MAFFI, Fabrizio
Nacque a San Zenone al Po, presso Pavia, il 2 ott. 1868 da Francesco e da Cristina Gobbetti.
Il padre, da semplice zoccolaio, era riuscito a migliorare la propria posizione fino a divenire segretario comunale e a garantire l'istruzione ai suoi otto figli.
Grazie al forte vincolo di solidarietà familiare, in virtù del quale i fratelli maggiori contribuivano al sostentamento della famiglia, il M. poté compiere gli studi ginnasiali a Massa, Torino e Milano e iscriversi, nel 1888, alla facoltà di medicina dell'Università di Pavia, ospite del collegio Ghislieri. In quegli anni il M., che fino ad allora si era riconosciuto nelle idee radicali del padre, seguace di F. Cavallotti, cominciò ad avvicinarsi al socialismo e, nel 1893, fu, con A. Zubiani, anch'egli studente di medicina e ghislieriano, tra gli esponenti del cosiddetto "proletariato intellettuale" che diedero vita al Circolo socialista pavese.
Subito dopo la laurea, conseguita a pieni voti nel luglio 1894, il M. ottenne la condotta medica a Bianzè, un Comune agricolo del Vercellese.
Per quanto non amasse il paese e non riuscisse ad adattarsi alla vita di sanitario comunale, durante la sua breve permanenza il M. riuscì a instaurare con la gente del posto "un rapporto tanto saldo da resistere al tempo; entrata presto nella leggenda, la sua immagine sarebbe rimasta indelebile nella memoria storica di quelle popolazioni" (Detti, 1987, p. 78).
Le ragioni di tale popolarità vanno ricercate, oltre che nella competenza e nello scrupolo con cui svolgeva la professione, nel suo essere partecipe delle drammatiche condizioni di vita della popolazione rurale, cronicamente afflitta dalla malaria, dalla pellagra e da altre malattie. "Forte di conoscenze teoriche e di strumenti terapeutici d'avanguardia, sorretto da un alto concetto della professione medica come missione sociale, con la sua solerzia e la presto provata efficacia delle sue cure Maffi si conquistò rapidamente la stima e il rispetto di tutti" (ibid.). Lo stesso M. faceva risalire la benevolenza e la simpatia dei contadini nei suoi confronti tanto alla propria opera di "medico dei poveri", quanto alle "idee che diffondeva tra loro e che dischiudevano orizzonti di speranza e di lotta ad un mondo da sempre chiuso nella rassegnazione" (ibid.).
Nel 1895, candidato alla Camera dei deputati nel collegio elettorale di Crescentino, vide confermata la propria popolarità, ma non riuscì eletto, suscitando la reazione degli avversari politici che portò al suo licenziamento. Prima di lasciare il paese il M. guidò, nel settembre 1896, un grande sciopero dei braccianti per l'aumento dei salari che, dopo due mesi, si concluse con la vittoria dei lavoratori. A novembre Zubiani, medico condotto a Sondalo in Valtellina, s'interessò per fargli avere una condotta nella vicina Grosio. Di nuovo riuniti, i due amici fraterni s'impegnarono per trasformare il movimento socialista locale in una forza politica di classe, distinta dai democratici e a tal fine promossero l'uscita, il 13 febbr. 1897, del settimanale Il Lavoratore valtellinese. Nello stesso anno il M. fu ricandidato nel collegio di Crescentino, riportando una buona affermazione, insufficiente però a farlo entrare alla Camera. Allontanato dalla condotta di Grosio, ancora una volta per ragioni politiche, nel dicembre di quell'anno si trasferì a Torino, dove fu ospite del fratello Fabio e trovò lavoro presso il Consorzio sanitario cooperativo e l'ospedale infantile Regina Margherita.
Nella primavera del 1898, resosi vacante per la morte di Cavallotti il collegio di Corteolona, il M. fu considerato dai socialisti pavesi il candidato più adatto a contenderne l'eredità al radicale C. Romussi. Al termine di un'aspra campagna elettorale prevalse invece il moderato U. Dozzio, latifondista e proprietario di filande, i cui sostenitori avevano impedito al M. di prendere la parola nel corso di una manifestazione. Erano i prodromi del clima politico che avrebbe portato, di lì a poco, alla condanna del M. a tre mesi di carcere per la parte avuta nello sciopero di Bianzè. Ai primi di giugno il M. si rifugiò in Svizzera, decidendo di rimanervi anche dopo la revoca del mandato di cattura in seguito all'amnistia del 31 dic. 1899.
Per nove anni il M. visse ad Ambrì nel Canton Ticino, dedicandosi quasi esclusivamente all'attività professionale.
Ottenuto l'incarico di medico condotto a Quinto, compì numerosi viaggi in Svizzera, in Francia e in Germania per documentarsi sull'organizzazione dei sanatori per tubercolosi. Dopo un'efficace opera di sensibilizzazione, nel 1901 promosse ad Ambrì-Piotta la costruzione del sanatorio del Gottardo, ultimato nel 1905 e del quale divenne direttore.
All'inizio del 1907 il M. tornò in Italia e si stabilì a Ranica, un paese del Bergamasco. Dopo essere accorso nel 1908 a Napoli per assistere le popolazioni della Calabria e della Sicilia colpite dal terremoto, nel luglio 1909 assunse la direzione del nuovo dispensario antitubercolare di Bergamo. A novembre la Società per la istituzione dei sanatori popolari per i tubercolosi della città e della provincia di Milano lo chiamò a dirigere anche il sanatorio Umberto I di Prasomaso, in Valtellina, che sarebbe stato inaugurato poco dopo.
Dal 1911 condusse presso l'Istituto d'igiene dell'Università di Parma una serie di ricerche e di analisi di laboratorio che si conclusero nel 1915 con una dissertazione di libera docenza in igiene e polizia sanitaria sull'eredoimmunità tubercolare.
I sempre più rilevanti impegni professionali, pur se avevano distolto il M. dall'attività politica, non ne avevano mitigato la passione e la fede socialista; né avevano scalfito la sua popolarità nelle zone in cui aveva maturato le sue prime esperienze di medico e di militante politico. Per quanto, dalla Svizzera, fosse poco partecipe delle vicende del movimento socialista vercellese, il M. era stato ancora candidato nel 1900 e nel 1904 a Crescentino, migliorando il risultato, ma senza riuscire eletto. Nel 1904 fu anche candidato nel collegio di Corteolona dai socialisti riformisti, che si opponevano al candidato ufficiale del Partito socialista italiano (PSI), il sindacalista rivoluzionario W. Mocchi.
La lotta elettorale fu combattuta senza esclusione di colpi ed ebbe per effetto la sconfitta di entrambi i candidati a beneficio del radicale C. Romussi, la disgregazione del movimento socialista locale e la fine della presenza politica attiva del M. nel Pavese.
S'intensificò invece il suo impegno nel collegio di Crescentino, dove, dopo un altro sfortunato tentativo nel 1909, risultò infine eletto nel 1913. Il brillante esito fu dovuto, oltre che all'estensione del suffragio, alla partecipazione più assidua del M. alla campagna elettorale, durante la quale tenne diverse conferenze sui problemi igienico-sanitari che stavano a cuore ai lavoratori del riso.
Riconfermato alla Camera nelle successive elezioni del 1919, del 1921 e del 1924, il M. si occupò, oltre che della lotta alla tubercolosi, dei servizi sanitari (dal 1922 al 1924 fu membro del Consiglio superiore della sanità) e dell'assistenza ai disagiati (nel 1918 fu tra i promotori della Lega proletaria mutilati, invalidi, reduci, orfani e vedove di guerra).
In quegli stessi anni il M. partecipò intensamente al dibattito in seno al PSI.
Schierato con i riformisti di sinistra di G.E. Modigliani al XIII congresso (Reggio Emilia, 7-10 luglio 1912), dopo la tregua tra le correnti alla vigilia della guerra mondiale, al XV congresso (Roma, 1-5 sett. 1918), fu tra i firmatari dell'ordine del giorno intransigente della frazione rivoluzionaria. Al successivo congresso (Bologna, 5-8 ott. 1919) accusò la maggioranza massimalista di non saper dirigere il partito e propose una formulazione che correggeva "da sinistra" la mozione massimalista unitaria di C. Lazzari, sulla quale confluirono anche i riformisti. Dopo il XVII congresso (Livorno, 15-20 genn. 1921), il M. fece parte, con Lazzari ed E. Riboldi, della delegazione inviata a Mosca con il compito di sostenere il ricorso del PSI contro la sua esclusione dalla Terza Internazionale (Comintern). I tre finirono per condividere le tesi dell'Internazionale, che auspicavano l'espulsione dei riformisti dal PSI e la sua fusione con il Partito comunista d'Italia (PCd'I), e diedero vita, in occasione del XVIII congresso (Milano, 10-15 ott. 1921), alla frazione terzinternazionalista.
Il bersaglio principale della nuova frazione, di cui il M. fu il principale animatore, divennero G.M. Serrati e la direzione massimalista, accusati di voler mantenere un'equivoca unità del partito. Solo dopo l'espulsione dei riformisti e la richiesta di aderire all'Internazionale, decise dal XIX congresso (Roma, 1(-4 ott. 1922), i rapporti tra il M. e Serrati migliorarono portando all'unificazione dei rispettivi gruppi.
Furono loro due a guidare, nel novembre successivo, la delegazione socialista al IV congresso del Comintern a Mosca e insieme fecero parte (con G. Tonetti per il PSI, A. Gramsci, M. Scoccimarro e A. Tasca per il PCd'I) della commissione voluta dal congresso per procedere alla fusione dei due partiti. L'unificazione fallì per la poca convinzione dei comunisti e la contrarietà di una nuova maggioranza formatasi in seno al PSI intorno a P. Nenni e A. Vella. I fusionisti proseguirono la loro battaglia dando vita al quindicinale Pagine rosse, ma la direzione del PSI intimò loro di cessare le pubblicazioni.
Malgrado dalla Russia, dove si era trattenuto dal giugno al settembre del 1923 per occuparsi di questioni sanitarie, il M. avesse suggerito cautela, al suo rientro trovò la situazione ormai compromessa. All'inizio del 1924 i terzinternazionalisti furono infatti espulsi dal PSI e alle elezioni del 6 aprile di quell'anno si presentarono insieme con i comunisti. In estate il M. tornò ancora una volta a Mosca per rappresentare, insieme con Serrati, G. Di Vittorio e altri, la frazione al V congresso dell'Internazionale e discutere in seno alla commissione italiana, con P. Togliatti e A. Tasca, le modalità della fusione che avvenne subito dopo. Il M. fu cooptato nel comitato centrale e chiamato a far parte, con Gramsci, Togliatti, Scoccimarro e G. Mersù, del comitato esecutivo del PCd'I. Durante la crisi Matteotti fu, insieme con Gramsci, l'ispiratore della proposta di costituire un "antiparlamento" e della scelta di far rientrare i deputati comunisti alla Camera.
Il M., che era già stato malmenato dai fascisti il 20 apr. 1921 a Pavia, subì ben due aggressioni alla Camera: il 6 marzo 1925, mentre si accingeva a documentare la responsabilità di B. Mussolini nel delitto Matteotti, e il 19 novembre dello stesso anno, allorché volle dissociarsi dall'omaggio dei parlamentari al capo del governo dopo l'attentato Zaniboni.
Pronunciò il suo ultimo intervento alla Camera il 1 maggio 1926, per esaltare, tra le invettive generali, la festa del lavoro soppressa dal fascismo. Dichiarato decaduto dal mandato parlamentare, l'8 novembre del medesimo anno fu arrestato nella sua casa di Cavi di Lavagna e condannato a cinque anni di confino, che scontò a Pantelleria e poi a Ustica. Il 1 apr. 1927 fu raggiunto da un ordine di cattura e trasferito nel carcere di S. Vittore di Milano, dove, in attesa del giudizio del Tribunale speciale, trascorse un anno e mezzo. Processato il 10 ott. 1928, fu assolto per insufficienza di prove.
Dopo il congresso di Lione (20-26 genn. 1926) il M., che aveva assunto il nome di battaglia di Barbi, non era stato riconfermato nel comitato esecutivo del PCd'I, probabilmente a causa delle sue crescenti difficoltà ad adattarsi alle esigenze della lotta clandestina. Dal novembre 1928 all'aprile 1929 fu ricoverato al policlinico di Roma e il successivo 14 giugno fu per qualche tempo confinato a Campagna, nel Salernitano, dove si fece apprezzare prestando cure mediche alla gente del posto. Il 7 maggio 1930 fu perciò trasferito, con il divieto di esercitare la professione, a Bernalda, nei pressi di Matera. Qui rimase fino al 1 luglio, allorché, per motivi di salute, gli fu permesso di terminare la condanna al confino nella sua casa di Cavi di Lavagna. Anche dopo lo scadere della pena, l'8 nov. 1931, fu sottoposto a vigilanza speciale fino agli anni della seconda guerra mondiale. In questo periodo si dedicò alla professione e ai suoi molteplici interessi letterari e artistici, di pittore e caricaturista.
Nel dicembre 1943, ormai settantacinquenne, riuscì a espatriare in Svizzera, stabilendosi presso il fratello Luigi ad Ambrì e poi, per sottoporsi a un intervento chirurgico agli occhi, a Zurigo, dove riprese contatto con gli ambienti dell'emigrazione antifascista italiana. Rientrato in Italia nel luglio 1945, fu membro della Consulta nazionale, deputato all'Assemblea costituente, eletto il 2 giugno 1946 nel primo collegio di Milano, quindi senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana.
Il M. morì a Cavi di Lavagna, nella Riviera ligure di Levante, il 23 febbr. 1955.
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