EZECHIA (ebr. Ḥizqiyyāh[ū]; i Settanta 'Εξεκίας; Volgata Ezechias; testi cuneiformi Éazaqiyau)
Tredicesimo nella serie dei re di Giuda, figlio e successore di Acaz e della regina Abia, padre di Manasse (II [IV] Re, XVI, 20; II Cron., XXVIII, 27).
Salì sul trono a venticinque anni e ne regnò ventinove: secondo la cronologia più comune, dal 727 al 698. Gli eventi del suo regno, che fu tra i più caratteristici dal lato religioso e politico, sono riferiti nel testo sacro in tre narrazioni parallele (II [IV] Re, XVIII,1-xX, 21; II Cron., XXIX, 1-XXXII, 33; Isaia, XXXVI, 1-XXXIX, 8). Massima risonanza ebbe l'opera di Ezechia come riformatore religioso: egli si distaccò fin dall'inizio dalla politica di Acaz suo padre, e volle risalire alle tradizioni dei suoi avi David e Salomone. Riaperse le porte del Tempio, chiuso dal padre (II [IV] Re, XXVIII, 24), celebrò con gran pompa e copiosi sacrifici la festa della Purificazione, ristabilì quindi in pieno il culto di Iahvè, e rivestì d'oro le porte del Tempio (II Cron., XIX, 3-36; II [IV] Re, XVIII, 16). Riprese anche l'interrotta celebrazione della Pasqua, inviando araldi a bandirne l'annunzio in tutte le tribù. Gli araldi furono quasi ovunque male accolti e talora malmenati nel regno d'Israele; rispose invece con entusiasmo tutto il regno di Giuda. La solennità, dopo gli otto giorni di rito, fu a richiesta del popolo protratta di altri sette: cosa non più vista dopo le solennità celebrate da Salomone per la dedicazione del Tempio (II Cron., XXX, 26). Seguì da parte del popolo una universale distruzione di idoli, di pali sacri ad Astarte (v.), e di alture idolatriche (II Cron., XXXI,1). Ezechia distrusse anche il serpe di bronzo di Mosè (Numeri, XXI, 8), a cui si ardevano abusivi incensi (II [IV] Re, XVIII, 4), ricostituì poi al completo le classi dei sacerdoti, dei leviti, e le rendite per il culto, riorganizzando anche il servizio musicale sacro.
Gli eventi politici del regno di Ezechia presentano un problema cronologico la cui soluzione è nel fatto che Isaia preferisce, nel suo racconto, all'ordine storico l'ordine logico per inquadrare gli avvenimenti nella serie dei suoi vaticinî: di qui un'inversione cronologica, imitata poi dal libro dei Re. Appena salito al trono, Ezechia si fece assertore dell'indipendenza del suo regno. Acaz suo padre, dopo l'invasione di Sargon nel contiguo regno d'Israele, era divenuto vassallo e tributario del re babilonese. Ezechia ne scosse il giogo, rifiutando di pagare il tributo, probabilmente alla morte di Sargon nel 705. Respinse anche i Filistei fino a Gaza, loro estremo lembo meridionale (II [IV] Re, XVIII, 8). Dopo quattordici anni di regno, Ezechia ammalò a morte e udì da Isaia l'annunzio della sua fine. Ma, dopo una patetica preghiera, ebbe dal profeta subito ritornato la promessa di altri quindici anni di vita. A sua richiesta, in segno di suggello divino Isaia fece retrocedere di dieci gradi l'ombra del suo quadrante solare.
Merodach-Baladan re di Babilonia, che da molti anni cercava di sottrarsi all'influenza di Ninive, colse l'occasione di questa guarigione per inviargli un'ambasciata di rallegramento, in realtà piuttosto per accordarsi con il re di Giuda e con i regni contigui su un'alleanza contro la potenza assira. Ezechia accolse l'ambasciata favorevolmente, ostentando anzi agli occhi degl'inviati di Merodach i suoi tesori e le sue armi, ciò che gli attirò da Isaia severi rimproveri per la cercata alleanza straniera, e la predizione che i suoi tesori sarebbero emigrati a Babilonia (II [IV] Re, XX, 12-19; II Cron., XXXII, 25-26; Isaia, XXXIX,1-8). Pochi anni dopo, nel 701 secondo i monumenti cuneiformi, Sennacherib, deciso di soggiogare i suoi vassalli ribelli, assale dopo i regni vicini quelli di Giuda, ne espugna tutte le piazzeforti e giunge sotto Gerusalemme: Ezechia è costretto a pagargli trecento talenti d'argento e trenta d'oro. Sennacherib, non contento, chiede la resa a discrezione. Ezechia si accinge allora all'ultima disperata difesa: chiude le sorgenti all'invasore, devia in città le acque di Gibon con un acquedotto sotterraneo scavato in gran parte nella roccia, ripara le mura, costruisce nuove torri, e riorganizza l'esercito. Alle ambasciate di Sennacherib, insultanti a Iahvè, Ezechia si prostra nel tempio: Isaia lo conforta con l'annunzio che Iahvè manderà un angelo a sterminare l'invasore. Il giorno seguente, sbigottito da una grande mortalità manifestatasi nel suo esercito, il re assiro toglie il campo e torna a Ninive. L'avvenimento è riferito anche da Erodoto (II, 141) e confermato dalle imbarazzate reticenze e inversioni dello stesso Sennacherib nelle sue iscrizioni cuneiformi, specie sul prisma esagonale di Taylor. Il re assiro regnò per altri vent'anni circa, e tentò altre sei spedizioni contro Babilonia, ma non comparve più nella Giudea.
Ezechia sopravvisse di poco a questi eventi, ebbe grandiosi funerali e lasciò fra il suo popolo un ricordo di grandezza e di gloria.
Bibl.: Lenormant-Babelon, Histoire ancienne de l'Orient, 9ª ed., Parigi 1888, pp. 296-312; G. Maspéro, Histoire ancienne des peuples de l'Orient, 5ª ed., Parigi 1893, pp. 478-93; F. Vigouroux, La Bible et les découvertes modernes, 6ª ed., IV, Parigi 1896, pp. 14-65; Kittel, Geschichte des Volkes Israel, 4ª ed., II, Gotha 1022, pp. 474-98; e i commentarî a Isaia, Re e Cronache.