FABBRICERIA
È una persona giuridica alla quale è devoluta l'amministrazione di quella parte del patrimonio di una chiesa, che è destinata alla manutenzione dell'edificio e alle spese del culto.
Nella Chiesa antica l'intero patrimonio ecclesiastico era raccolto nelle mani dei vescovi. Le sue rendite, per disposizione dei pontefici Simplicio e Galasio (sec. V), erano divise in quattro parti, delle quali una destinata al vescovo, la seconda al clero della diocesi, la terza ai poveri e la quarta alla fabbrica della chiesa (quarta, o portio fabricae). La portio fabricae serviva generalmente alla manutenzione dell'edificio (sarta tecta) e all'esercizio del culto (luminaria ecclesiae). La molteplice ulteriore erezione di chiese locali e la mancanza di chi avesse un effettivo interesse a pretendere l'assegnazione integrale della quarta fabricae frustrarono le primitive disposizioni e provocarono la trasformazione della portio in un onus, che veniva giuridicamente a gravare sul beneficiato. Questa fase evolutiva è molto interessante e trova notevoli riscontri nei tempi attuali. Allorché l'investito era puramente e semplicemente onerato di fabbrica, si aveva l'istituto del beneficium indistinctum (rendite destinate indistintamente al sostentamento del beneficiato e ai bisogni della chiesa). Allorché invece, con ulteriore evoluzione, al beneficiato già provvisto era assegnata una seconda massa di beni i cui redditi erano riservati alla manutenzione della chiesa e all'esercizio del culto, si aveva l'istituto del beneficium distinctum. Ma il patrimonium fabriche, cioè le masse patrimoniali create dalla pietà dei fedeli e dal loro desiderio di erigere chiese monumentali, acquistarono autonomia sempre maggiore, e i fedeli desiderarono averne la gestione e il controllo, così che in molti luoghi si costituirono vere e proprie persone giuridiche, che presero generalmente il nome di fabbricerie, con un proprio patrimonio e un proprio consiglio d'amministrazione.
La Chiesa ha disciplinato l'istituzione delle fabbricerie per la prima volta nel concilio di Trento (c. 9, XII, de ref.). Per contro, dato che in genere gli enti pubblici hanno concorso potentemente alla costituzione delle fabbricerie, gli stati hanno spesse volte fatto opera legislativa in proposito ed è questo uno dei casi tipici in cui la potestà civile, nell'interesse del culto, ha agito parallelamente alla potestà ecclesiastica, spesso sovrapponendosi a essa.
Le fabbricerie sono normalmente destinate alle chiese parrocchiali. Si hanno però fabbricerie di chiese cattedrali (Fabbrica di S. Pietro in Roma) e di santuarî. Reciprocamente, non tutte le chiese parrocchiali hanno una fabbriceria (per es. nella fase di beneficium indistinctum). Ove essa esiste, può essere regolata da particolari statuti (tipico il regolamento della parrocchia di Saint-Jean-en-Grève di Parigi, sul quale si modellò il decreto napoleonico 30 dicembre 1809) oppure da una legge generale dello stato. Quest'ultima è la forma più perfetta delle fabbricerie vigenti.
In Italia la legislazione precedente all'unificazione del regno ha creato parecchi tipi di fabbricerie che ancora sussistono. Esse sono: in Sicilia le maramme, che assumono aspetti diversi secondo i luoghi e sono regolate da una legislazione che risale al sec. XV; nel Napoletano le cappelle; in Toscana le opere; altrove semplicemente le fabbricerie. Nelle provincie lombardo-venete vige la legge italica 26 maggio 1807 e nelle provincie liguri-parmensi il decreto nap. 30 dicembre 1809, che sopravvive anche in alcune altre parti dell'impero di Napoleone, fuori d'Italia. Norme particolari si hanno anche per gli ex stati estensi; in Piemonte non vi è una legislazione generale e negli stati della Chiesa non si tollerò mai l'ingerenza laica nell'amministrazione del patrimonio ecclesiastico.
La legislazione del regno d'Italia in materia di fabbricerie dispose unicamente in relazione al loro diritto di proprietà immobiliare, che fu limitata agli edifici del culto, alle abitazioni dei rettori e ai locali necessarî all'amministrazione, salve alcune eccezioni (legge 7 luglio 1866, art. 18, n. 2 e art. 33; legge 11 agosto 1870, allegato P, articoli 3-4).
Nel codice di diritto canonico, la questione delle fabbricerie è ripresa in esame al can. 1182 segg., e se ne ammette l'esistenza in virtù di uno speciale titolo (legge) o di una legittima consuetudine (can. 1182, § 1). Ciò analogamente a quanto dispone il can. 1521, relativamente ai beni di chiese o luoghi pii, i quali non abbiano ex iure, o per speciali tavole di fondazione, una propria amministrazione. E ove non esistano fabbricerie, l'amministrazione del patrimonio destinato ai restauri della chiesa e all'esercizio del culto è attribuita per le chiese cattedrali al vescovo e al capitolo, per le collegiate al capitolo collegiato, per le altre chiese al rettore (can. 1182, § 1). Gli amministratori, chierici e laici, che siano riconosciuti dalle particolari disposizioni sopra citate, devono unirsi agli ecclesiastici, per tal modo indicati, e costituire con essi il consilium fabricae (can. 1182, par. 1). Così in sostanza il codice, ammettendo per massima la speciale legislazione eventualmente preesistente in materia di fabbricerie, la integra sempre con proprî organi ecclesiastici.
Secondo il concordato dell'11 febbraio 1929 (art. 29, lett. a) e gli articoli 4 e 15 della legge 27 maggio 1929, n. 848, le fabbricerie che in Italia possedevano una personalità giuridica la conservano e sono soggette alla vigilanza e alla tutela dello stato (art. 16 della legge). È quindi contradditoria a tali principî la relazione ministeriale della legge sopra citata, che, dopo aver ricordato l'origine statale e la storia gloriosa dei nostri istituti, li retrocede viceversa alla qualifica di semplici organi amministrativi di un patrimonio la cui soggettività spetterebbe sempre alla chiesa. Invece il relatore della legge alla Camera dei deputati (A. Solmi; seduta del 4 maggio) precisa che le fabbricerie, anche essendo considerate come organi amministrativi, mantengono tuttavia la personalità giuridica. Si noti ancora che lo stesso codice di diritto canonico (can. 1186, n. 1 e 2) riconosce esplicitamente questa soggettività, ammettendo l'esistenza di beni appartenenti alle fabbricerie. E di esse si occupa in ultimo il regolamento 2 dicembre 1929, n. 2262, art. 34, u. c., il quale dispone che, occorrendo, siano riveduti gli statuti particolari delle fabbricerie, per porli in armonia con i principî del concordato. Lo stesso regolamento determina i generali criterî di governo delle fabbricerie che siano prive di proprie norme, armonizzandoli con le disposizioni già date dalla Chiesa nel Cod. iur. can. (cfr. canoni 1184-85 e 1519 segg.).
Bibl.: M. Moresco, Le fabbricerie secondo il decreto nap. 30 dicembre 1809, Milano 1905, e l'anteriore bibl. ivi citata; A. Fontana, Le fabbricerie nel Modenese, Modena 1907; S. Tessitore, La maramma, o fabbriceria di Sicilia, Torino 1910; F. Scaduto, Fabbricerie siciliane (Maramme), Napoli 1911; D. Schiappoli, Manuale di diritto ecclesiastico, Napoli 1913; A. Galante, Manuale di diritto ecclesiastico, Milano 1914; A. C. Jemolo, L'amministrazione ecclesiastica, Milano 1916; A. Falco, Corso di diritto ecclesiastico, Padova 1930.