Fabien Cousteau
Come uno squalo
Il nipote del mitico Jacques Cousteau continua a realizzare imprese ‘impossibili’ sulle orme del nonno: Fabien, che dedica molta parte della sua ricerca alla difesa degli squali, ha realizzato un sommergibile a forma di pescecane per poterli finalmente avvicinare e interagire come un loro simile.
Fabien Cousteau ha trascorso parte della sua estate – 31 giorni – 19 metri sott’acqua a bordo della base sottomarina Aquarius, in Florida, 50 anni dopo la precedente avventura del nonno Jacques. Nel 1964 il capostipite degli esploratori marini, l’uomo dall’immancabile berrettino rosso, guidò una spedizione di 30 giorni al largo del Sudan, a bordo del Conshelf II, per studiare gli animali e le alghe degli abissi, dando il via alla gigantesca opera familiare di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul bisogno di conoscere, e quindi rispettare, il mare. In realtà, si dice che Jacques Cousteau – uomo di colpi mediatici e di altalenante rigore scientifico – a quei tempi non abbia passato neanche un giorno sott’acqua, preferendo dirigere le operazioni a bordo della celebre nave Calypso ancorata poco lontano. Circostanza che rende l’exploit di Fabien, documentato da video e foto postate in diretta su Internet, ancora più notevole.
Il giovane Cousteau, oggi 46enne, ha cominciato presto a confrontarsi con la vita subacquea. Respirò sotto il mare per la prima volta a 4 anni, grazie a una bombola di ossigeno che il nonno, inventore con l’ingegnere Émile Gagnan del sistema SCUBA (Self-contained underwater breathing apparatus), aveva fabbricato apposta per lui. Intorno ai 7 anni, l’intraprendente Fabien si immerse di nuovo, ma nel buio del cinema, per vedere il film di Steven Spielberg Lo squalo, che lo turbò: «Quel film andava contro tutto quel che avevo già imparato sugli squali, che non vanno certo in giro ad azzannare barche». Un altro bambino si sarebbe consolato in fretta, riflettendo magari sulla distinzione tra cinema e realtà: lui no, la difesa degli squali e della loro reputazione divenne la battaglia della sua vita.
Per anni Fabien Cousteau ha seguito prima il nonno poi il padre Jean-Michel (che si detestavano) nelle loro avventure sopra e sotto gli oceani, specializzandosi nei documentari sulla vita dei pescecani, fino al colpo di genio del 2004.
Quando gli chiesero l’ennesimo film Cousteau non era convinto, gli sembrava che sugli squali avesse già detto tutto.
Ma gli venne in mente uno dei suoi eroi preferiti dei fumetti, Tin Tin, che nell’albo Il tesoro di Rackham il Rosso scandaglia l’oceano a caccia di un tesoro a bordo di un sottomarino a forma di pescecane. «È stata un’illuminazione: il comportamento degli squali è molto influenzato dagli osservatori e dalle cineprese subacquee, e di solito vengono filmati dall’interno delle gabbie di metallo. Alla fine vengono fuori le solite immagini a fauci spalancate contro le sbarre, un atteggiamento molto lontano dalle loro abitudini naturali».
Fabien Cousteau costruì allora un piccolo sommergibile lungo 4 metri a forma di squalo, simile a quello immaginato da Hergé per Tin Tin. Troy – così si chiamava l’imbarcazione – dimostrò di potersi muovere nell’acqua imitando le mosse degli squali, che infatti lo consideravano uno di loro. Il risultato fu il documentario commissionato dalla tv americana ma anche altre 170 ore di pellicola destinate agli studi scientifici. Come la dinastia svizzera Piccard (l’ultima prodezza è l’aereo a energia solare Solar Impulse 2), i francesi Cousteau hanno trasportato nella realtà e nella modernità il sogno ottocentesco, un po’ alla Jules Verne, del progresso legato all’esplorazione.
Dunque, tra luglio e agosto 2014 Fabien Cousteau ha ridato vitalità alla tradizione di famiglia vivendo 31 giorni sul fondale dell’oceano, fotografando tartarughe giganti e aragoste e raccogliendo dati per 12 terabyte (l’equivalente di 750 iPad). «L’obiettivo della mia missione era raggiungere simbolicamente 331 milioni di persone in tutto il mondo, e credo di averlo largamente superato. Ho potuto usare mezzi come Skype o YouTube che mio nonno poteva solo sognare, quando è morto nel 1997». La base Aquarius ora servirà ad altri ricercatori (magari per periodi più brevi) e alla NASA per studiare l’interazione umana in spazi ristretti.
Fabien continuerà la lezione divulgativa del nonno: «Finora è stato esplorato neanche il 5% del mondo oceanico, ci sono ancora tante cose da scoprire».
Aquarius
Si tratta di un laboratorio di ricerca sottomarino, costruito a Victoria (Texas) nel 1986, di proprietà dell’ente governativo statunitense che si occupa di oceanografia e meteorologia, la National oceanic and atmospheric administration (NOAA). Lungo 13 metri e pesante 81 tonnellate, in origine era stato posizionato alle Isole Vergini, ma poi, a seguito del ciclone Hugo del 1989, è stato restaurato e collocato sulla barriera corallina al largo della Florida a circa 20 metri di profondità. Può ospitare fino a 6 ricercatori per periodi che normalmente non superano i 10 giorni e i loro ‘abitanti’ sono detti aquanauts. Anche la NASA, nel passato, ha utilizzato Aquarius allo scopo di allenare i propri astronauti a lunghe permanenze in un angusto ambiente artificiale.