Fulgenzio, Fabio Planciade
Sotto questo nome ci sono giunte tre operette: i Mythologiarum libri tres, l'Expositio virgilianae continentiae e l'Expositio sermonum antiquorum. Al medesimo autore vengono comunemente attribuiti, per evidenti ragioni di stile, di contenuto e di formazione culturale, il De Aetatibus mundi et hominis e il brevissimo Super Thebaidem, che i codici attribuiscono rispettivamente a tal Fabius Claudius Gordianus Fulgentius e a Sanctus Fulgentius Episcopus.
Quest'ultima attribuzione documenta la tendenza, già nel Medioevo, a fare tutt'uno del nostro autore e del più celebre s. Fulgenzio di Ruspe, vissuto a cavallo fra il V e il VI sec. d.C. nell'ambito dell'Africa vandalica, strenuo difensore dell'ortodossia contro le eresie ariana e semipelagiana. L'identificazione è tuttora sostenuta da eminenti studiosi (cfr., per es., il Courcelle e il Langlois). La datazione delle opere ondeggia, a seconda che si accetti o meno l'identificazione, dal IV al VI sec. d.C.
Non abbiamo alcun indizio atto a provare con assoluta sicurezza una diretta conoscenza da parte di D. delle opere di F.; resta comunque indubbia l'influenza da esse esercitata sull'elaborazione della teoria medievale dell'allegoria della quale F. fu uno dei più convinti teorizzatori. A lui soprattutto si suole far risalire l'esasperazione, oltre ogni limite ragionevole, dell'interpretazione allegorica in applicazione ai testi pagani in base a un modulo già applicato dai padri della Chiesa all'interpretazione dei testi biblici.
Non per nulla F., in Super Tebaidem (ediz. Helm pp. 180, 12 ss.), riprende l'immagine della noce, già documentata dalla letteratura patristica anteriore (cfr., per es., s. Girolamo in Epist. LVIII 9), ma la applica ai carmina poetarum dei quali il guscio simbolizzerebbe il sensus litteralis, il nucleo quello misticus o allegorico. Un'eco di tale immagine potremmo forse ravvisare in Cv II I 8-9 dove D. sviluppa il concetto secondo il quale il senso litterale è quello ne la cui sentenza li altri sono inchiusi. Così pure l'affermazione dantesca secondo cui impossibile è venire a l'altre, massimamente a l'allegorica, sanza prima venire a la litterale, in quanto è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori, trova un preciso riscontro nel passo fulgenziano: " ut habeas nucleum frangenda est testa: ut figurae pateant quatienda est littera ". Ma il motivo è già in s. Girolamo, loc. cit.: " qui esse vult nuculeum frangit nucem ".
A F. se mai, e più propriamente all'Expositio virgilianae continentiae, risale, più o meno direttamente, l'interpretazione dell'Eneide di Virgilio come allegoria della vita umana (Cv IV XXIV 9 E lasciando lo figurato che di questo diverso processo de l'etadi tiene Virgilio ne lo Eneida) e più precisamente l'assimilazione di ciascuna delle quattro canoniche età dell'uomo (adolescenzia, gioventute, senettute, senio) a una sezione del poema virgiliano. Il rapporto si fa particolarmente stretto in Cv IV XXVI 8, dove la sezione comprendente i libri quarto, quinto e sesto dell'Eneide è analizzata come figurazione allegorica dell'età giovanile proprio come in Fulgenzio. Ma, se comune è il concetto generale, diversa è nei due autori l'interpretazione dei particolari. Se infatti il quarto libro è, sia per F. sia per D., il libro della ‛ temperanza ', notevolmente diverse sono le osservazioni dei due autori per quanto si riferisce al quinto e al sesto. Nella partecipazione di Enea ai giochi funebri in onore di Anchise (l. v) F. identifica quella fase della vita dell'uomo in cui (ediz. Helm, p. 95) " iam prudentior aetas paternae memoriae exempla secuta liberalibus corpus exerceat causis " e interpreta la gara di pugilato fra Entello e Darete come espressione di " virtutis ars ". D. invece si volge ad altri particolari del libro dei ludi. Secondo la sua interpretazione Enea (Cv IV XXVI 11) lasciò li vecchi Troiani in Cicilia raccomandati ad Aceste, e partilli da le fatiche; e... ammaestrò in questo luogo Ascanio, suo figliuolo, con li altri adolescentuli armeggiando (cfr. Aen. v 711 ss.; 545 ss.) per dimostrare che è a questa etade, a sua perfezione, necessario d'essere amorosa... conviensi amare li suoi maggiori, da li quali ha ricevuto ed essere e nutrimento e dottrina.., conviensi amare li suoi minori, acciò che, amando quelli, dea loro de li suoi benefici (IV XXVI 10). Analogamente, il fatto che Enea (Cv IV XXVI 14) quando fece li giuochi in Cicilia... ciò che promise per le vittorie, lealmente diede poi a ciascuno vittorioso, starebbe a dimostrare come è necessario a questa etade essere leale. Ancora più aberrante l'interpretazione del sesto libro. Per D. la discesa di Enea nell'Ade starebbe a esaltare la virtù della fortezza o vero magnanimitate dimostrata in sommo grado dall'eroe quando (Cv IV XXVI 9) sostenette solo con Sibilla a intrare ne lo Inferno a cercare de l'anima di suo padre Anchise, contra tanti pericoli. Per F. invece (ediz. Helm, pp. 95, 21 ss.) il descensus ad inferos simboleggia il momento in cui Enea, cioè l'uomo, " sapientiae obscura secretaque misteria penetrat " cioè, in sostanza, l'iniziazione alla filosofia. È difficile dire se D. attingesse direttamente a F., di cui avrebbe liberamente rielaborato i concetti, o per tramite di qualche più tardo imitatore. Di solito ci si rifà a un passo di Giovanni di Salisbury (Polycr. VIII 24: Patrol. Lat. 199, 817), ma ivi si parla di sei età anziché di quattro in riferimento ai primi sei libri dell'Eneide e le singole interpretazioni divergono da D. non meno di quelle fulgenziane.
Un analogo problema si pone per il passo del Convivio (IV XXIII 14) relativo ai quattro cavalli del sole, riconducibile per un lato a Ovidio (Met. II 153 ss.), per l'altro a F. (Myth. I 12). Ovidio è espressamente menzionato da D. e ovidiani sono i nomi dei quattro cavalli. La variante fulgenziana " Filogeo ", in luogo dell'ovidiana " Flegon " per il quarto cavallo, presente in molti codici del Convivio, sembra mediata per tramite di Uguccione o degli scolii a Ovidio e, comunque, è tuttora sub iudice (cfr. la voce FILOGEO). A F. si ricollega invece l'interpretazione dei quattro cavalli quale allegoria delle quattro stagioni dell'anno e delle quattro parti del giorno. Trattasi di una corrispondenza perfetta e puntuale, ma, anche in questo caso, non possiamo escludere che D. attingesse non tanto al testo fulgenziano quanto al Mythographus Vaticanus III, Fab. 8, 6 (I 202-203 ediz. Bode), noto anche al Boccaccio sotto il nome di Alberico, dove il concetto fulgenziano è ampliato mediante l'esplicita citazione delle quattro stagioni (" veris videlicet et aestatis, autumni et hiemis ") assente in F., che si limita a parlare di " quadripertitae temporum varietates " e di " anni circulus ", ma presente nel testo dantesco.
Com'è facile dedurre da quanto s'è detto, è indubbia la presenza in D. di moduli interpretativi la cui prima formulazione è riconducibile a F., ma resta sempre il sospetto che l'influsso sia mediato dalla plurisecolare cultura del Medioevo che quei moduli riprese e rielaborò in mille forme diverse.
Del resto la visione dantesca del mondo e delle lettere classihe presenta un'ampiezza di orizzonti ben maggiore delle elaborate elucubrazioni del tardo esegeta latino. Nel " mite, dolce e modesto " Virgilio di D. nessuna traccia permane di quella sorta di " barbassoro accigliato, tenebroso, brusco e superbo ", per usare le parole del Comparetti (Virgilio nel Medioevo, Firenze 1895, 151), che è il Virgilio della continentia fulgenziana, e non facilmente difendibile sembra oramai, alla luce dei più recenti studi (cfr. soprattutto quelli del Renucci), la tesi del Busnelli (L'etica nicomachea, p. 8) che identificava nel lungo silenzio di If I 63 un richiamo al periodo di otto secoli intercorrente fra F., l'ultimo che avrebbe fatto parlare Virgilio, e il poema dantesco.
Bibl. - G. Busnelli, L'etica nicomachea nel Convivio di Dante; F. Ghisalberti, La quadriga del sole nel Convivio, in " Studi danteschi " XVIII (1931) 69; H. Theodore Silverstein, Two notes on Dante's Convivio, IV, 23. II Dante's reference to the horses of the Sun, in " Speculum " VII (1932) 549-551; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954; P. Giannantonio, D. e l'allegorismo, Firenze 1969.