CHIARI, Fabrizio
Nacque a Roma intorno al 1615. Le poche ed imprecise notizie sul C., pittore e incisore all'acquaforte, si basano sul Pio (1724), secondo il quale egli si sarebbe formato disegnando con grande passione soprattutto le sculture classiche. Amante anche della pittura, nella sua prima giovinezza frequentò i migliori pittori romani del tempo. Egli si dedicò all'incisione riproducendo spesso le grandi opere dei pittori del Seicento tra i quali il Domenichino e il Poussin. Prima documentazione di questa attività sono due incisioni, firmate "Clarus" e "Chlarus" e datate 1635 e 1636, tratte da due tele di Poussin: Venere e Marte,Venere e Mercurio (irami sono conservati nella Calcografia nazionale di Roma). Come i repertori (citati in Thieme-Becker) hanno esattamente riferito, più tardi numerosi incisori hanno tratto stampe dalle opere pittoriche del C. stesso.
Intorno al 1645 questi si impegnò nella decorazione di S. Martino ai Monti.
Di sua mano è sicuramente un dipinto, olio su tela, raffigurante S. Martino che dona il suo mantello a un povero, situato sul terzo altare a destra, per il quale i pagamenti vanno dal 7 agosto al 9 nov. 1645 (Sutherland), data in cui il dipinto fu collocato. Il Pio afferma che in questa chiesa il C. lasciò un altro dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo, di cui non si hanno più notizie da quando nel secolo seguente fu sostituito da una tela di uguale soggetto a opera di A. Cavallucci. Può essere probabile, comunque, che il C. avesse lavorato ancora in questa chiesa in quanto da una nota dei suoi beni (redatta dall'allora priore Filippini e citata dalla Sutherland) risultano pagamenti al C. nell'agosto 1648.
Nel 1635 divenne aggregato dell'Accademia di S. Luca e il 10 genn. 1655 accademico di merito. Quindi, all'interno dell'Accademia, ricoprì diversi incarichi, tra i quali quello di restaurare dipinti appartenenti all'Accademia stessa; nell'ottobre del 1670 dipinse un ovale nel soffitto di una sala, raffigurante la Poesia muta.Il dipinto è andato perduto con la demolizione del palazzo attiguo alla chiesa dei SS. Luca e Martina, già sede dell'Accademia.
Avendo così acquistato una certa padronanza della tecnica a olio e a fresco, il C. lavorò, su commissione, per alcuni stranieri, non meglio identificati, ma anche per Cristina di Svezia; infatti nel catalogo dei suoi quadri è elencato, del C., un "ovato bislongo con le glorie di S. Cristina..., veduta di sotto in su, concornice piccola dorata" (G. Campori, Raccolta di cataloghi..., Modena 1870, p. 374); di questo dipinto non si hanno più notizie.
Tra il 1656 e il 1657 il C. è tra i pittori impegnati da Pietro da Cortona nell'abbellimento della "manica lunga" del palazzo pontificio a Montecavallo. Negli stessi anni (Noack, in Thieme-Becker) avrebbe collaborato con G. F. Romanelli agli affreschi della stanza della contessa Matilde in Vaticano, ma J. Hess (Kunstgeschichtliche Studien, Roma 1967, II, p. 108) nega che ci siano nei documenti i nomi dei collaboratori del Romanelli. Nel 1678 fu pagato per gli affreschi nella chiesa dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso con la Pazienza, la Tolleranza, la Discrezione (G. Drago-L. Salerno, SS. Ambrogio e Carlo..., Roma 1967, p. 108, fig. 25).
Numerose opere in chiese di Roma sono citate dal Titi, e dal Pio: nella chiesa di Trinità dei Monti, nella seconda cappella a destra, la pala d'altare raffigurante S. Francesco di Sales (il C. aveva affrescato tutta la cappella a chiaroscuro con Storie del santo, ma già nel 1763, nell'edizione aggiornata della Guida del Titi, non se ne fa più cenno); in S. Maria del Popolo, nella cappella Feoli, un quadro raffigurante S. Tommaso di Villanova, del quale si sono perse le tracce perché sostituito quando (1860) la cappella fu rimodernata; nella chiesa di S. Marco, fra le due ultime colonne della navata centrale a sin., un affresco rappresentante un Santo vescovo;nella chiesa di S. Anastasia (Titi, 1763, p. 79), una tela con S. Apollonia che fa seppellire s. Anastasia;nella chiesa di Regina Coeli, distrutta dopo il 1870, due tele, di cui si sono perse le tracce, una raffigurante la Morte di s. Anna e una l'Assunta e l'incoronazione della Vergine, che le suore esponevano nei giorni di festa; nella collegiata di S. Celso in Banchi, una tela raffigurante S. Maria Maddalena,s. Francesco ed altre figure (rimossa quando la chiesa fu ricostruita tra il 1735 e il 1736; la collocazione del dipinto è sconosciuta).
Il C. morì a Roma, da dove non si allontanò mai, nel 1695.
Nel 1696, per suo volere, furono lasciati all'Accademia di S. Luca: due busti di Raffaello e di A. Sacchi, e un gesso del Bernini, purtroppo scomparsi (Roma, Arch. d. Acc. di S. Luca, Congregazioni, XLVI, c. 87r).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. d. Accad. di S. Luca, Congregazioni, XLIII, cc. 14r, 100v; F. Titi, Studio di pittura... nelle chiese di Roma, Roma 1674, pp. 198, 271 s., 407, 422; N. Pio, Le vite di pittori,scult. et architetti [1724], a cura di R. e K. Enggass, Città del Vaticano 1977, ad Indicem; F. Titi, Descrizione delle pitture..., Roma 1763, ad Indicem; G. Briganti, Pietro da Cortona o della pittura barocca, Firenze 1962, pp. 107 s.; A. B. Sutherland, The decoration of S. Martino ai Monti, in The Burlington Magazine, CVI (1964), pp. 38, 69, 377 s.; M. Del Piazzo, Il Palazzo del Quirinale, Roma 1974, pp. 116 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 485.