COLONNA, Fabrizio
Principe di Avella, nacque a Roma il 28 marzo 1848, terzogenito di Giovanni Andrea principe di Paliano e di Isabella Alvarez de Toledo. Negli ultimi anni del regime pontificio si recò, con il fratello Prospero, a studiare nel vicino Regno, alla scuola militare di Modena prima, a quella di Pinerolo poi: nel 1870 divenne sottotenente di cavalleria nell'esercito italiano.
Il caso non era isolato: non era stato possibile al governo papale recidere i tanti rapporti - economici, sociali, familiari - che collegavano Roma alle province dello Stato pontificio entrate a far parte del nuovo Regno; la vita cittadina era soffocata nel piccolo territorio rimasto a Pio IX, ed erano quindi già molti i nobili e gli esponenti dell'alta borghesia che inviavano i propri figli a studiare o a lavorare al di là dei confini. Il regime stesso cominciava a tollerare, dietro la facciata ufficiale della rivendicazione delle regioni perdute e della polemica antitaliana, un sistema di tacita convivenza, che avrebbe dovuto garantire, con la sopravvivenza economica e il mantenimento dello statu quo, l'ultima sovranità temporale. In realtà, il sistema, facilitato dal transito per Roma della nuova linea ferroviaria Firenze-Napoli, accentuò il fenomeno di una diaspora dei giovani romani e l'inizio di un processo di "italianizzazione" della città.
Il trasferimento del C. nel Regno, dove la famiglia aveva proprietà e legami, nonaveva avuto quindi, come in altri aristocratici (Boncompagni, Carpegna, Lovatelli), soprattutto secondogeniti, la caratterizzazione dell'esulato politico, ma egli godette ugualmente di un alone di benemerenza patriottica quando, il 20 sett. 1870, rientrò a Roma al seguito del generale Cadoma. Ebbe subito una posizione rilevante nello schieramento della aristocrazia "bianca", aderente al nuovo regime (luogotenente nel 1875, fu aiutante di campo di Amedeodi Aosta), e svolse un ruolo importante nel mediare un avvicinamento allaaristocrazia "nera", rimasta fedele al pontefice (il padre era assistente al soglio pontificio), un avvicinamento facilitato dalla stretta rete degli interessi e delle alleanze familiari, dalla compattezza della casta. Il primo incontro ufficiale avvenne sul terreno mondano dopola scomparsa di Pio IX: ne fu occasione il matrimonio del C. con Olimpia Pamphili, celebrato nel maggio del 1878 dal cardinale Di Pietro.
Poco dopo, nel 1880, il C. lasciava il servizio militare per dedicarsi alle cure della famiglia e del patrimonio, ma rimaneva attivo sul terreno della amministrazione comunale. Era stato eletto consigliere dal 1874: non era stato - e non sarà mai - in primo piano nella difficile gestione della città, che faticava ad adattarsi al nuovo ruolo di capitale del Regno, ma contribuì a dar sostegno a quella alleanza fra le ali moderate dello schieramento liberale e cattolico che, sotto la guida di Torlonia, avrebbero retto il Campidoglio per alcuni anni, identificandosicon il periodo del grande - e fallimentare - sviluppo edilizio.
L'operazione era stata favorita dal clima pretrasformisfico, delineatosi anche a Roma dopo l'ascesa della Sinistra al potere, che lasciava ampio spazio al dispiegarsi degli interessi e delle intese locali. Nobili e borghesi, liberali e filopontifici, accettavano un terreno d'incontro e di azione in cui era possibile evitare aspetti politici. per perseguire comuni interessi economici e sociali. Non mancavano concrete e ideali giustificazioni per i cattolici, organizzati nell'Unione romana: l'inserimento nella amministrazione cittadina e l'intesa con i liberali moderati significava anche il controllo dello sviluppo della nuova Roma e della vita della sua popolazione. Leone XIII stesso sottolineava la necessità di un impegno. La legge speciale per la capitale del 1881, integrata nel 1883, che concedeva al Comune una somma di 50.000.000 per la realizzazione di opere pubbliche e la copertura di garanzia di un prestito di 150.000.000, lanciato su terreno internazionale, destinato a finanziare lo sviluppo edilizio della città, dette vita a una intensa attività, a una febbre di facile speculazione sui terreni e sugli edifici, che si concluse, dopo qualche anno, con il fallimento sia delle imprese costruttrici sia degli istituti maggiormente impegnati nelle operazioni di finanziamento e con lo scandalo della Banca romana.
Il C. non apparein primo piano, come altri consiglieri e altri nobili romani, nelle operazioni affaristiche che li travolsero: lo ritroviamo anzi, dopo il 1890, vicepresidente del Consiglio di amministrazione della Banca generale (dal 1891 al 1892 fu anche presidente della Società delle ferrovie italiane, succedendo a Peruzzi). Non venne neanche coinvolto nella crisi politica che colpì il Campidoglio dopo l'ascesa al potere di Crispi, che, nel quadro del dissesto amministrativo e finanziario e del peggiorato rapporto con la S. Sede aveva destituito il sindaco Torlonia e nominato un commissario. ConO. Caetani, M. Garibaldi, A. Baccarini e C. Correnti, il C. fece parte di quel comitato che elaborò una lista liberale "pura", per le elezioni amministrative del 1889, con candidati che andavano dalla Destra conservatrice alla Sinistra democratica e che dovevano opporre un fronte comune alle forze cattoliche. La vittoria fu clamorosa e si rinnovò nel 1890, ma l'intesa era ibrida e non poteva durare, soprattutto dopo il mutamento della linea politica di Crispi, ora più aperto alle possibilità di intesa con la S. Sede.
Dopo avere per un momento vagheggiato la realizzazione di una istituzione speciale per la capitale, una "prefettura" del genere di quella che reggeva l'amministrazione di Parigi, nel 1890 egli aveva fatto votare dal Parlamento una nuova legge speciale per Roma, per cui lo Stato assumeva in proprio alcune delle responsabilità, finanziarie e tecniche, della gestione comunale. Aspre furono le polemiche che culminarono nelle dimissioni dell'intero Consiglio muliicipale, ma la situazione si calmò presto nella tacita ripresa dell'alleanza fra le forze liberali moderate ("bigie") e quelle cattoliche: insieme riuscivano a fronteggiare le battaglie della minoranza repubblicana e radicale. Il C. non avrebbe fatto mancare alla politica "bigia" il suo appoggio, come il fratello Prospero, poi divenuto sindaco.
Nel 1883 il C. era stato eletto deputato di Roma e la sua nomina era stata vivamente contestata in aula da Coccapieller. Nel 1886 ripresentò la candidatura, ma fu battuto da Torlonia prima, e poi, dopo le dimissioni di quest'ultimo, in ballottaggio da Coccapieller. Nel 1890 fu creato senatore. Sedette a Destra, ma non svolse mai una particolare attività politica, più impegnato in onorifiche funzioni (segretario della Presidenza, membro di varie commissioni, fra cui era quella per la riforma del Senato, vicepresidente del Senato dal 1912).
La posizione dei C. è resa chiara dalla sua commemorazione (pubblicata in Nuova Antologia, 16 maggio 1906, pp. 249-257) di F. NobiliVitelleschi, personaggio importante nella operazione di intesa fra liberali e cattolici, con il quale il C. sembra volersi quasi identificare: all'esaltazione dell'Inghilterra ("quella grande nazione nella quale, se vi è il culto della più ampia libertà, essa è contenuta, da quell'alto senso d'individuale rispetto per le persone e per le cose, virtù, forse, non abbastanza sviluppata presso noi latini, nei quali la libertà, uscendo dai suoi giusti confini, trascende talvolta in vera licenza") seguiva la difesa di una scelta politica: Nobili Vitelleschi era stato un "liberale della vigilia" e "solo il precipitare delle frenesie moderne lo metteva fra i liberali conservatori, ma nel buon senso della espressione, perché voleva la patria conservata una e grande sotto la gloriosa nostra monarchia, e voleva e si adoperava perché la libertà, intesa nella più vera ed estesa sua esplicazione, fosse di tutti e per tutti, feconda di benessere e di progresso sociale". La posizione conservatrice del C. è confermata da un giudizio di D. Farini, che lo consigliava di soprassedere, nel 1893, al mandato ricevuto da una commissione del Senato di respingere, "in tutte le sue parti", un progetto di legge sulle cooperative, stigmatizzando "quanto si sia restii ad ogni innovazione fra capitale e lavoro".
L'attenzione politica del C. appare vigile soprattutto sui problemi connessi alla agricoltura, in cui si rifletteva lasua posizione di grande proprietario terriero nel Lazio. Aveva fatto parte della commissione che doveva far applicare la legge del 1883 sulla bonifica di una parte dell'Agro. Nel 1906 sostenne la piena abolizione della servitù di pascolo nella regione come base indispensabile per un moderno sviluppo agrario (si veda il suo scritto I diritti d'uso nel Lazio, in Nuova Antologia, 1°ott. 1905, pp. 491 ss.).
Allo scoppio della guerra era stato richiamato in servizio con il grado di generale. Finito il conflitto, come presidente della commissione che doveva: verificare i titoli dei nuovi senatori, dettò una vibrante relazione per la nomina dei rappresentanti delle terre irredente.
Morì a Roma l'8 ag. 1923. Era stato anche consultore effettivo e membro della giunta permanente della Consulta araldica, presidente della Commissione araldica romana, presidente del Consigho di amministrazione della Cassa di risparmio. Utilizzando le carte di famiglia, aveva scritto un breve lavoro su La dimora dei reali di Savoia nel palazzo Colonna in Roma (1800-1804) e le nozze del contestabile don Filippo Colonna con la principessa Caterina di Savoia Carignano (1780), pubblicato a Roma nel 1922.
Il fratello Marcantonio, duca di Paliano, nato a Napoli l'8apr. 1844, dopo una rapida apparizione sulla scena politica e amministrativa romana (gentiluomo di corte della regina Margherita, era stato assessore comunale nel 1873), si era ritirato dalla vita pubblica, dedito solo ad opere di beneficenza. Nel 1894, dopo aver chiesto il consenso al sovrano, era divenuto assistente al soglio pontificio. Morì a Roma il 29 genn. 1912, senza lasciare eredi maschi. La carica sarebbe dovuta quindi passare al C., che la cedette al figlio Marcantonio che ereditò anche i titoli di principe di Paliano e duca di Marino (nato a Roma il 25luglio 1881, già ufficiale di cavalleria, morto il 9 marzo 1947). L'altro figlio, Ascanio (nato a Roma l'8 luglio 1883, morto il 18 ag. 1971), fu diplomatico (addetto alla conferenza della pace, ministro a Stoccolma e a Budapest, ambasciatore a Washington) e prefetto di palazzo di Vittorio Emanuele III.
Fonti e Bibl.: Le carte del C. sono conservate nell'archivio di famiglia a Roma, ancor oggi in gran parte inesplorato; lettere relative all'attività di senatore sono a Roma, nel Museo centrale dei Risorgimento, Fondo Farini. Il C.è ricordato - ma sempre molto rapidamente - in quasi tutte le fonti e le opere riguardanti l'attività parlamentare e la storia di Roma fra Otto e Novecento: si veda D. Farini, Diario, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad Indicem; R. De Cesare, Roma, e lo Stato dei papa, Roma 1907, I, p. 97; II, p. 465; M. Scardozzi, La bonifica dell'Agro romano, in Rass. stor. del Risorg., LXIII (1976), p. 134. Riferimenti anche all'ambiente familiare in V. Colonna di Sermoneta, Memorie, Milano 1937, passim; D. Silvagni, Il Gotha di Roma, Roma 1875, passim; P. Paschini, I Colonna, Roma 1965, p. 73e passim. Cenni biografici in un necrologio apparso sulla Illustr. ital., 26 ag. 1923, p. 281, e in T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 298.