RUFFO, Fabrizio
Cardinale. Nacque il 16 settembre 1744 nell'avito castello di S. Lucido in Calabria, morì nel 1827. Ancor fanciullo venne a Roma, dove lo zio, card. Tommaso, decano del S. Collegio, lo prese a ben volere, e gli diede a precettore Giovanni Angelo Braschi, che fu poi il papa Pio VI. Compì gli studî nel Collegio clementino, segnalandosi nelle scienze fisiche e in quelle economiche. Nominato chierico di camera da Pio VI, ebbe poi l'alto ufficio di tesoriere generale della camera apostolica. Attese con perizia e con energia a riordinare la dissestata amministrazione finanziaria dello stato e a promuovere le scarse risorse economiche del paese. I provvedimenti per dare a enfiteusi perpetua i beni camerali di Ronciglione e di Montalto, frazionandoli in lotti, il motu proprio del 1789 contro i vincoli della produzione, il tentativo di risanamento delle Paludi Pontine: tutto questo gli procurò inimicizie di grandi appaltatori e feudatarî, colpiti negl'interessi. È alle querelle di costoro, il papa, cedendo, ebbe a dire: "leveremo il Ruffo da tesoriere, ma lo faremo cardinale". E fu fatto cardinale nel concistoro del settembre 179I. Tornato a Napoli, ebbe l'intendenza di S. Leucio, la colonia di agricoltori e di operai istituita dal re presso Caserta.
Nel dicembre del 1798 re Ferdinando era vinto e incalzato dai Francesi, che egli avrebbe voluto scacciare da Roma; il R. allora fu tra i pochissimi della corte a sconsigliare il re ad abbandonare Napoli. Seguì quindi la corte a Palermo. Due mesi dopo il R. partiva da Palermo per la Calabria, da dove iniziava l'impresa per la riconquista del regno con le forze solo di popolo. Era sbarcato in Calabria con sette uomini, senza denaro e senza armi. "Era sessagenario, circa, di capel bianco, bruno di faccia, di tratto affabile, curioso. Egli si pose a cavallo, e partì per Monteleone". Così il 18 febbraio 1799, il parroco di Nao lo vide, e lo ritrasse, sulla via da Mileto a Monteleone. Prudente e audace, ebbe il R. virtù di grande organizzatore. Quelle masse armate, pronte a sbandarsi dopo un successo, o un insuccesso, egli seppe più volte ricomporre, in certo modo disciplinare e condurre alla vittoria. Né solo per tali virtù riuscì a servirsi di quelle bande, ma per la profonda conoscenza che egli aveva dei sentimenti e dei bisogni del popolo, che i patrioti non seppero comprendere, e da cui non furono a lor volta compresi. Il R. diede la sensazione al popolo di volere la giustizia, di venire in aiuto di esso, alleviando subito e togliendo tasse e pesi feudali. Giunto a Napoli, desiderava di avere presto la resa dei castelli per mettere termine alla lotta civile che infuriava. Fra tanto sangue versato il R. non si ubbriacò di vendetta, ma con mente politica pensò alla restaurazione della monarchia, come opera di ricostruzione, e però fu consigliere di clemenza. Prevalse la stolta e crudele azione di sovrani e di ministri, sorretta dal Nelson. Il R., malvisto dai sovrani, approfittò del conclave per lasciare Napoli nell'ottobre del 1799.
Durante l'impero napoleonico si recò a Parigi, e pare che molto lo apprezzasse Napoleone, che lo insignì di onorificenze. Nel 1814 accompagnò a Roma il papa, quindi tornò a Napoli dove passò il resto della vita, occupandosi degli studî prediletti dell'arte militare e di economia e di agricoltura. Pubblicò alcuni scritti: Memorie economiche, Manovre di milizie, Armamenti di cavalleria, e altri opuscoli su tali discipline.
Bibl.: J.A. von Helfert, F. R.: Rivoluzione e controrivoluzione in Napoi dal novembre del 1799 all'agosto 1799, trad. ital., Firenze 1885; D. Sacchinelli, Memorie storiche sulla vita del card. F. R., Roma 1895; B. Maresca, Carteggio del card. R. col ministro Acton da gennaio a giugno 1799, in Archivio stor. nap., VIII; N. Rodolico, Il popolo agl'inizî del Risorgimento nell'Italia meridionale, Firenze 1926; A. Manes, Un cardinale condottiere: F. R. e la Repubblica partenopea, Aquila 1930.