Fabrizio Pulvirenti
Sopravvivere a Ebola
Il medico di Emergency volontario in Sierra Leone, ora guarito, dopo aver conosciuto in prima persona gli effetti del terribile virus, è fermamente deciso a tornare al lavoro per i suoi pazienti africani.
L'uomo che visse 3 volte. Non è un remake al maschile del film del mitico Hitchcock, ma la storia di Fabrizio Pulvirenti, il medico catanese tornato in Italia e nel mondo dopo una durissima battaglia con il virus Ebola. La prima vita rischia di interrompersi il 24 novembre 2014, quando Emergency annuncia che uno di loro, un italiano, è stato contagiato mentre si trovava nel centro di assistenza di Lakka, in Sierra Leone. Quella che potrebbe spezzarsi da un momento all'altro è la vita di un dottore, un gastroenterologo specializzato in malattie infettive che lavorava prima come ufficiale medico nella Marina militare, poi in alcune cliniche della Puglia e infine all'ospedale Umberto I di Enna. Fabrizio è anche un volontario: a ottobre prende l'aspettativa dall'ospedale e se ne va con Emergency in Sierra Leone dove l'ultima epidemia di Ebola ha già ucciso 9000 persone. Una missione pericolosa, ma questa è la vita, la prima vita di Fabrizio Pulvirenti, medico e volontario.
La seconda vita è quella del 'paziente zero', del primo italiano colpito da quel morbo letale che invade i giornali e spaventa il mondo. Fa paura Ebola, ma ancora di più fa terrore l'idea che quel nemico invisibile possa uscire dai confini 'lontani' dell'Africa, una possibilità remota – i controlli funzionano – ma che viene amplificata dalla notizia di volontari occidentali colpiti dal virus. Come Nina Pham, l'infermiera contagiata in Texas da un missionario rientrato dall'Africa, o come Fabrizio, per il quale si mette in moto una potente macchina sanitaria e organizzativa.
Emergency non fa il nome del malato, non ancora, ma l'immagine del medico trasferito dentro una bolla di plastica completamente isolata compare a ciclo continuo su tutti i telegiornali. All'inizio lo chiamano, appunto, 'paziente zero', quasi si fosse in un thriller di Chricton, poi il suo nome comincia a filtrare e la sua storia, non il suo virus, comincia a contagiare tutti. Anche Giorgio Napolitano, che ne parla in tv a Capodanno nel suo ultimo discorso da capo dello Stato citandolo tra gli "italiani esemplari" insieme a Samantha Cristoforetti e alla cacciatrice di particelle Fabiola Gianotti.
Quando viene portato all'ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, centro di eccellenza per la cura delle malattie infettive, Fabrizio cerca di rendersi utile anche da paziente.
Da medico paziente. Studia con attenzione quei sintomi che non sono più coricati su un letto davanti a lui, ma dentro il suo corpo: "Pensavo ai miei malati, stavo provando le stesse cose che avevano provato loro e cercavo di mantenere la mente lucida per una analisi il più possibile scientifica". Il tentativo dura poco perché la febbre diventa alta, altissima e le condizioni peggiorano.
Lo ricorda Emanuele Nicastri, medico dello Spallanzani: "Abbiamo avuto momenti di estrema gravità: il secondo giorno e poi qualche giorno dopo quando lo abbiamo portato in rianimazione. Lì abbiamo avuto paura".
Pulvirenti resta 39 giorni nel reparto di alto isolamento dello Spallanzani sottoposto a terapie di supporto, sieri e 4 diversi farmaci sperimentali ottenuti grazie a una collaborazione internazionale. Il costo dell'operazione sarà alla fine di circa un milione di euro, ma la strategia funziona: il medico italiano diventa uno dei pochissimi malati guariti da Ebola, tanto che il suo sangue viene subito impiegato per produrre un 'plasma di convalescenza' da utilizzare in Africa.
Il viaggio al termine di Ebola finisce il 2 gennaio 2015, quando in conferenza stampa viene annunciata la completa guarigione: Pulvirenti non è più il 'paziente zero'.
Ed è qui, proprio qui che inizia la sua terza vita, quella del medico diventato paziente e tornato medico. Deciso a tornare in Sierra Leone perché "Ebola è un mostro terribile, ma la sua sconfitta dipende in gran parte dal fronte che lo ostacola". E in quel fronte ci sono lui e quelli come lui, perché questo, non altro, è il lavoro di un medico. "Non sono un eroe: sono solo un soldato che si è ferito nella lotta contro un nemico spietato".