RAMONDINO, Fabrizia
RAMONDINO, Fabrizia. – Nacque a Napoli il 31 agosto 1936 da Pia Mosca, donna raffinata e colta, e da Ferruccio, orientalista, già interprete in Cina e futuro console a Maiorca, dove si trasferì pochi mesi dopo la nascita della primogenita, Fabrizia. Nell’isola, con i fratellini Giancarlo e Annalisa, nati rispettivamente nel 1938 e nel 1937, trascorse i primi sette anni di vita, rievocati con nostalgia nei futuri racconti e romanzi. In seguito all’armistizio Badoglio (8 settembre 1943), i Ramondino furono costretti a rientrare: dopo una sosta a Madrid, il padre venne arrestato dagli inglesi, mentre la famiglia tornò a Napoli e trovò rifugio a Santa Maria di Massa Lubrense, nella penisola sorrentina. Nel 1948, grazie al nuovo incarico diplomatico del padre, si trasferirono a Chambéry, dove Ramondino frequentò le scuole francesi e conobbe Claude Bauret Allard, l’amica di tutta una vita.
Qui nel 1950 assistette alla morte improvvisa del padre, un trauma profondo per lei e un dramma per l’intera famiglia, obbligata a tornare a Napoli e a vivere in ristrettezze economiche. Nel 1954, senza attendere l’esito degli esami della maturità liceale, accettò un viaggio premio per Parigi, per poi soggiornare in Germania dal 1954 al 1957, dove apprese il tedesco e svolse lavori saltuari. Frequentò quindi l’Istituto Orientale laureandosi in francese; nel frattempo si mantenne lavorando presso l’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e si dedicò ad attività pedagogiche con i bambini della periferia. Molte iniziative rientravano nell’attività dell’ARN (Associazione per il Risveglio di Napoli), cui partecipava insieme all’amico Carlo Cirillo, poi morto suicida. Si sposò (probabilmente nel 1960) con Francesco Alberto Caracciolo, giovane aristocratico e aspirante pittore, ma presto avviò una relazione tormentata con Livio Patrizi. Lo raggiunse spesso a Milano, dove il giovane si era trasferito per il suo lavoro di redattore. Qui, dalla loro unione, nacque Livia, l’unica figlia di Ramondino. Dopo la separazione dal marito, si sottopose, fra il 1964 e il 1969, alla terapia analitica junghiana, svelata ai lettori per spiegare il complesso passaggio dal sogno al libro, ovvero alla scrittura letteraria (Il libro dei sogni, 2002).
Il 1966 fu un anno importante per Ramondino, perché oltre a diventare madre, vinse il concorso scolastico per insegnare francese e, dopo la lettura della Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, avviò la stesura di Althénopis. Dal 1968 al 1977 prese parte alle lotte politiche e sociali, aderendo al movimento della Nuova Sinistra in cui confluirono molti militanti delusi del Partito socialista italiano, e svolgendo un’inchiesta i cui risultati furono pubblicati nel primo volume firmato da Ramondino, Napoli. I disoccupati organizzati, commissionatole da Goffredo Fofi.
L’esordio come scrittrice avvenne solo nel 1981 con il folgorante Althénopis, promosso da Natalia Ginzburg ed Elsa Morante (modello ambivalente per Ramondino, come rivelano le poesie L’isola di Arturo, A Elsa Morante) presso Einaudi: il romanzo, poi tradotto in varie lingue, come altre opere di Ramondino, la impose all’attenzione della critica, che vi scorse soprattutto un’impronta proustiana. All’età di quarantacinque anni aveva alle spalle un lungo apprendistato fatto di vaste letture, esercizi di lingua con dizionari e classici italiani, scrittura segreta. Quest’ultima risale alle prime prove poetiche datate 1956, come ha reso noto la raccolta Per un sentiero chiaro che, insieme all’autobiografico In viaggio, consente di ricostruire il difficile percorso di Ramondino verso la scrittura pubblica.
Nel racconto Guide (In viaggio), è narrato il sogno della supplenza: la nonna è seduta in cattedra al posto della nipote e al suo stupore replica che lei è lì affinché Fabrizia possa correre subito a casa a scrivere «quelle storie» che lei stessa non poté scrivere in gioventù. E il personaggio della Nonna, non a caso, appare come in una visione nell’incipit di Althénopis: «Era sempre vestita di nero, ma quando passava per la piazza di Santa Maria del Mare, come fiamme d’inferno i colori le guizzavano intorno». Ambientato nella penisola sorrentina in un luogo chiamato Santa Maria del Mare, tanto rielaborato da apparire immaginario, il romanzo, considerato il capolavoro di Ramondino, si snoda fra senso di perdita e memoria. L’uso della prima persona e la partizione numerica dei luoghi lo allontanano dalla Recherche, pure più volte esibita. Esempio di antiromanzo, Althénopis si caratterizza per uno stile elencativo e per il registro della distanza, restituita attraverso la memoria che recupera immagini di vita dai sette anni alla prima adolescenza, filtrate attraverso le cose, i luoghi, gli interni.
Dopo Althénopis, adottando il criterio dell’uso della prima o della terza persona narrativa, si possono individuare tre fasi della scrittura di Ramondino. La prima è costituita dalle opere degli anni Ottanta costruite secondo una tecnica compositiva più classica: Storie di patio, Un giorno e mezzo, Dadapolis.
Classico, teatrale e fantastico, il romanzo Un giorno e mezzo raffigura un preciso spaccato generazionale e politico – le mense separate della galassia anarchica e socialista dopo il settembre 1969 – e lo fa da una prospettiva psicologica che insiste sullo sdoppiamento maschile/femminile.
Intanto dal 1983 ebbero inizio i continui spostamenti e soggiorni in Germania, dove la figlia Livia seguiva la scuola di danza diretta da Pina Bausch, rievocati nelle varie edizioni del Taccuino tedesco, importanti anche per la ricostruzione della dimensione mitteleuropea di Ramondino, la quale intrecciò rapporti duraturi, come quello con Lea Ritter Santini, autrice della Postfazione all’edizione tedesca di Althénopis (1986).
Gli anni Novanta, da Star di casa a Guerra d’infanzia e di Spagna, costituiscono la seconda fase, tenuta insieme dall’uso insistito della prima persona, quasi un collante di scritture ibride, coinvolgenti, in cui la volontà di sperimentare nuove forme narrative s’intreccia con il bisogno di raffigurarsi, di parlare di sé in relazione a esperienze e culture diverse (come In viaggio, L’isola riflessa, Passaggio a Trieste). Questa fase è intensa in più direzioni: il trasferimento definitivo a Itri, vicino Gaeta, la sceneggiatura con Mario Martone di Morte di un matematico napoletano, l’allestimento di Terremoto con madre e figlia (regia di Martone, interprete Anna Bonaiuto); il viaggio con Martone, per vincere una grave depressione, nel deserto algerino raccontato in Polisario, e il soggiorno a Trieste nel Centro donna salute mentale, durante il quale strinse un forte legame con Assunta Signorelli.
Nel settembre del 1999 Ramondino fece apparire su L’indice il suo manifesto contro l’etichetta critica di ‘autore napoletano’, inserendo Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani nel novero della grande letteratura italiana, al cui interno si collocava implicitamente ormai lei stessa, in particolare per l’incrocio fra saggistica e narrazione, nella tradizione di Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia.
Come rivelano In viaggio e gli accenni di poetica presenti nell’altro suo grande romanzo, Guerra d’infanzia e di Spagna, alla base della sua scrittura c’è una logica combinatoria fatta di gioco e di ricerca, che Ramondino paragona al puzzle: andare indietro e riannodare i ricordi (qui dei primi sette anni a Maiorca) vuol dire soprattutto dar vita a una costruzione romanzesca basata sullo spazio, dove non si svolge una trama, ma tante trame di ricordi veri o presunti, di racconti, di esperienze magiche, perché favoloso è il mondo dell’infanzia e un insieme di favole è quello della letteratura.
Ramondino tornò alla terza persona nell’ultima stagione della sua carriera. Essa comprende due raccolte di racconti e un romanzo: Il calore, Arcangelo, La via. Questi ultimi sono molto lontani dalla sua cifra e dai suoi temi, come se la scrittrice inseguisse altre suggestioni, nuove vie, in parte più tradizionali o, forse, postmoderne, per allontanarsi così dal già detto o scritto. È come se da Althénopis a Guerra d’infanzia e di Spagna, il percorso dell’autoritratto con parole, ora esibito in prima persona, ora mascherato dalla terza, si fosse concluso con un sigillo costituito dalle rivelazioni del Libro dei sogni.
Morì, colta da un malore dopo una nuotata nel mare Tirreno vicino a Itri, il 23 giugno 2008.
Opere. Napoli. I disoccupati organizzati. I protagonisti raccontano, Milano 1977, II ed. Lecce 1998; Althénopis, Torino 1981; Storie di patio, Torino 1983; Taccuino tedesco, Milano 1987; Un giorno e mezzo, Torino 1988; Dadapolis. Caleidoscopio napoletano, Torino 1989 (con A.F. Müller); Star di casa, Milano 1991; Morte di un matematico napoletano, Milano 1992 (con M. Martone); Terremoto con madre e figlia, Genova 1994; In viaggio, Torino 1995; Polisario. Un’astronave dimenticata nel deserto, Roma 1997; L’isola dei bambini, Milano 1998; L’isola riflessa, Torino 1998; Passaggio a Trieste, Torino 2000; Bagnoli: lo smantellamento dell’Italsider, Milano 2000 (con R. Rossanda); Guerra d’infanzia e di Spagna, Torino 2001; Il libro dei sogni, Napoli 2002; Per un sentiero chiaro, Torino 2004; Il calore, Roma 2004; Arcangelo e altri racconti, Torino 2005; La via, Torino 2008; Taccuino tedesco 1954-2004, a cura di V. Di Rosa, Roma 2010.
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