FAÀ DI BRUNO, Emilio
Nacque ad Alessandria il 7 marzo 1820 da Lodovico, marchese di Bruno, e Carolina Sappa de' Milanesi. Fratello di Giuseppe (sacerdote e missionario) e Francesco (professore di scienze fisiche e matematiche all'università di Torino), entrò giovanissimo nella scuola di marina di Genova ed ebbe la sua prima esperienza di navigazione sulla fregata "Des Geneys". Ottenne il grado di guardiamarina nel 1837 e quello di guardiamarina di prima classe nel 1839, partecipando poi alle guerre per l'indipendenza italiana.
Nel 1848, tenente di vascello, prese parte alla campagna della flotta sarda in Adriatico alle dipendenze dell'amm. G. Albini, operando con la corvetta "Malfatano" e con la fregata "S. Michele" alla ricerca della flotta austriaca tra le foci del Piave e del Tagliamento e nel blocco di Trieste. Ritiratosi dal servizio attivo per motivi familiari, fu richiamato dal conte C. Benso di Cavour ministro della Marina e nominato addetto all'ambasciata sarda a Londra, dove conobbe e sposò, il 29 ott. 1851, Agnese Huddleston. Si distinse nella seconda guerra di indipendenza e nell'assedio di Gaeta, dove guadagnò la croce di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Divenuto capitano di fregata, ebbe il comando della corvetta a vapore "S. Giovanni" e con questa condusse, tra il 1863 e il 1864, un lungo viaggio nelle Americhe per la visita ai diversi consolati e più in generale per la protezione degli interessi italiani.
Partito da Genova il 23 febbraio, giunse a Filadelfia il 20 maggio e ispezionò la fregata corazzata "Re d'Italia", ivi in costruzione. Successivamente mosse verso il golfo del Messico e giunse a New Orleans dove mise in atto il tentativo (non fattibile dati i bassi fondali) di risalire il primo ramo del Mississippi. Dopo aver fatto rotta per il Canada (la "S. Giovanni" fu la prima nave italiana a raggiungere la baia di Baffin), toccò il Brasile e si trattenne a Rio de janciro per diversi mesi operando in appoggio alla colonia italiana.
Nel 1865 ebbe il comando della pirocorvetta "Castelfidardo" ed entrò a far parte della squadra di evoluzione dell'amm. G. Vacca. Si recò quindi in Tunisia, dove erano scoppiati disordini dovuti a contrasti economici e commerciali tra europei ed indigeni e dove l'Italia aveva stazionato diverse forze (amm. G. B. Albini) per inserirsi nel gioco delle potenze e per porre un'ipoteca in vista della futura occupazione del paese. Tramontata in breve la possibilità di acquisti territoriali, la presenza navale italiana rimase tuttavia a difendere gli interessi nazionali, ed una parte vi ebbe anche il F., il quale operò una mediazione tra le posizioni dei pescatori di corallo italiani e tunisini, guadagnandosi le lodi dello stesso bey che lo fregiò poi con una propria decorazione. Promosso capitano di vascello, passò al comando della "Re d'Italia" ove ricevette l'ordine, nel maggio del 1866, di unirsi alla flotta italiana per partecipare alle operazioni della terza guerra di indipendenza contro gli Austriaci. Si incontrò con l'amm. C. Pelhon di Persano a Taranto e navigò fino ad Ancona, ma con difficoltà in quanto sulla nave si verificarono principi di incendi ai carbonili.
Quattro giorni prima l'armata italiana era salpata alla volta di Lissa per tentarne l'occupazione ma il livello generale di prepara?:ione si rivelò decisamente insufficiente. La mattina del 20 luglio, mentre una parte della flotta era impegnata a bombardare i forti di Lissa, veniva avvistata la squadra austriaca guidata dall'amm. W.v. Tegetthoff. Il Persano, che aveva scelto come nave ammiraglia proprio la "Re d'Italia", diresse contro il nemico in linea di fila, intendendo sfruttare le artiglierie, ma la manovra non riuscì per lo scarso affiatamento tra i comandanti e perché lo stesso Persano rallentò il movimento della flotta trasferendosi sull'ariete corazzato "Affondatore". Così la linea italiana si sfilacciò ed il F. venne lasciato solo con il gruppo centrale ("Re d'Italia", "Palestro", "S. Martino") ad affrontare l'urto nemico. Nella mischia confusa attorno alle navi italiane venne presa di mira soprattutto la "Re d'Italia", ritenuta ancora sede del comando supremo. Diversi colpi si abbatterono in coperta e sulle fiancate, uno dei quali rese imitilizzabile il timone che per un errore di costruzione sporgeva al di sopra della linea di galleggiamento. L'unità italiana non era più in grado di manovrare ed il Tegetthoff spinse in avanti a tutta forza la sua "Ferdinand Max" riuscendo a speronarla. Con una falla di diversi metri, al fianco, la "Re d'Italia", il 20 luglio 1866, si inabissò in pochi istanti trascinando con sé gran parte degli ufficiali e dell'equipaggio. Secondo alcuni il F., vista .perduta la nave e forse anche la battaglia, si sarebbe ucciso con un colpo di pistola sul ponte di comando. Ma per la maggior parte degli storici (e seguendo anche la testimonianza del sottocapo di stato maggiore del Persano, A. del Santo) il comandante invece si buttò in mare troppo tardi, finendo trascinato a fondo dal gorgo della nave.
Fu decretata al F. una medaglia d'oro alla memoria e inoltre la marina diede il suo nome ad una cannoniera corazzata del 1896, a un monitore del 1917 e a un sommergibile del 1936. Tuttavia è opportuno ricordare che alcuni studiosi gli hanno imputato di essersi dimostrato eccellente combattente ma non altrettanto abile marinaio, poiché la perdita della "Re d'Italia" fu dovuta sì alla mancanza di coordinamento e di, intesa tra le diverse forze operanti e all'imperizia del Persano, ma anche ad un errore di manovra dello stesso Faà di Bruno. Questi, avvistata di prora un'unità nemica che gli attraversava il cammino, invece di procedere, ritenne opportuno fare macchina indietro e, praticamente annullando l'abbrivio, finì con il lasciare la nave immobile al centro della mischia, favorendone proprio lo speronamento.
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero della Difesa, Arch. dell'ufficio storico della Marina militare, fascicolo personale; La campagna del 1866 in Italia, Torino-Firenze 1866, pp. 190, 208 s.; D. Guerrini, Lissa (1866), Torino 1908, II, pp. 595, 597, 600, 658, 682; A. Lumbroso, La battaglia navale di Lissa nella storia e nella leggenda, Roma 1910, pp. 142 s., 145, 147; D. Olivero, I Faà di Bruno, Alessandrà 1913, pp. 8, 18, 23; E. Bravetta, La grande guerra sul mare, Milano 1925, I, pp. 232, 234; Ufficio storico della Marina militare, Storia delle campagne oceaniche della regia marina, a cura di F. Leva, Roma 1936, I, pp. 24, 30; Id., La marina militare nel suo primo secolo di vita (1861-1961), a cura di G. Fioravanzo, Roma 1961, p. 176; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, tavola XVII, p. 766; A. Iachino, La campagna navale di Lissa (1866), Milano 1966, pp. 422, 425, 440 s., 445, 513, 588, 602; Ufficio storico della marina mìlitare, Le navi di linea italiane, Roma 1969, p. 103; G. Colliva, Uomini e navi nella storia della marina militare italiana, Milano 1972, p. 35; Ufficio storico della Marina militare, Esploratori, fregate, corvette e avvisi, Roma 1976, p. 82; E. Ferrante, La grande guerra in Adriatico, Roma 1987, p. 86; A. Santoni, Da Lissa alle Falkland, Milano 1987, p. 20.