EXULTET
Con il termine E. si indica sia la formula di benedictio del cero pasquale sia il rotolo sul quale, nell'Italia meridionale, questa fu più volte trascritta. E. è infatti la prima parola del praeconium paschale (annuncio della Pasqua), il canto liturgico con cui, secondo l'ordo relativo alla veglia del Sabato Santo, il diacono annuncia alla comunità del clero e dei fedeli il mistero pasquale della redenzione, compiendo, nel contempo, il rito dell'offerta del cero. Cerimonia, testo e melodia, armonicamente fusi, celebrano la notte nella quale Cristo risorge per recare la salvezza all'umanità decaduta in conseguenza del peccato di Adamo.Nella Chiesa primitiva, come nella liturgia medievale, la veglia di Pasqua era anche la notte in cui i catecumeni ricevevano il battesimo, risorgevano dalle tenebre del peccato alla luce della grazia. Punto insieme culminante e conclusivo di quei riti della veglia di Pasqua che vanno dalla benedizione del fuoco nuovo (dal quale il cero stesso viene acceso) alla cerimonia del Lumen Christi (la processione accompagnata dal triplice grido sempre più trionfante), l'E. è in sostanza una laus o benedictio cerei, un atto di lode, di ringraziamento a Cristo attuantesi nell'offerta del cero, una eucaristia inserita nella proclamazione e nell'esaltazione del mistero pasquale.Nell'Italia meridionale, o meglio in quell'area di essa che nel Medioevo costituì la Longobardia Minore o area beneventana, tra i secc. 10°-14° il canto di lode del cero fu più volte trascritto su rotoli di pergamena formati da fogli cuciti insieme; di regola vi sono inserite anche miniature illustranti, sovente passo per passo, il contenuto e il significato scritturale del testo (scene relative all'Antico e al Nuovo Testamento) insieme a scene che riprendono fasi del rito e a rappresentazioni storiche delle autorità universali e/o locali. Ricca appare anche, talvolta, l'ornamentazione dei bordi laterali e delle lettere iniziali delle parti costituenti il canto (soprattutto la E della parola introduttiva e la V o il monogramma VD del Vere dignum con cui comincia il prefazio della benedictio).Nell'Italia meridionale era in uso una formula particolare per la benedictio cerei, il c.d. E. beneventano, chiamato anche E. di Bari (in quanto reperibile nel rotolo 1 dell'Arch. del Capitolo metropolitano di Bari) o Vetus Itala, il quale nel prefazio differisce, pur riproponendone la stessa tematica, dal testo dell'E. franco-romano. Quest'ultimo con l'andar del tempo - ma non prima del sec. 11° - venne man mano a sostituirsi alla Vetus Itala.Fra i trentadue rotoli liturgici conservati, originari dell'Italia meridionale o che da questi derivano per imitazione, l'E. è testimoniato in ventotto. Risultano prodotti in Toscana gli E. 1 e 3 di Pisa, conservati il primo nell'Arch. del Capitolo metropolitano primaziale e l'altro nel Mus. dell'Opera del Duomo, ma si tratta, nell'uno e nell'altro caso, di esemplari di imitazione, come mostra la circostanza che nello stesso Mus. dell'Opera del Duomo si conserva - ma doveva trovarsi già in epoca medievale in Toscana - un rotolo, l'E. 2 di Pisa, di sicura origine beneventano-cassinese. Gli altri E., tutti prodotti in area di cultura beneventana, sono i seguenti: Avezzano, Arch. Diocesano; Bari, Arch. del Capitolo metropolitano, E. 1, E. 2, E. 3; Capua, Tesoro della Cattedrale; Roma, BAV, Barb. lat. 592, Vat. lat. 3784, Vat. lat. 3784.5, Vat. lat. 9820; Gaeta, Mus. Diocesano, E. 1, E. 2, E. 3; Londra, BL, Add. Ms 30337; Manchester, John Rylands Lib., 2; Montecassino, Bibl., E. 1, E. 2; Napoli, Bibl. Naz., E. 1, E. 2 (entrambi da Mirabella Eclano); Parigi, BN, nouv. acq. lat. 710 (da Fondi); Roma, Casanat., 724/III (già B.I.13); Salerno, Mus. Diocesano; Troia, Arch. Capitolare, E. 1, E. 2, E. 3; Velletri, Arch. Diocesano.Gli altri rotoli liturgici, diversi dall'E., prodotti nell'area beneventana sono quelli di Roma (Casanat., 724/I, 724/II, già B.I.13, Pontificale e Benedizionale), di Bari (Arch. del Capitolo metropolitano, Benedizionale) e di Montecassino (Bibl., Compactiones XVI, frammento della Liturgia del Venerdì Santo).Il formato degli E. oscilla fra m. 2 e 9 di lunghezza e tra cm. 13 e 47 di larghezza. La scrittura adoperata nella più parte dei rotoli è la minuscola beneventana propria dell'Italia meridionale di cultura longobardo-cassinese. Fanno eccezione gli E. 1 e 3 di Pisa (l'uno in carolina, l'altro in gotica perché prodotti in Toscana), l'E. 2 di Bari (testo franco-romano scritto in gotica su originario testo della Vetus Itala in minuscola beneventana erasa), il Vat. lat. 3784.5 (prodotto a Napoli nel sec. 14°). L'E. di Salerno risulta privo di testo, a parte alcune righe in maiuscola distintiva. In quanto il testo veniva cantato, la scrittura risulta di regola accompagnata da notazione musicale.Grazie alla forma insolita, alle scene illustrative talora sgargianti, al canto che ne accompagnava l'uso, questi rotoli - svolti dall'alto di amboni decorati e accanto a candelieri monumentali su cui veniva acceso il cero pasquale - contribuivano a rendere più suggestiva la cerimonia.Il punto di partenza dell'uso di rotoli liturgici sembra doversi cercare in quei libretti, saldamente testimoniati nel Medioevo e detti libelli, formati da uno o pochi quaternioni non rilegati, destinati soltanto alla celebrazione di una determinata festività o di una azione liturgica particolare (agenda). Ne sono i tipi principali il libellus missae, recante il formulario di una messa accompagnato o meno da sequenze di canto, il libellus di riti obituari o per l'unzione dei malati, il libellus episcopale, che poteva contenere il rito per l'ordinazione sacerdotale o determinate benedizioni o la formula di consacrazione di una chiesa o l'ordo per un concilio. Si trattava di manufatti assai modesti e scarni, sicché in occasione di celebrazioni solenni essi venivano qualche volta sostituiti da esemplari formati da fogli cuciti insieme nella specie di rotoli, più adatti - pur se non corredati di illustrazioni - a cerimonie d'apparato. Lo stesso fenomeno dovette verificarsi nell'area beneventana, dove infatti non mancano testimonianze dell'uso di rotoli liturgici non illustrati e che altro non paiono essere se non riconversioni del libellus in una forma più espressiva.In un documento del 964 del Codex diplomaticus Caietanus è ricordato "unum rotulo ad benedicendum cereum et fontes" (Tabularium Casinense, I, Montecassino 1887, p. 123, nr. 14) tra gli oggetti sacri donati dal prete Pietro alla chiesa di S. Michele Arcangelo in Planciano, ed è verosimile - anche perché non si fa cenno a illustrazioni - che il rotolo ne fosse privo. Non mancano altresì, anche se di data più tarda, rotoli, come quello - ora ridotto a un frammento - di Montecassino (Bibl., Compactiones XVI), del sec. 12°, destinato alla liturgia del Venerdì Santo, o, tra gli stessi E., come quelli di Avezzano, di Bari (E. 3) e di Roma (BAV, Vat. lat. 3784.5) dei secc., rispettivamente, 11°, 13° e 14°, i quali non recano illustrazioni e sembrano rappresentare perciò la continuità con un uso più antico.Nell'Italia meridionale l'uso del rotolo a fini liturgici può aver avuto una genesi più complessa. Rotoli liturgici erano adoperati, e assai più diffusamente che in Occidente, in uffici e cerimonie della Chiesa greco-orientale forse già nel sec. 5°-6°, in ogni caso sicuramente dall'8°-9°; essi venivano comunemente chiamati kontákia. La larga diffusione di questi ultimi è documentata dai numerosissimi esemplari conservati, contenenti per la maggior parte le due messe bizantine abituali, di s. Giovanni Crisostomo o di s. Basilio Magno (o ambedue), ma talvolta anche altre liturgie o uffici particolari, quali le preghiere per la benedizione dell'acqua e i riti d'ordinazione, l'ufficiatura del vespro della Pentecoste e la liturgia dei Presantificati. Questo largo uso del rotolo nella liturgia greca doveva essere noto agli ambienti beneventano-cassinesi soprattutto attraverso il monachesimo italo-greco trasmigrante tra i secc. 10°-11° dalle zone calabro-sicule verso la Campania e il Lazio meridionale. È proponibile, di conseguenza, l'ipotesi che anche il rito greco abbia in qualche modo contribuito a ispirare i rotoli all'area beneventana.Nelle pratiche liturgiche sia dell'Occidente sia dell'Oriente medievale il rotolo normalmente non è illustrato o - nel caso di rotoli greci - mostra una decorazione assai scarna, limitata al frontespizio o alle lettere iniziali o a qualche motivo ornamentale lungo i margini. Di fronte all'ampia, tutta originale, illustrazione che connota i rotoli di area beneventano-cassinese è dunque da chiedersi quando e dove si sia verificato per la prima volta il fenomeno e in quali modi e per quali vie si sia esteso.Bisogna partire dai rotoli riccamente illustrati del Pontificale e del Benedizionale di Roma, prodotti per Landolfo I di Benevento, che vi viene raffigurato come arcivescovo, e perciò dopo il 969, data della sua elezione alla cattedra arcivescovile, ma prima del 982, anno della sua morte. Al medesimo arco di tempo è possibile risalga anche un rotolo illustrato dell'E. voluto dallo stesso Landolfo I, ora andato perduto, ma di cui si deve credere riverbero diretto il Vat. lat. 9820, prodotto - non a caso honoris archiepiscopi causa - al tempo del principe Pandolfo I (981-987) e più precisamente tra il 985 e il 987, sotto l'arcivescovo Alfano, successore di Landolfo, per il monastero femminile di S. Pietro a Benevento su committenza di Iohannes presbyter et praepositus di quel monastero. Tutto lascia credere, infatti, che Landolfo I, al momento della sua elezione ad arcivescovo, sia stato committente, anche nel senso di concepteur, dei primi rotoli illustrati, non solo immettendo nel rotolo liturgico un ciclo iconografico, ma sapientemente dilatandolo ed esaltandolo al fine di creare un forte simbolo del potere e dell'autorità arcivescovile, in un'epoca nella quale la dinastia capuana, cui Landolfo apparteneva, portava il principato di Capua-Benevento alla sua più vasta estensione territoriale e alla sua massima influenza politica. Questo, nell'evoluzione dei rotoli liturgici, il primo passo, compiuto a Benevento.Non può essere stato un caso che, tra i libelli destinati a una celebrazione liturgica particolare passati in forma di rotolo, fu proprio l'E. che, oltre ad acquisire un ciclo illustrativo, venne a evolversi ulteriormente e a diffondersi assai più di altri. E invero per questa orazione, cantata dal diacono dall'alto dell'ambone, il rotolo fu visto, sotto il profilo tecnico-librario, come il mezzo più adatto di comunicazione figurativa: a che le illustrazioni apparissero in senso giusto agli astanti, esse furono orientate capovolte rispetto allo scritto; man mano che l'officiante leggeva il testo - incomprensibile ai fedeli o almeno ai più, sia sotto il profilo grafico sia sotto quello linguistico -, egli lasciava ricadere il rotolo lentamente mostrandone le figure, vale a dire un testo iconico costituito dalla traduzione in immagini delle reminiscenze bibliche, delle suggestioni cristologiche o dei riferimenti simbolico-cristiani e storico-celebrativi di cui l'E. è intessuto, mentre attori e spettatori del dramma rituale erano raffigurati - quasi riflessi in uno specchio - in scene liturgiche riproducenti la cerimonia stessa che si andava svolgendo inserite tra le immagini di carattere biblico o storico.Questo ulteriore passo nell'evoluzione dell'E. è probabile sia stato compiuto a Bari. Non solo il Pontificale e il Benedizionale di Landolfo I, ma anche alcuni tra i più antichi E. mostrano, infatti, una stessa disposizione di scrittura e ciclo illustrativo: è il caso del Vat. lat. 9820 (pur se per questo rotolo si potrebbe pensare a motivi di coerenza con il Pontificale e il Benedizionale prodotti nel medesimo ambito), ed è il caso pure dell'E. di Manchester, riferibile anch'esso al tardo sec. 10° ma ad ambito diverso da Benevento, e dell'E. 1 di Troia, non più tardo di una data intorno alla metà del sec. 11° e prodotto nella città dauna. Nell'E. di Capua, che si può assegnare al secondo quarto sempre del sec. 11°, le scene sono disposte alcune nello stesso senso e altre in senso inverso a quello della scrittura, segno di iniziale incertezza.È a Bari, invece, che già verso lo scadere del primo trentennio di quello stesso secolo, nell'E. 1 si trovano scrittura e ciclo illustrativo collocati in direzione opposta. E invero, su ispirazione di rotoli liturgici illustrati più antichi, già in circolazione nell'area beneventana propriamente detta, l'E. 1 di Bari fu commissionato, a quanto tutto lascia credere, dall'arcivescovo Bisanzio (1025-1036), come status symbol della sua carica, in un momento in cui egli riceveva la stessa giurisdizione arcivescovile da Giovanni XIX (1024-1032).Al fine di fare del messaggio liturgico una più efficace espressione dell'autorità vescovile, il rotolo dell'E., in quanto letto dall'alto dell'ambone, fu teatralizzato mediante la disposizione delle figure in senso inverso al testo, sicché rispondesse all'esigenza di una fruizione alternativa: quella dello scritto da parte dell'officiante, l'altra delle immagini a uso del pubblico. A questo scopo l'E. 1 di Bari, rispetto ai suoi modelli beneventani, fu ampliato in larghezza e illustrato con un minor numero di scene, in modo che queste - di formato imponente - acquistassero maggiore visibilità e perciò un più alto quoziente di leggibilità figurativa. Questa tecnica sofisticata trovava il suo referente in quelle che erano nell'Occidente latino le strategie del rapporto tra testo e immagine, il primo destinato ai litterati, a quanti possedevano gli strumenti per comprenderlo e recepirlo, l'altra rivolta agli idiotae, gli analfabeti.Nei fatti, tuttavia, la fruizione delle immagini deve ritenersi limitata, ove si pensi che non tutti i rotoli sono di formato più o meno ampio, che non tutti gli astanti potevano avere una visione frontale, ravvicinata e netta del testo iconico, e che soprattutto le scene di storia sacra potevano riuscire comprensibili solo ove il messaggio figurale fosse confortato da conoscenze altrimenti acquisite (da sermoni, da altre forme di comunicazione orale, o anche da una comprensione sia pur parziale del testo che si andava recitando).Siano stati o meno Bisanzio arcivescovo e il clero di Bari a concepire la caratteristica più connotante dei rotoli di E., è comunque a partire dal pieno sec. 11° che la tecnica innovativa dell'inversione venne a diffondersi, non senza qualche fenomeno di arretratezza o esitazione. Quanto al Benedizionale di Bari, di data non molto più tarda dell'E. 1, esso si pone nel solco di quest'ultimo, ripetendone formato, modi di presentazione e tecnica dell'inversione, pur se l'uso liturgico non ne prevedeva lo svolgimento dall'alto dell'ambone.In questa fase della loro diffusione i rotoli di E. si dimostrano un tipico prodotto di ambito vescovile, status symbol e strumento di trasmissione di determinati messaggi non solo dottrinali ma anche ideologico-politici. Lo stesso Vat. lat. 9820, pur prodotto alla fine del sec. 10° per un monastero e promosso per motivi devozionali da un personaggio di minor rango, va comunque ritenuto copia di un modello vescovile e la sua destinazione a un centro monastico deve essere considerata un'eccezione.Quando nel sec. 11°, all'epoca del suo massimo splendore, l'abbazia di Montecassino - sostituendo il testo romano dell'E. alla Vetus Itala di tradizione beneventana ed elaborando di conseguenza un ciclo iconografico riformato - volle assumere anch'essa come status symbol la tipologia del rotolo per l'ufficiatura del rito pasquale (ne sono testimoni maturi l'E. di Londra e il Barb. lat. 592), l'uso poté forse estendersi ad altri monasteri dell'area beneventana, pur se in ultima analisi il rotolo rimane connesso soprattutto con la figura vescovile, con la liturgia cattedrale, con la propaganda dei presuli, a quanto mostrano i rotoli prodotti da Capua a Gaeta, da Mirabella Eclano a Salerno e a Troia.A partire dal sec. 12°, l'E. propone caratteri mirati a una sempre maggiore spettacolarità di apparato, acquisendo nuove scene e riproponendo talvolta le figure nella stessa direzione del testo (è il caso dell'E. 3 di Troia). Alcuni rotoli dei secc. 12° e 13° mostrano, altresì, le illustrazioni in qualche modo separate dal contesto scritto mediante incorniciatura ornamentale piuttosto pronunciata che ne isola ed esalta la funzione figurativa. Questo enfatico isolamento delle figure può forse trovare una più plausibile spiegazione se, come sembra, questi rotoli venivano esposti anche prima e dopo la cerimonia, aperti e ricadenti dall'ambone a ricordare i gesta Christi.Nel caso dell'E. si è di fronte non a una tipologia illustrativa già consolidata da una lunga tradizione e più o meno pedissequamente ripresa, ma a un ciclo iconografico formatosi ad hoc non prima del 10° secolo. Si assiste, vale a dire, alla stessa creazione di questo ciclo, per di più in un ambito geo-storico e culturale circoscritto. Quello dell'E. è un ciclo variabile. Le soluzioni iconografiche adottate si dimostrano di volta in volta assai diverse, pur se all'interno di una sostanziale distinzione delle scene, già operata da Bertaux (1903, p. 239), in storiche, liturgiche, personali, vale a dire scene relative a storia sacra, cerimonie liturgiche e ritratti di contemporanei. Vi sono, quindi, illustrazioni più o meno numerose, episodi raffigurati con rilievo in alcuni rotoli e affatto trascurati in altri, e uguali passi del testo resi con soluzioni figurative diverse. L'allegoria della Terra, chiamata nell'E. a celebrare la risurrezione di Cristo, ora è una figura maestosa di donna, riccamente vestita e coronata di foglie e di fiori (per es. Bari, E. 1), ora invece è rappresentata da un busto muliebre nudo che allatta bestie (Londra, BL, Add. Ms 30337; Roma, BAV, Barb. lat. 592, Vat. lat. 9820; Roma, Casanat., 724/I, 724/III, già B.I.13) o ancora è resa dall'immagine di Cristo in trono circondato da animali e da alberi in fiore (Montecassino, E. 2) o simboleggiata da uomini che si affaccendano in lavori campestri (Pisa, E. 2) o da alberi e fiori che una figurina nuda osserva (Troia, E. 3).La mater Ecclesia è rappresentata in alcuni rotoli dall'assemblea dei fedeli intorno al vescovo in un edificio sacro (Bari, E. 2; Gaeta, E. 1; Roma, Vat. lat. 3784), oppure semplicemente dal vescovo e dal clero tra le arcate di una chiesa (Pisa, E. 2); in altri rotoli invece da una figura di donna paludata in ricche vesti e in atteggiamento di orante (Roma, Casanat., 724/I, 724/II, già B.I.13; Montecassino, E. 2) o sorreggente le pareti di una chiesa e circondata dai fedeli e dal clero (Londra, BL, Add. Ms 30337; Roma, BAV, Barb. lat. 592) oppure seduta tra una doppia fila di candele accese al di sopra di una chiesa con la porta spalancata (Roma, BAV, Vat. lat. 9820; Velletri, Arch. Diocesano). Nell'E. 3 di Gaeta la composizione figurativa è più complessa: l'Ecclesia, alla cui destra è Cristo, indica con la mano i fedeli, i quali - preceduti da due diaconi - incedono in corteo; tre dei processionanti, con le mani velate, presentano le offerte del pane, dell'olio e del vino. Nel rotolo di Salerno alla figura di donna è sostituita quella di un pontefice, mentre nell'E. 3 di Pisa l'iconografia appare estremamente semplificata: solo una cattedrale con la porta aperta.Le scene bibliche sono numerose e tratte quasi tutte dal Nuovo Testamento; solo pochi temi appartengono all'Antico: si possono ricordare la Salvazione delle primogeniture israelitiche, la Caduta di Adamo e il Passaggio del mar Rosso. Quest'ultima scena è illustrata ora in due quadri, l'inseguimento degli Ebrei da parte degli Egiziani e gli Egiziani travolti dal mare (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 710), ora nella semplice iconografia di poche figure che traversano il mare diviso (Napoli, E. 2). Frequente è la raffigurazione della Discesa al limbo (Cristo che libera i progenitori), episodio tratto dall'apocrifo Vangelo di Nicodemo e introdotto nei cicli cristologici forse intorno all'8° secolo. La scena si presenta disuguale per non poche varianti iconografiche: talvolta essa è divisa in due episodi (Salerno, Mus. Diocesano; Gaeta, E. 2, E. 3; Roma, Casanat., 724/I, 724/II, già B.I.13; Manchester, John Rylands Lib., 2; Roma, BAV, Vat. lat. 9820), dei quali il primo, la Regis Victoria, è realisticamente rappresentato come il termine di un combattimento, nel momento nel quale Cristo sconfigge Satana, figgendogli nelle fauci ora una lancia ora l'estremo della croce o colpendolo con questa, mentre il secondo, la Resurrectio mortuorum, segue l'iconografia corrente del Cristo che libera i progenitori. In altri rotoli la scena è unica e risulta talora molto semplice - Cristo in una mandorla regge una croce astile e conduce per il polso Adamo (Montecassino, E. 2) o procede verso Adamo (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 710) -, talora invece più complessa e ricca di particolari (Bari, E. 1; Napoli, E. 2; Londra, BL, Add. Ms 30337; Roma, BAV, Barb. lat. 592; Velletri, Arch. Diocesano).Molte le scene tratte dal Nuovo Testamento, alcune, tuttavia, reperibili in un solo rotolo: l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, il Battesimo di Cristo; e ancora le Tentazioni, la Samaritana al pozzo, la Guarigione del cieco nato, la Risurrezione di Lazzaro, la Trasfigurazione; inoltre l'Entrata in Gerusalemme, l'Ultima Cena, il Bacio di Giuda, la Crocifissione, le Pie donne al sepolcro, l'Apparizione di Cristo ai discepoli di Emmaus, la Prima apparizione agli apostoli, l'Incredulità di Tommaso, la Pentecoste e altre. Le scene, in generale, non sono in ordine cronologico: ora riflettono il dettato del testo, ora precedono il testo stesso illustrando episodi della vita di Cristo e degli apostoli.La scena delle api (simboleggianti la verginità di Maria) si trova nella maggior parte dei rotoli e presenta varietà di soluzioni iconografiche. Due correnti fondamentali dettero origine alle diverse illustrazioni: una tendenza decorativa, forse d'origine bizantina, dettò ai miniatori certe raffigurazioni ornamentali ridotte a qualche elemento simbolico essenziale, quali api, un alveare, fiori (per es. Troia, E. 1, E. 2); ma un gusto più narrativo e popolare ispirò agli artisti anche scene realistiche, come interi sciami che volano per i campi (Pisa, E. 2; Troia, E. 3) o solerti contadini che raccolgono miele e cera (Napoli, E. 1) o catturano uno sciame per rinchiuderlo negli alveari (Bari, E. 1; Londra, BL, Add. Ms 30337; Roma, BAV, Barb. lat. 592). Si tratta di figure di un realismo pittoresco, in certo modo contrastante con quello più composto e solenne che caratterizza la più parte delle altre scene.L'E. si concludeva con le c.d. commemorazioni liturgiche, formule di intercessione (nella forma più semplice un polychrónion) per il clero, i fedeli, nonché papi, sovrani e loro eserciti, autorità locali come principi, conti, vescovi; poiché nel corso degli anni in cui il rotolo era in uso si potevano avere serie più o meno lunghe di papi e di vescovi, più successioni imperiali, principi e conti di dinastie o dominazioni diverse, toccava al diacono, mentre recitava l'orazione, ricordare o leggere mediante l'ausilio di note mnemoniche di volta in volta scritte sul rotolo il nome delle autorità in quel momento al potere che si volevano menzionare. Nella più parte dei rotoli dell'Italia meridionale queste commemorazioni liturgiche sono accompagnate dal ritratto solenne dei sovrani, papi, vescovi, principi, conti. Si tratta di regola di immagini stereotipate, più o meno identiche nella loro compassata stilizzazione, ma i particolari dell'abbigliamento si rivelano talvolta di una reale precisione storica.Tra le rappresentazioni simboliche, bibliche e storicocelebrative si trovano inserite, nell'E., scene liturgiche: le più frequenti raffigurano il diacono che riceve il rotolo d'E. dal vescovo, o accende il cero pasquale, o recita l'orazione stessa. Per tali scene gli artisti potevano rifarsi alla realtà: il vescovo o arcivescovo, il diacono, il clero, i fedeli, riuniti durante la veglia del Sabato Santo ai piedi dell'ambone, potevano fornire il modello cui ispirarsi. Si incontrano, quindi, nell'iconografia degli E. i contemporanei del rotolo, gli officianti e gli spettatori della liturgia. Insieme alle immagini storico-celebrative, sono queste le scene attraverso le quali in determinati casi il committente, autorappresentandosi, trasmetteva, in relazione alla concreta situazione politica, messaggi mirati al consenso dei fedeli.Il rapporto di ciascun E. con una particolare situazione locale o di tempo è così stretto da non dare posto a un'elaborazione comune di un certo tipo di illustrazione e, a parte alcune linee fondamentali, le varianti nell'interpretazione figurativa degli stessi passi, le divergenze nella scelta dei passi da illustrare, le difformità iconografiche sono tali da non consentire di chiudere l'illustrazione dell'E., in generale, entro uno schema di sviluppo determinato. Spettava perciò all'artista scegliere entro un certo numero di soluzioni possibili del problema iconografico che il tema liturgico e le esigenze del committente, soprattutto se anche concepteur, ponevano. Né si fissò mai per l'E. un ciclo in relazione al programma liturgico che doveva illustrare: vale a dire che non si è in grado di conoscere una lista concreta dei soggetti che avrebbero figurato in un rotolo, ma soltanto la zona di probabilità iconografica nella quale l'artista poteva scegliere un soggetto tra altri ugualmente possibili.Questa libertà, sia pure relativa (la scelta era comunque limitata entro un certo numero di soggetti e di soluzioni), è alla base di quelle varianti figurative e di stile che costituiscono uno degli aspetti artistici più interessanti dei rotoli di E. dell'Italia meridionale.
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