BRANCUTI (Brancuto), Fabrizio
Se ne ignora la data di nascita e di morte. Nacque a Cagli, città del ducato di Urbino, nel secondo decennio circa del Cinquecento da una famiglia di piccola e antica nobiltà, originaria di Montefiore (Monte Fiore Conca) in Romagna, devota ai Malatesta, signori di Rimini, diramatasi a Rimini, Cagli e Pesaro. Il padre, Antonio, fu il primo a stabilirsi a Cagli nei primi anni del sec. XVI. Dei suoi figliuoli, Brancuto, Malatesta, Ascanio e Fabrizio, si rammentano Ascanio per essere stato protetto da Clemente VII e avere dato alle stampe alcune rime e Brancuto, che fu al servizio del cardinale Giulio Della Rovere. Il B. dovette essere educato alla corte di Urbino ed è forse lui il messer Fabrizio, il quale, insieme con Pietro Panfilo, era esortato da M. A. Flaminio (in una lettera del 9 ag. 1537) a seguire il suo esempio: dedicarsi allo studio del Nuovo Testamento di s. Agostino.
Attorno a quegli anni nella raffinata corte di Urbino giungeva l'eco dell'erasmismo e delle istanze della Riforma protestante. La duchessa Eleonora, dopo avere ascoltato Agostino Steuco, si chiedeva se era "cristiana o giudea..." in una sua lettera del 24 luglio 1537. Pier Paolo Vergerio nel 1540 l'accomunava alle donne più colte e pie d'Europa, come Margherita di Navarra, Renata di Francia e Vittoria Colonna. Segno dell'interesse suo, e di una parte dell'ambiente di corte, all'assillante problema della salvezza, è il trattato anonimo che per lei scrisse Federico Fregoso, vescovo di Gubbio, sulla grazia e il libero arbitrio.
Al Fregoso si legò, ancora giovane, il B. e fu suo "familiare" nel periodo in cui il Fregoso resse il vescovato di Gubbio (1533-1541). Fu anche, ma per breve tempo, al servizio del cardinale Bembo, forse quando questi successe al Fregoso nel governo della diocesi di Gubbio. In tali anni il fascino della cultura classica dovette essere più forte dell'influenza della Sacra Scrittura, se ancora nel 1545 divenire un elegante scrittore latino, imitando lo stile ciceroniano, era la sua più grande aspirazione. Nel 1542 lo ritroviamo a Viterbo nella piccola corte del cardinale R. Pole, ove divenne amico del Flaminio, maestro spirituale di quel circolo, del quale facevano parte Alvise Priuli, Pietro Carnesecchi, Vittore Soranzo, Apollonio Merenda e altri di minore rilievo. Nonostante l'ostilità del cardinale, a Viterbo il Flaminio, il Carnesecchi e il Soranzo, discepoli del Valdés, lessero libri di Lutero, di Bucero e di Calvino; il Flaminio portava a termine la revisione del Beneficio di Cristo. Fino a qual punto, il B., personaggio di secondo piano, abbia partecipato a quei conversari non si sa, ma è certo che egli preferì rimanere a Trento con il Flaminio, anziché seguire in Inghilterra il Pole, inviato dal papa a restaurarvi il cattolicesimo. Testimonianza dell'amicizia con il poeta sono i due bellissimi carmi a lui dedicati, dai quali traspare una comunanza di vita, sorretta dal comune amore per la poesia e la Sacra Scrittura: a lui il poeta dettava di notte la versione poetica dei Salmi, stampata a Venezia nel 1546.
Dopo la morte del Flaminio (1550) il B. si recò allo Studio di Parigi con Matteo Priuli, che diverrà poi vescovo di Vicenza, e, al ritorno, dopo il 1553 circa, si stabilì a Venezia in casa di Antonio Priuli, padre di Matteo. In Francia si era compiuto il suo itinerario spirituale: dall'umanesimo, attraverso Valdés e Flaminio, era approdato al calvinismo. Ritornò da Parigi un convinto calvinista e - affermò il Carnesecchi nel suo processo (26 febbr. 1567) - "era talmente affezionato alle cose di questa nuova religione che non pareva volesse né sapesse parlare d'altro...". A Venezia rivide il Carnesecchi e ne divenne intimo amico; partecipò a Murano alla cena data dal Fiorentino in onore di Galeazzo Caracciolo, in occasione del suo passaggio da Venezia dopo il definitivo distacco dalla famiglia per non abbandonare la fede riformata. Il B. fu tra i pochi che sfidarono l'Inquisizione e continuarono a frequentare il Carnesecchi, anche quand'era sotto accusa per eresia. Con lui e con Pietro Gelido fece parte di una comunità clandestina "luterana". Non aveva d'altronde smesso i suoi contatti con i letterati e soprattutto con i concittadini Dionigi Atanagi e Bernardino Pino. A questo il 31 ag. 1560 l'Atanagi scriveva da Venezia: il sig. Ruscelli "vi si raccomanda con tutto l'animo, come fa anche il nostro messer Fabrizio Brancuto". Ma la vocazione letteraria doveva essersi spenta, poiché nessuno scritto di lui ci è pervenuto, neppure nelle raccolte di lettere che sono state curate dall'Atanagi e dal Pino.
Nel gennaio 1562 lasciava Venezia insieme con Pietro Gelido, residente di Cosimo I nella Repubblica, il quale si recava a Lione, avendo deciso di abbandonare il servizio del duca e la Chiesa romana. Giunto ai confini con la Francia, in Piemonte, il B. era ritornato indietro, ma nel marzo dello stesso anno chiedeva di essere ammesso nella Chiesa italiana di Ginevra insieme con P. Gelido, Giulio Cesare Palmerino di Urbino e Innocenzo di Montesano della Marca di Ancona. A partire da, quest'anno le sue tracce si perdono. Forse lasciò presto Ginevra e seguì il Gelido, divenuto pastore della comunità riformata di Acceglio nel marchesato di Saluzzo.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio di Stato, Mediceo, filza 2970, c. 27; Genève, Archives d'Etat, Recueil de documents relatifs à Genève, 1558-1846, n. 216, f. 59; M. A. Flaminii ... Carmina libri VIII, Patavii 1727, lib. V, XLVI, p. 144; lib. VI, XIX, p. 161; Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, Venezia 1542, c. 100; De le lettere di tredici huomini illustri libri tredici, VIII, Venezia 1554, p. 130; Estratto del processo di P. Carnesecchi, a cura di G. Manzoni, in Miscellanea di storia italiana, X (1870), pp. 254 s., 508 s., 515; A. Tarducci, L'Atanagi da Cagli, Cagli 1904, pp. 103 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 1999; G. Vitali, Memorie stor. riguardanti la terra di Monte Fiore, Rimino 1828, pp. 171-182; Rimini, Bibl. Civica Gambalunga, Ms. 4.B.II.17, I: Indice delle famiglie riminesi e di altre imparentate con quelle,di D. Paolucci,ad vocem;L.Amabile, IlSanto Officio della Inquisizione in Napoli, I, Città di Castello 1892, p. 136; E. Solmi, La fuga di B. Ochino secondo i documenti dell'Archivio Gonzaga di Mantova, in Bull. senese di storia patria, XV (1908), p. 25; A. Tarducci, Dizionarietto biografico cagliese, Cagli 1909, pp. 53-56; M. Bataillon, Erasme et l'Espagne, Paris 1937, p. 536; O. Ortolani, P. Carnesecchi, Firenze 1963, pp. 121 s. e passim;C.Maddison, M. Flaminio,poet,humanist and reformer, London 1965, p. 159.