FABIO Massimo Emiliano, Quinto (Q. Fabius Maximus Aemilianus)
Nacque verso il 186 a. C. da L. Emilio Paolo, il futuro vincitore della battaglia di Pidna, e dalla sua prima moglie Papiria. Quando qualche anno appresso il padre ebbe da un secondo matrimonio altri due figli, fece passare i due più anziani per adozione in altre genti, cioè, il secondo nella gente Cornelia, onde assunse il nome di P. Cornelio Scipione Emiliano, e il primo, maggiore di uno o due anni, nella gente Fabia, più precisamente nel ramo dei Fabî Massimi e nella famiglia di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, perché molto probabilmente fu un nipote di questo colui che adottò il nostro. Appena diciottenne, nel 168 a. C., accompagnò il padre nella campagna contro la Macedonia e guidò insieme con P. Scipione Nasica l'aggiramento dell'esercito macedone. Fece parte dell'ambasceria che portò a Roma la notizia della vittoria di Pidna, e, tornato in Grecia, partecipò alle spedizioni punitive del 167 a. C. contro le città ribelli dell'interno della Macedonia e dell'Illiria. Al suo ritorno in Roma visse in quei circoli in cui brillò il fratello, Scipione Emiliano l'Africano, e che accolsero con tanta simpatia Polibio. Forse è lui quel Fabio Massimo che nel 154 a. C. andò ambasciatore in Pergamo, e nel 149 fu pretore in Sicilia. Nominato console insieme con L. Ostilio Mancino nel 145 a. C., fu mandato nella Spagna, dove già da due anni i Lusitani avevano trovato in Viriato un duce di grande abilità, che era riuscito a vincere, far prigioniero e uccidere il pretore C. Vetilio. Il comando delle due provincie spagnole fu allora riunito nelle mani di F. e fu suo merito aver capito che non era quello il momento di grandi successi, ma che conveniva soprattutto evitare disastri e riordinare l'esercito. Fece poi parte, secondo probabili congetture, di quell'ambasceria romana alla quale fu sottoposta, come è ricordato in epigrafi (Dittenberger, Syll., 3ª ed., n. 6845 e Suppl. Ep. gr., II, 511, cfr. III, 775), una controversia confinaria fra Ierapitna e Itano, e in quello stesso torno di tempo indirizzò agli abitanti di Dime una lettera ordinante la punizione dei capi d'un tentativo rivoluzionario contro la costituzione data alla città dai Romani nel 146 a. C. (Dittenberger, op. cit., n. 684). Nel 133 a. L. fu legato del fratello Scipione nella guerra numantina, c morì certo prima di lui, verso il 130 a. C.
Bibl.: M. Hoffmann, De Viriathi Numantinorumque bello, Greifswald 1865, p. 39 segg.; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 1791 segg.; E. Kornemann, Die neue Liviusepitome, in Klio, 2° Suppl. p. 99 segg.; B. Niese, Grundr. d. röm. Gesch., 5ª ed., curata da E. Hohl, Monaco 1923, p. 159.