Ezio Vanoni
Ezio Vanoni, economista e politico, contribuisce a costruire il modello di economia sociale di mercato che si afferma in Italia negli anni della Repubblica. Nella vita di Vanoni, vista retrospettivamente, si scorgono tre nitide fasi: la fase della ricerca scientifica (1927-42), durante la quale esamina il rapporto tra Stato e mercato; la stagione della mediazione culturale (1943-47), in cui partecipa, insieme ai conterranei Sergio Paronetto e Pasquale Saraceno, alla stesura del Codice di Camaldoli che prepara i cattolici all’elaborazione della più impegnativa Carta costituzionale e, infine, il decennio dell’azione governativa (1946-56), in cui si dispiega il tentativo di attuare un programma di politica economica conforme ai principi del cattolicesimo sociale.
Ezio Vanoni nasce a Morbegno, in Valtellina, il 3 agosto 1903. Il padre Teobaldo è segretario comunale e geometra. La madre Luigia Samaden, diplomata maestra, aiuta il marito nella libera professione. Primo di quattro figli, riceve un’educazione classica connotata dall’influente religiosità della madre. Grazie a una borsa di studio, frequenta l’ambito Ginnasio Piazzi di Sondrio.
Nel 1921 si iscrive, ancora con una borsa di studio, alla facoltà di Giurisprudenza del prestigioso Collegio Ghislieri di Pavia. Qui diventa uno degli allievi prediletti di Benvenuto Griziotti, fondatore di una ‘scuola’ di scienza delle finanze e studioso di ideali socialisti. Negli anni universitari attraversa una crisi religiosa e aderisce al socialismo democratico. Dopo il delitto Matteotti, diventa il capo degli studenti socialisti, procurandosi la fama di sovversivo e una scheda segnaletica presso gli archivi della polizia di Stato che lo accompagnerà per tutti gli anni del fascismo.
Il 25 luglio 1925 si laurea in giurisprudenza, con il massimo dei voti e la lode, discutendo con Griziotti una tesi su natura e interpretazione delle leggi tributarie. Inizia una tormentata carriera universitaria. Nel 1927, dopo due anni di servizio militare, vince la borsa di studio Lorenzo Ellero dell’Università Cattolica di Milano. Nel 1928, prima ancora che fosse scaduta la Ellero, vince la borsa Rockefeller per un soggiorno di studio in Germania. Nel 1930, tornato dalla Germania, ottiene l’incarico triennale di scienza delle finanze e diritto finanziario presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, e nel 1931 apre a Milano uno studio di avvocato civilista.
Il 1932 è un anno denso di avvenimenti: si sposa, a Morbegno, con Felicita dell’Oro, consegue la libera docenza, pubblica la monografia Natura e interpretazione delle leggi tributarie, e perde il concorso a cattedra presso l’Università di Messina. Vanoni ha un passato socialista e non ha la tessera del Partito fascista. Nel 1933 nasce la prima figlia, Marina, e ottiene l’incarico alla Sapienza di Roma. Nel 1934 nasce la seconda figlia, Lucia, e nel 1935 perde ancora un concorso a cattedra presso l’Università di Camerino.
Il 1937 è un anno importante. Vanoni ottiene l’incarico all’Università di Padova. In soli tre anni dà alle stampe tre volumi e una serie di saggi di finanza pubblica. Collabora con il ministro delle Finanze, Paolo Thaon di Revel, e prende la tessera del partito. Nel 1939 vince (finalmente) il concorso a cattedra presso la facoltà di Economia dell’Università di Venezia.
Negli anni di guerra è membro di un’autorevole commissione incaricata di preparare la riforma del sistema tributario italiano.
Il 1943 è un anno di svolta. Vanoni si trasferisce a Roma con la famiglia. Partecipa alla resistenza nei quadri direttivi della Democrazia cristiana e contribuisce alla stesura del Codice di Camaldoli e di altri programmi sociali dei cattolici italiani. Nel giugno del 1946 è eletto all’Assemblea costituente ed entra a far parte della Commissione dei 75. Nel febbraio del 1947 è nominato ministro del Commercio estero nel terzo governo De Gasperi.
Inizia il decennio dell’azione governativa: Vanoni è ininterrottamente ministro delle Finanze per cinque anni, dal 1948 al 1953, e ministro del Bilancio dal 1953 al 1956 (dal 26 luglio 1951 al 2 febbraio 1952 è anche ministro del Tesoro ad interim). Nel corso di questo decennio concorre ad assumere una serie di rilevanti scelte politiche: la liberalizzazione degli scambi internazionali, la riforma tributaria, la fondazione dell’ENI, l’elaborazione di uno Schema decennale di sviluppo dell’economia italiana.
Vanoni muore in Senato il 16 febbraio 1956 (cfr. Ferrari Aggradi 1956; Vigna 1992; Forte 2009, pp. 161-216).
Nei primi anni Venti, quando Vanoni frequenta l’università, l’Italia è il Paese leader nella scienza delle finanze. Gli studiosi italiani sono divisi in due principali e rivali scuole di pensiero: ‘economica’ e ‘sociologica’. La disputa nasce intorno alla natura dell’attività finanziaria dello Stato moderno.
La scuola economica si richiama all’autorità di Maffeo Pantaleoni e annovera tra le proprie fila studiosi del calibro di Luigi Einaudi e Antonio De Viti de Marco. Per gli economisti-finanziari, lo Stato ha il compito di soddisfare in modo razionale i bisogni collettivi e lo fa quando rispetta la scala delle preferenze individuali: con il prelievo fiscale, sottrae ricchezza ai privati e, con la spesa pubblica, offre in cambio servizi. Opera in modo razionale, e cioè economico, se il sacrificio che impone non oltrepassa il beneficio che procura. L’imposta è cioè il prezzo di uno scambio volontario tra il cittadino e lo Stato.
Dunque, per la scuola economica, le decisioni collettive sono razionali se si basano sulle preferenze individuali e se recepiscono il principio dell’equimarginalità tra sacrificio e beneficio della spesa pubblica.
La rivale scuola sociologica si richiama all’autorità di Vilfredo Pareto e di Gaetano Mosca e anch’essa annovera tra le proprie fila illustri economisti come Gino Borgatta e Amilcare Puviani. Per gli economisti-sociologi lo Stato è, di fatto, una casta che mira a perpetuare il proprio potere. Il fine apparente dell’attività finanziaria è il soddisfacimento di bisogni collettivi. Il fine reale è la conquista e la conservazione del potere delle classi dominanti. Per la scuola sociologica, i cittadini dovrebbero concorrere alle spese dello Stato in base alla loro capacità contributiva dedotta da fattori reali come reddito e patrimonio.
Vanoni aderisce a una terza scuola, quella di Griziotti, che alcuni chiamano ‘politica’. Il pensiero finanziario di Vanoni è racchiuso nella monografia del 1932 e in due volumi di Scienza delle finanze e diritto finanziario pubblicati nel 1937.
Per Vanoni lo Stato è un ente pubblico, dotato di personalità giuridica, delegato ad appagare bisogni collettivi che solo in parte possono essere dedotti dalle preferenze individuali. Vanoni è parzialmente critico verso entrambe le scuole italiane. Lo Stato non può essere considerato alla stregua di una casta che persegue il proprio egoistico interesse. La storia mostra che non è così. Vi sono state classi dirigenti illuminate che hanno saputo perseguire il bene dell’intera collettività, ma non sempre i bisogni collettivi possono essere ordinati sulla base delle preferenze individuali. Gli individui potrebbero non avvertire l’importanza di una maggiore giustizia sociale o di una pace più sicura, che le classi dirigenti devono ugualmente perseguire. Lo Stato ricerca il bene dell’intera collettività. Vanoni, negli anni Trenta, lo chiama bene della nazione e più tardi bene comune. Il bene comune non è la sommatoria dei beni o delle preferenze individuali: è un ordine sociale che promuove e tutela i diritti fondamentali della persona singola e associata.
L’attività finanziaria, per Vanoni, non può essere regolata né secondo un principio di pura supremazia statuale né in forza di un paritetico scambio di equivalenti. Nel primo caso, lo Stato perderebbe autorità e legittimità. Nel secondo, sarebbe impossibile commisurare il beneficio di servizi pubblici indivisibili con il sacrificio imposto a singoli contribuenti.
Vanoni elabora quello che si potrebbe definire un principio di reciprocità intra- e intergenerazionale.
Utilizza lo schema di classificazione delle entrate pubbliche elaborato da Griziotti. Vi sono entrate che provengono da generazioni passate (i proventi del patrimonio pubblico), da generazioni presenti (i tributi) e da generazioni future (indebitamento pubblico).
Il 10 giugno 1940 Benito Mussolini annuncia che la dichiarazione di guerra è stata già consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia. L’Italia si prepara a una guerra che spera breve. Si pensa anche a una riforma del sistema tributario. Il ministro delle Finanze Thaon di Revel affida a un comitato tecnico, composto dai maggiori esperti di finanza pubblica, il compito di dibattere il tema e di predisporre un progetto di riforma. Del comitato fa parte anche Vanoni.
All’inizio degli anni Quaranta, e quindi dopo vent’anni di regime fascista, il sistema tributario italiano si caratterizzava per una netta prevalenza delle imposte reali rispetto a quelle personali, al punto che l’imposizione personale veniva considerata ‘complementare’ rispetto a quella reale.
Nel comitato tecnico voluto dal ministro Thaon di Revel, Vanoni presentò un progetto di riforma che prefigurava il passaggio a un sistema tributario prevalentemente personale, con tassazione dei redditi da capitale, riduzioni per carichi di famiglia e aliquote progressive. Il progetto suscitò interesse e apprezzamenti ma non fu accolto. Prevalse la tesi, sostenuta da Cesare Cosciani, secondo cui l’imposta personale doveva restare complementare all’imposizione reale (cfr. Magliulo 1991, pp. 33-41).
Il 25 luglio 1943 implode il regime fascista e inizia la tragica ed esaltante stagione della liberazione dalla dittatura. Due giorni prima, a Camaldoli, una cinquantina di studiosi cattolici, al termine di una settimana di lavori, aveva approvato settantasei ‘enunciati’ di un nuovo codice sociale.
Nella clandestinità, i cattolici preparano la nuova democrazia. A Roma si ritrovano tre giovani di Morbegno: Vanoni, Saraceno e Paronetto. Hanno il compito di sviluppare gli enunciati di Camaldoli che trattano le questioni economiche. Dal settembre 1943 al maggio 1944 si incontrano più volte e insieme preparano le bozze degli articoli economici. Poi, Saraceno e Vanoni si recano a casa di Giuseppe Capograssi, insigne giurista, per discutere gli aspetti più controversi del rapporto tra Stato e società.
Il Codice viene pubblicato nel 1945 con il titolo Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli. Si tratta di un lavoro comune, in cui è difficile distinguere l’apporto dei singoli autori. La mano di Vanoni è evidente soprattutto nella stesura del capitolo VI su L’attività economica pubblica.
Negli stessi mesi, e sotto le stesse bombe che colpiscono Roma, uomini della tradizione liberale e marxista preparano i loro programmi di riforma sociale. In tutte le forze politiche emerge il desiderio di costruire uno Stato nuovo che riconosca, accanto agli antichi diritti civili e politici, i moderni diritti sociali, a partire dal lavoro. La sfida più impegnativa riguarda i mezzi: come garantire i diritti riconosciuti?
Liberali e social-comunisti, da opposti versanti, pensano a interventi pubblici esterni al mercato. Lo Stato dovrebbe nazionalizzare i monopoli naturali e attuare politiche redistributive. Ovviamente, i liberali auspicano uno Stato minimo e le sinistre uno Stato massimo. Ma il criterio direttivo è simile. Lo Stato non deve mai interferire sul funzionamento interno del mercato. Einaudi si richiama alla teoria degli interventi conformi elaborata da Wilhelm Röpke e auspica una legislazione sociale a favore di poveri e meritevoli.
I cattolici pensano invece a interventi pubblici interni al mercato. L’obiettivo è proprio quello di interferire sul funzionamento del mercato per modificare, mentre si svolge, il processo produttivo. I cattolici avevano tradizionalmente indicato due principali istituti: la partecipazione degli operai agli utili dell’impresa capitalistica e l’impresa cooperativa. Entrambi avrebbero consentito di modificare, dall’interno, il processo produttivo. Il Codice di Camaldoli ribadisce l’importanza della cooperazione ma sembra ridimensionare il ruolo dell’azionariato operaio, soprattutto nella grande industria, dove è essenziale la funzione direttiva dell’imprenditore.
Nel 1947 Vanoni pubblica un saggio intitolato La nostra via in cui riassume e sistematizza la riflessione svolta negli anni della liberazione. Il compito del governo è orientare l’economia verso fini di giustizia sociale (o bene comune) e cioè, concretamente, garantire uno sviluppo equilibrato del Paese che contempli la massima occupazione e la migliore distribuzione delle risorse. Gli interventi auspicati sono ancora interni al mercato, volti a modificare l’allocazione delle risorse. Tra gli strumenti nuovi figura l’impresa a partecipazione statale. Vanoni spiega che l’impresa pubblica a partecipazione statale, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), operando nel mercato, in diretta concorrenza con le imprese private, può conseguire il duplice risultato di ridurre gli extraprofitti dei privati e di preservare l’efficienza delle aziende pubbliche portando investimenti e sviluppo in settori e aree geografiche che ne sarebbero altrimenti esclusi (Barucci, in E. Vanoni, La politica economica degli anni degasperiani. Scritti e discorsi politici ed economici, 1977, pp. XIX-XXVI; Vigna 1992, pp. 62-91).
Nel giugno 1946 Vanoni è eletto all’Assemblea costituente e siede nella Commissione dei 75. Tra i suoi contributi alla stesura della carta repubblicana vi è la formulazione all’art. 81 della Costituzione che impone di indicare la copertura finanziaria per ogni legge che comporti nuove o maggiori spese (cfr. Tramontana 1987). Per Vanoni, si tratta di una norma di giustizia intergenerazionale.
Il 23 maggio 1948 De Gasperi forma il suo quinto governo: inizia la stagione del centrismo degasperiano. Vanoni è nominato ministro delle Finanze: un incarico che manterrà per l’intera legislatura.
Nel 1950 il Parlamento italiano approva, su proposta di Vanoni, una riforma doganale che abbatte le barriere non tariffarie (quote e contingenti) riservando al governo il potere di alzare (entro limiti definiti) i dazi a protezione di industrie considerate strategiche. Il provvedimento proietta l’economia italiana nel vasto ed emergente mercato mondiale.
Nel 1951 è la volta di una riforma fiscale che rafforza l’imposizione diretta e personale reintroducendo l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi. Il provvedimento rappresenta, fino alla riforma del 1971, la più importante misura di giustizia fiscale.
Nel 1953 il Parlamento approva, ancora su proposta di Vanoni, la legge che istituisce l’Ente nazionale idrocarburi (ENI), riservando allo Stato il monopolio per la produzione e distribuzione di metano nella Valle Padana e lasciando ai privati la libertà di ricercare e sfruttare nuovi giacimenti nella restante parte del territorio nazionale. L’ENI svolgerà un ruolo fondamentale nella politica di approvvigionamento energetico e di sviluppo equilibrato del Paese.
Nel successivo primo governo Fanfani, il 18 gennaio 1954 Vanoni è nominato ministro del Bilancio, assumendo anche formalmente il ruolo di coordinatore della politica economica italiana. L’azione di Vanoni, come ministro del Bilancio, ruota intorno allo Schema decennale di sviluppo che porta il suo nome.
Il 29 dicembre 1954 il Consiglio dei ministri, presieduto da Mario Scelba, approva un documento di oltre cento pagine intitolato Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-64. Dopo aver completato la ricostruzione del Paese, il governo intende risolvere, in un decennio, i due maggiori problemi strutturali dell’economia italiana: la disoccupazione e l’arretratezza del Sud.
Il modello macroeconomico sottostante allo Schema Vanoni può essere così riassunto:
• per raggiungere il duplice obiettivo di una crescita equilibrata e di piena occupazione (conseguendo anche l’equilibrio della bilancia dei pagamenti) è necessario creare 3,2 milioni di nuovi posti di lavoro localizzati soprattutto nel Mezzogiorno;
• per creare 3,2 milioni di nuovi posti di lavoro è necessario che il reddito nazionale continui a crescere, come negli ultimi anni, a un tasso medio annuo del 5%;
• per incrementare il reddito nazionale a un tasso medio annuo del 5% è necessario che il tasso di occupazione aumenti del 2% e la produttività del lavoro del 3%;
• per incrementare il tasso di occupazione e la produttività del lavoro è necessario che la quota degli investimenti rispetto al reddito nazionale aumenti dal 21% (del 1955) al 25% (nel 1964);
• infine, per incrementare la quota degli investimenti sul reddito nazionale è necessario che aumenti, nella stessa proporzione, la quota del risparmio sul reddito.
In sostanza: servono più risparmi per finanziare maggiori investimenti. Senza il risparmio necessario a finanziare i maggiori investimenti, vi sarebbe un rallentamento nella crescita economica e un prevedibile aumento della disoccupazione e del divario Nord-Sud.
Lo Schema delinea una strategia di politica economica. Il governo dovrebbe, innanzitutto, procurarsi mediante prestiti esteri il risparmio indispensabile per attivare il processo di sviluppo; dovrebbe poi, insieme con le imprese pubbliche, localizzare una parte degli investimenti nel Sud; dovrebbe infine, attraverso la politica dei redditi e la politica fiscale, favorire un graduale innalzamento della propensione al risparmio dal 21% al 25%. I consumi aumenterebbero in termini assoluti ma dovrebbero ridursi in rapporto al reddito.
Lo Schema suscitò un grande dibattito, in Parlamento e nel Paese. A Vanoni furono mosse tre principali critiche: aver impostato una manovra genericamente keynesiana inadatta per un Paese, come l’Italia, afflitto da disoccupazione strutturale; non aver contemplato un’azione antimonopolistica contro i grandi gruppi industriali che avrebbero beneficiato degli incrementi di spesa pubblica; avere, al contrario, previsto un’inaccettabile contrazione dei consumi privati.
Nel confronto parlamentare e nel dibattito pubblico Vanoni respinse, con efficacia, tutte le accuse. Gli investimenti pubblici avevano la funzione, non di colmare inesistenti vuoti di domanda aggregata, ma di accrescere la dotazione di capitale e quindi la capacità produttiva in specifici settori e aree geografiche. Le grandi imprese italiane erano state esposte, con i provvedimenti del 1950, alla più potente azione antimonopolistica immaginabile: la concorrenza internazionale. Infine, lo Schema prevedeva un aumento assoluto, e non una contrazione, dei consumi, riservando una quota crescente di un reddito crescente al finanziamento dei maggiori investimenti richiesti per ridurre la disoccupazione e il divario tra Nord e Sud (cfr. Magliulo 2007).
Lo Schema fu attuato solo parzialmente ma esercitò una grande influenza sulla cultura economica italiana; esso rappresenta la sintesi finale del pensiero economico e dell’azione politica di Vanoni: un insieme coordinato di interventi pubblici interni al mercato per orientare l’economia verso fini di giustizia sociale e benessere comune.
La bibliografia degli scritti di Vanoni è raccolta in:
F. Forte, Il pensiero di Ezio Vanoni sulla teoria e sulla politica della imposizione degli scambi, Milano 1956.
A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Roma 1991.
F. Forte, Ezio Vanoni economista pubblico, Soveria Mannelli 2009.
Qui di seguito sono riportati, in ordine tematico e cronologico, alcuni dei principali saggi di Vanoni e l’elenco completo delle raccolte di opere, scritti e discorsi dell’economista valtellinese.
Scritti di scienza delle finanze e diritto finanziario:
Natura e interpretazione delle leggi tributarie, Padova 1932, ora in Id., Opere giuridiche, a cura di F. Forte, C. Longobardi, 1° vol., Natura e interpretazione delle leggi tributarie. Altri studi di diritto finanziario, Milano 1961, pp. 1-313.
Osservazioni sul concetto di reddito in finanza, Milano 1932, ora in Id., Opere giuridiche, a cura di F. Forte, C. Longobardi, 2° vol., Elementi di diritto tributario. Altri saggi di diritto finanziario, Milano 1962, pp. 351-80.
Lezioni di scienza delle finanze e diritto finanziario, tenute nell’anno 1936-37 nella R. Università di Padova e nel R. Istituto Superiore di Economia e Commercio di Venezia, parte I: Principi di economia e politica finanziaria, Padova 1937, pp. VI-184, 19402, pp. IX-210; parte II: Elementi di diritto tributario, Padova 1937, ora in Id., Opere giuridiche, a cura di F. Forte, C. Longobardi, 2° vol., Elementi di diritto tributario. Altri saggi di diritto finanziario, Milano 1962, pp. 5-345.
Problemi dell’imposizione degli scambi, Padova 1939.
La finanza e la giustizia sociale, «Studium», 1943, 11-12, pp. 358-64, ora in A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Roma 1991, pp. 93-110.
Scritti di politica economica e finanziaria:
La rivalutazione della lira e l’equilibrio economico, in B. Griziotti, Politica monetaria e finanziaria internazionale, Milano 1927, pp. 317-407.
Il problema della codificazione tributaria, «Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze», 1938, 1, pp. 361-98, ora in Id., Opere giuridiche, a cura di F. Forte, C. Longobardi, 2° vol., Elementi di diritto tributario. Altri saggi di diritto finanziario, Milano 1962, pp. 413-54.
Appunti sulla riforma della imposizione personale, inedito 1942, ora in A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Roma 1991, pp. 155-73.
La nostra via. Criteri politici dell’organizzazione economica, «Quaderni di Roma», luglio 1947, 4, pp. 340-57, ora in A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Roma 1991, pp. 129-51.
Lo sviluppo economico italiano e la cooperazione internazionale, «La comunità internazionale», 1955, pp. 3-12, ora in Id., La politica economica degli anni degasperiani. Scritti e discorsi politici ed economici, a cura e con introduzione di P. Barucci, Firenze 1977, pp. 377-88.
Raccolte di opere, scritti e discorsi:
Discorsi sul programma di sviluppo economico, con presentazione e premessa di A. Segni, Roma 1956.
Opere giuridiche, a cura di F. Forte e C. Longobardi, 1° vol., Natura e interpretazione delle leggi tributarie. Altri studi di diritto finanziario, Milano 1961; 2° vol., Elementi di diritto tributario. Altri saggi di diritto finanziario, Milano 1962.
Scritti di finanza pubblica e di politica economica, a cura e con introduzione di A. Tramontana, Padova 1976.
La politica economica degli anni degasperiani. Scritti e discorsi politici ed economici, a cura e con introduzione di P. Barucci, Firenze 1977.
Discorsi parlamentari, a cura e con introduzione di A. Tramontana e presentazione di A. Fanfani, 2 voll., Roma 1978.
Gli studi su Vanoni risultano numerosi in prossimità di anniversari − la scomparsa (1956), alcuni decennali (1976, 1986), il centenario della nascita (2003) − a dimostrazione che il suo pensiero e la sua opera continuano a essere fonte d’ispirazione per economisti e politici.
M. Ferrari Aggradi, Ezio Vanoni. Vita, pensiero, azione, Roma 1956.
«Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze», 1956, nr. monografico: Studi in memoria del prof. Ezio Vanoni.
P. Malcovati, G. Spini, P. Saraceno, Ezio Vanoni, Torino 1958.
A. Tramontana, Il contributo di Ezio Vanoni alla formazione della carta costituzionale, «Economia pubblica», 1987, 7-8, pp. 319-34.
Gli squilibri territoriali e le politiche regionali, Atti della Riunione scientifica in onore di Ezio Vanoni, Bormio (5-7 giugno 1986), Genova-Sondrio 1987.
A. Magliulo, Ezio Vanoni. La giustizia sociale nell’economia di mercato, Roma 1991, con bibl. prec., pp. 211-19.
G. Vigna, Ezio Vanoni. Il sogno della giustizia fiscale, Milano 1992.
A. Quadrio Curzio, C. Rotondi, Disavanzo pubblico e impresa pubblica nel pensiero di Ezio Vanoni, «Economia pubblica», 1993, 9-10, pp. 407-17.
S. Steve, Commemorazione di Ezio Vanoni, letta in Ca’ Foscari il 12 maggio 1956, ora in Id., Scritti vari, Milano 1997, pp. 761-74.
A. Magliulo, La politica economica di Ezio Vanoni negli anni del centrismo, «Studi e note di economia», 2007, 1, pp. 77-114.
Ezio Vanoni tra economia, politica, cultura e finanza, a cura di D. Ivone, Napoli 2008.
F. Forte, Ezio Vanoni economista pubblico, a cura di S. Beretta, L. Bernardi, Soveria Mannelli 2009.
P. Roggi, Ezio Vanoni e la Democrazia Cristiana, in Id., Amintore Fanfani imprenditore della politica, Firenze 2011, pp. 213-25.