De André, Fabrizio
Un grande innovatore della canzone italiana
Fabrizio De André viene da molti definito il più grande cantautore italiano con una parabola artistica tra le più lunghe e intense, sino a diventare un modello per i colleghi più giovani in quasi quarant'anni di percorso artistico: dall'inizio, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, fino alla sua scomparsa nel 1999. È stato il primo cantautore a utilizzare lo strumento-canzone per affrontare tematiche diverse da quelle sentimentali che avevano contraddistinto e spesso corroso la canzone italiana sino a quel momento
Fabrizio De André nasce nel 1940 a Genova e muore nel 1999 a Milano. Il denominatore comune del mondo poetico di De André è la ferrea, convinta difesa delle minoranze, degli sfruttati, dei non omologati, degli emarginati, dei reietti, come i personaggi da lui realmente conosciuti nei caruggi (vicoli stretti) genovesi durante i suoi anni giovanili. Lui stesso ha avuto modo di dire che tutti i suoi dischi potevano essere considerati come un unico concept album ‒ vale a dire un album in cui tutte le canzoni ruotano attorno a un unico tema ‒ al quale si sarebbe potuto dare come titolo I miserabili. Proprio nel meccanismo di identificazione e di solidarietà umana con chi non sta alle 'regole del branco' si può rintracciare la sua poetica, insieme a un gusto marcato per la dissacrazione nei confronti del potere e del conformismo.
Dopo gli esordi jazz e country, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta De André inizia a scrivere canzoni traendo ispirazione dalla ricca scuola degli chansonniers francesi, a partire da George Brassens, suo principale riferimento. Le prime canzoni, incise su 45 giri, risentono fortemente di quel mondo anarchico e beffardo. Portano titoli come La ballata del Michè, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, La guerra di Piero, La canzone di Marinella, La città vecchia, La canzone dell'amore perduto, Via del campo, Bocca di rosa, e gradualmente queste canzoni trovano un pubblico prima di nicchia e poi sempre più ampio, che le apprezza e condivide, che se ne sente rappresentante e rappresentato.
Dopo questa prima fase, i tratti caratteristici dell'opera di De André hanno saputo mantenere intatte la forza e la coerenza, pur mutando sotto il profilo compositivo e musicale. Sul finire degli anni Sessanta, il cantautore genovese si confronta con il formato del 33 giri e lo fa in modo innovativo per il nostro paese, realizzando concept album come Tutti morimmo a stento (1968); La buona novella, basato sui Vangeli apocrifi (1970); Non al denaro, non all'amore né al cielo, tratto dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1971): tutti dischi realizzati con l'apporto di Giuseppe Bentivoglio per i testi e di Nicola Piovani per le musiche. Nell'ultimo, Storia di un impiegato (1973), si avverte una parziale crisi d'ispirazione. De André la supera prima attraverso la collaborazione compositiva con l'allora non ancora noto cantautore Francesco De Gregori nel visionario ed ermetico album Volume 8 (1975) e poi, tra gli anni Settanta e Ottanta, interagendo con un altro giovane autore, Massimo Bubola. Di questi anni è anche l'avvicinamento ad alcuni tratti caratteristici del rock, come testimonia un tour nel 1979 con la PFM (Premiata Forneria Marconi), celebrato in due album live, dove il gruppo milanese riarrangiava alcune delle più popolari canzoni di De André.
Con gli anni Ottanta arriva la svolta fondamentale verso la musica etnica, associata a una nuova consapevolezza artistica, grazie all'incontro con un musicista di grande talento, Mauro Pagani, con il quale De André realizza un album che si può considerare uno spartiacque sia per il suo percorso artistico sia per tutta la musica leggera italiana: Creuza de mä (1984), perfetto connubio tra la parola ‒ in questo caso il dialetto genovese ‒ e una musica che attinge suoni e suggestioni dal bacino del Mediterraneo. Gli eccellenti Le nuvole del 1990 (ancora con Pagani) e Anime salve del 1996 (con Ivano Fossati) rielaborano questa impostazione, giungendo a un equilibrio formale di rara intensità.
Nell'opera di De André risulta evidente la continua voglia di rinnovarsi, l'esigenza cioè di fermarsi con inventiva e determinazione su una specifica struttura compositiva ed estetica per poi ripartire verso un altro obiettivo, un altro 'porto'. Di De André resta un grande patrimonio di innovazione musicale e poetica e il timbro di una voce profonda e piena, perfetto amplificatore della sua scrittura.