra doversi fissare con sicurezza al II sec. d. C. a giudicare dallo stile dei capitelli, a fogliame ricco di taglio ancor netto, e del fregio. Attraverso i secoli l'edificio fu adibito a varî usi; fu riscattato e restaurato dopo il 1870. Elementi del fregio del tempio ed altre antichità della regione sono raccolti nel museo locale.
Bibl.: C. David, Evora, Oporto 1930; F. Pellati, Monumenti del Portogallo Romano, in Historia, 1931, p. 196 ss.; F. J. Wiseman, Roman Spain, Londra 1956, p. 181 s.; vedute dell'edificio prima e dopo i restauri, in Fasti Archaeologici, III, 1948, n. 3655, fig. 88-89.