PESTALOZZI, Fabrizio
PESTALOZZI, Fabrizio. – Nato a Chiavenna, figlio di Bartolomeo e pronipote di Antonio (detto Riconi, morto prima del 1491) e di Caterina Nasali (Pestalozzi-Keyser, 1958, p. 371). Appartenne a quel ramo della ricca e nobile famiglia Pestalozzi originaria di Gravedona, attestata anche come Pestaluz e Pestalozza. L’avo Albertus Pestaloza si stabilì a Chiavenna nel 1299 (Pestalozzi-Keyser, 1958, p. 367), dove acquistò ricchi alpeggi e acquisì il titolo nobiliare. Le sue date, di nascita e di morte, non sono note: gli eventi bellici e naturali che sconvolsero la Valchiavenna nei primi decenni del XVII secolo hanno distrutto gran parte della documentazione: anche i registri battesimali della Collegiata di S. Lorenzo partono dal 1589.
A Chiavenna i Pestalozzi trasferirono la propria attività di commercio della seta e vi si radicarono profondamente. Divisi in molti rami, alcuni dei quali si distinsero con l’aggiunta di un secondo cognome – Riconi, Davosino, Luna, Porrettini – tratto da un soprannome o dal nome della moglie il cui stemma unirono sovente al proprio (Pestalozzi-Keyser, 1958, p. 36) essi si dedicarono anche alle arti liberali: notai, medici, avvocati ricoprirono incarichi importanti nell’amministrazione cittadina come consoli, assessori, delegati, capitani della milizia. Nel cinquecentesco palazzo Pestalozzi-Luna a Chiavenna ha sede attualmente il Centro di studi storici valchiavennaschi.
Territorio dell’Impero, dal XII secolo Chiavenna fu oggetto di innumerevoli contese per la sua notevole importanza strategica e cambiò spesso signore, fino a quando entrò a far parte della Repubblica delle Tre leghe dei Grigioni, che nella lotta contro gli Asburgo si unirono e conquistarono la Valtellina, la contea di Bormio e la contea di Chiavenna : «L’anno 1512 queste terre per hopera de Signori Pestalozzi si rese alle Eccelse Tre Leghe, e da li a poco li francesi gli resero ancora il castello» (Chronik des Ritters Johannes Guler von Wineck, poi commissario della Repubblica a Chiavenna, in Pestalozzi-Keyser, 1958, p. 37).
I signori delle Tre leghe confermarono nei nuovi domini tutti gli esistenti privilegi e prerogative, riorganizzarono l’amministrazione del territorio con cariche elettive in tutti i comuni e favorirono lo sviluppo del già fiorente commercio.
In nome de «l’amore per la libertà che in quel popolo è stato sempre superiore a qualsiasi naturale passione» (Di Crollalanza, 1867, p. 195) i Grigioni assicurarono anche un’ampia libertà di espressione, che non escludeva il dissenso religioso: la Valtellina rappresentò così un’isola di tolleranza nell’Europa intollerante, punto di riferimento per l’emigrazione italiana religionis causa, che in gran parte fece di Chiavenna la prima tappa del proprio esilio. Per diversi fattori politici e religiosi la Valtellina divenne un problema di rilevanza internazionale, «uno dei nodi centrali della politica europea tra cinque e seicento. La soluzione finale del problema sarà appunto l’eccidio del 1620» che distrusse la ricca realtà economica, culturale e spirituale della valle (Pastore, 1975, p. 8).
Nel giro di pochi anni la Riforma convinse più di un terzo degli abitanti e nel 1526 la Dieta di Ilantz sancì il pieno diritto di confessare la propria fede, riformata o cattolica, senza discriminazioni. Nel 1539 il piemontese Agostino Mainardi, tra i primi italiani stabilitisi a Chiavenna, venne nominato pastore della prima chiesa riformata costituitasi grazie all’impegno di Francesco Negri – anch’egli esule italiano – e di eminenti cittadini chiavennati: Ercole von Salis, Gabriele Bardella, Paolo Mascaranico e Paolo Pestalozzi, notaio, che fu il primo convertito (Camenisch, 1950, pp. 22 s.).
La famiglia Pestalozzi aderì alla nuova chiesa, sostenendola con la propria autorevolezza e difendendola nel momento in cui venne insidiata dall’opposizione anabattista e antitrinitaria, che creò una spaccatura all’interno della comunità (1547-49). La tolleranza garantita dagli statuti di Chiavenna favorì infatti l’arrivo di numerosi esponenti anche del mondo radicale, svizzero e italiano (Camillo Renato, Francesco Stancaro, Lelio Socini, Giampaolo Alciati, Giorgio Biandrata ): le controversie suscitate furono definite in una serie di dispute pubbliche che si conclusero con la condanna e l’espulsione dei dissidenti e la riconferma del riconoscimento giuridico soltanto per le due confessioni, cattolica e riformata (Wilbur, 1947, p. 112).
In questo quadro si svolse la vicenda di Pestalozzi, che nel 1578 si stabilì a Cracovia per seguire gli affari della famiglia. Il 12 gennaio 1579 Pestalozzi ottenne il diritto di cittadinanza (Ptaśnik, 1905, p. 9 nota 47) e si integrò del tutto nella vivace colonia italiana formata tanto da ricchi patrizi, mercanti, avventurieri che da emigrati per motivi religiosi o politici. Come riformato partecipò alla vita della chiesa riformata di Cracovia guidata da Daniel Bieliński.
Anche a Cracovia la tolleranza religiosa favorì lo svilupparsi di un dibattito ricco e articolato, che condusse alla formazione di una numerosa comunità riformata, ma non precluse la convivenza con i settori più radicali: anabattisti e antitrinitari. Lo stesso Bieliński ebbe un percorso religioso non lineare: divenuto da cattolico calvinista convinto, negli anni Sessanta compì la scelta antitrinitaria e partecipò all’esperienza della repubblica di Raków, per rientrare poi nell’ortodossia calvinista (1575) e divenire pastore della comunità di Cracovia (Firpo, 1977, pp. 43 ss.).
Pestalozzi entrò in contatto con questi ultimi, in particolare con il medico padovano Niccolò Buccella, già processato in patria per eresia e salvatosi con l’abiura (1564). Recatosi a Cracovia come medico di Stefano Bathory, Buccella si costruì una solida posizione, economica e sociale, e protetto dal sovrano non cessò di adoperarsi a favore dei molti connazionali esuli in Polonia accusati di antitrinitarismo. Dopo molti dubbi Pestalozzi si convinse a rifiutare l’ortodossia trinitaria e strinse rapporti anche personali con Buccella: nel 1580 ne sposò la nipote Letizia Lippi, morta precocemente nel 1581. In quell’anno Pestalozzi rese pubblica la sua scelta antitrinitaria con un’aperta contestazione di Bieliński: «È falso quello ch’egli insegna: tre persone essere una essentia» (Marchetti, 1972, p. 286). Un dibattito violento, a seguito del quale il 16 ottobre 1581 Pestalozzi inviò al suo vecchio pastore di Chiavenna, il napoletano Scipione Lentulo, una lettera nella quale gli espose le sue nuove convinzioni e sollecitò un suo parere.
Tale ‘confessione di fede’ di Pestalozzi non ci è giunta e si può ricostruire solo sulla base delle citazioni che Lentulo inserì nella sua risposta del 20 dicembre. Dalla lunga lettera di Lentulo si trae una serie di affermazioni del tutto in linea con la dottrina sulla trinità elaborata nell’ambiente dei Fratelli polacchi: «la santa scrittura non dice nulla di un Dio trino»; esiste «un solo Dio immortale dal quale sono tutte le cose»; Gesù Cristo è «l’unigenito figlio di dio…, imagine e figura del padre» ma non è Dio; non si dice mai «nella santa scrittura che lo spirito santo sia Iddio» (Marchetti,1972, pp. 293, 295, 298). Non si può escludere che nella sua risposta Lentulo abbia voluto ‘edulcorare’ le parole di Pestalozzi, ma quel che colpisce è il tono accomodante della sua risposta, la elementarità dell’esegesi che si trae dalle sue citazioni bibliche, fino all’invito di non impuntarsi sulle parole, ma di badare al sodo: «se queste parole (unità, trino et trinità) vi dispiacciono, potete lasciarle stare, che non importa. Purché riteniate ‘tre et uno’, cioè padre, figliolo et spirito santo uno solo dio, ché importa necessariamente alla salute… . Rimane che sia misterio, ovvero segreto, da essere più tosto da noi adorato che investigato» (pp. 293, 297).
Una disposizione tanto irenica su un problema che accendeva roghi in Europa, stupisce molto e sembra dettata soprattutto dalla volontà di abbassare i toni in un momento ancora delicato per la chiesa riformata di Chiavenna, sostenuta con determinazione dai parenti più vicini a Fabrizio, non solo Pestalozzi, ma anche von Salis.
Nonostante gli sforzi di Lentulo, Fabrizio Pestalozzi non desistette dalla sua scelta antitrinitaria, avvicinandosi anzi alle posizioni millenaristiche di un altro emigrato italiano protetto di Buccella, Gian Battista Bovio da Bologna. Il nunzio Bolognetti che ne scrisse offrì di Pestalozzi un ritratto poco lusinghiero: «è uno che ebbe già per moglie una nipote del Buccella hora morta, e non sa nulla affatto. Era calvinista e andava al brogh, poi si fece ariano, et finalmente è venuto (com’ho detto) nell’opinione del Bovio: onde sono spesso insieme et vanno ragionando della loro Gierusalemme» (Bolognetti, II, 1938, p. 258). Un giudizio non molto dissimile da quello di Lentulo, che lo giustificò appellandosi alla sua giovane età e inesperienza: «voi sete gentilhuomo, e quantunque giovine, havete sempre dimostrato essere modesto et savio onde non posso pensare che vi vogliate attribuir più di quello che vi conviene» (Marchetti, 1972, p. 293) .
Da Cracovia Pestalozzi non dimenticò gli impegni familiari e al suo procuratore Francesco Peverelli Ferlino scrisse di donare come dote alla cugina Lucia, figlia di Pietro Martire, il ricavato dei fitti che esigeva a suo nome (Giorgetta, 1975, p. 44). Benché considerato troppo giovane, suggestionabile e poco dotto, Pestalozzi non rinunciò alle sue convinzioni eterodosse neppure dopo il ritorno in patria, nel 1595, tanto da essere convocato a ottobre dal commissario Giovanni Planta per risponderne (Fiume, 2003, p. 199). In quella sede, tuttavia, si dichiarò pentito del suo passato unitario, tornò nella chiesa riformata e venne reintegrato nei diritti civili che aveva perso in quanto eretico: con il suo ravvedimento si concluse anche la storia del dissenso religioso a Chiavenna. Dopo il suo rientro in seno alla famiglia e alla comunità di Pestalozzi non si hanno altre notizie.
Ignote sono anche la data e il luogo della sua morte.
Fonti e Bibl.: P. De Porta, Historia reformationis ecclesiarum Raeticarum, I-II, Curiae-Lindaviae, 1771-1777; G.B. Di Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, Milano 1867; G. Ptaśnik, Gli italiani a Cracovia dal XVI secolo al XVIII, Roma 1905; A. Bolognetti, Epistolae et acta 1581-1585, I, 1581-1582, a cura di E. Kuntze - C. Nange, Cracoviae 1923-1933, II, 1583, a cura di E. Kuntze, Cracoviae 1938; E.M. Wilbur, A history of the Unitaniarism. Socinianism and its antecedents, Cambridge (Mass.) 1947; E. Came-nisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni e nelle regioni soggette ai Grigioni: Chiavenna, Valtellina e Bormio, Samedan 1950; H. Pestalozzi-Keyser, Geschichte der Familie Pestalozzi, Milano 1958; V. Marchetti, Una polemica di Scipione Lentulo con l’antitrinitario F. P., in Il pensiero politico, V (1972), 2, pp. 284-301; G. Giorgetta, Francesco Negri a Chiavenna. Note inedite, in Clavenna, XIV (1975), pp. 38-46; A. Pastore, Nella Valtellina del tardo cinquecento: fede, cultura, società, Milano 1975; M. Firpo, Antitrinitari nell’Europa orientale del ’500, Firenze 1977; E. Fiume, Scipione Lentolo: 1525-1599. Quotidie laborans evangelii causa, Torino 2003.