SAVELLI, Fabrizio
– Nacque da Paolo e da Caterina Savelli, del ramo di Ariccia, il 14 giugno 1607, a Ravenna (dove il padre, alto ufficiale dell’esercito pontificio, era di stanza).
Mancano dettagli sulla sua formazione. Si avviò alla carriera ecclesiastica, ricevendo per cessione dallo zio, il cardinale Giulio, il titolo di abate commendatario dell’abbazia di S. Paolo di Albano. Lo si incontra per questo nelle fonti seicentesche romane semplicemente menzionato come «l’Abate Savelli». Era ben inserito nei circoli letterari romani: a lui fu dedicata la commedia La legge d’amore di Francesco Guerrini.
Nell’agosto del 1640, lo zio manifestò l’intenzione di passare a lui la ricca arcidiocesi di Salerno, di cui era titolare, in cambio di una robusta provvista di pensioni ecclesiastiche (per un totale di 7000 ducati annui). Iniziò per questo una trattativa con il Consejo de Italia, che ridimensionò decisamente le sue richieste. Nell’ottobre del 1641, il cardinale Giulio si sarebbe poi accontentato di 2000 ducati annui di pensioni. Dopo un ulteriore compromesso al ribasso, la vicenda si concluse felicemente: il 15 settembre 1642 Fabrizio fu creato arcivescovo di Salerno, con dispensa per non essere ancora presbitero. Il cardinale Alessandro Cesarini e il vescovo di Cariati, Francesco Gonzaga, lo consacrarono il 26 ottobre 1642, a Roma.
Savelli prese presto residenza nell’arcidiocesi, programmando con cadenza regolare le sue visite pastorali. Furono cinque in tutto, dal 1643 al 1654. Richiamò il clero diocesano al rispetto di quanto deciso dal Concilio di Trento; in particolare, vigilò sui parroci affinché incrementassero gli sforzi per l’insegnamento del catechismo e combatté le radicate manifestazioni della cultura popolare del territorio: condannò gli incantesimi a scopi medici, i malefici nei confronti di uomini o animali, l’astrologia e le arti divinatorie, l’uso della magia per controllare gli agenti atmosferici. Chi si dedicava alla stregoneria, a suo giudizio, era un peccatore pubblico, da associare a prostitute, bestemmiatori, usurai. Cercò anche di curare l’offerta didattica del seminario salernitano e si spese affinché i gesuiti continuassero a tenere aperto il loro collegio, nell’ex convento benedettino di S. Sofia. Promosse il riordino della presenza degli ordini maschili in città e nella diocesi, anche con alcune soppressioni.
Nonostante le ripetute assenze, non mancò di prendere parte attiva alle questioni di governo. Nel 1645 mediò tra la comunità di Salerno e il clero, in occasione del rinnovo del cosiddetto partito del vino, cioè il contratto di monopolio relativo alla vendita all’ingrosso del vino. Quindi, nel luglio del 1648, un anno dopo la sollevazione a Napoli di Masaniello, si trovò coinvolto nei moti iniziati anche a Salerno. Cercò anzi di offrire la sua opera perché fossero accontentate alcune delle pretese fino ad allora avanzate.
I rivoltosi, che avevano incendiato abitazioni e casali dei maggiorenti salernitani, puntavano decisamente a ottenere nuovi Capitoli, cioè una revisione dell’ordinamento pubblico cittadino, verosimilmente allo scopo di assicurare al ceto popolare un maggiore controllo sull’amministrazione e un alleggerimento del carico fiscale (dei Capitoli, nondimeno, non è conservato il testo). Savelli aprì loro le porte della cattedrale di S. Matteo il 12 luglio e chiamò a intervenire anche i funzionari della Regia Udienza, alcuni gentiluomini di spicco e diversi giurisperiti, che intrapresero la redazione di una nuova bozza. Il lavoro fu però interrotto dall’irruzione in città delle compagini banditesche guidate da Polito Pastina e dal Mascianella (Matteo Viscatale), intenzionate a fare giustizia sommaria del gabelliere Fabio Pallante, che si trovava a sua volta presso l’arcivescovo. Dimostrando piena padronanza della situazione, Savelli affrontò Pastina e salvò Pallante. Quindi, il giorno seguente, dispose la continuazione dei lavori ai nuovi Capitoli, effettivamente interamente riformati e sottoscritti (la Regia Udienza si impegnò affinché essi fossero confermati anche dal Consiglio Collaterale, a Napoli). Tutta la giunta di governo dell’università (cioè del comune) di Salerno fu rinnovata e si decise che dovesse comprendere anche un rappresentante dei casali, cioè dei borghi di campagna dei dintorni.
L’ordine pubblico restava nondimeno estremamente precario. Savelli, creato cardinale nel 1647 (con il titolo di S. Agostino, dal 16 dicembre dello stesso anno), lasciò Salerno prima dell’autunno del 1648, cioè prima del definitivo scontro della Repubblica Napoletana, appoggiata dai salernitani, con la Spagna. Gliene diede occasione la nomina a cardinale legato di Bologna da parte del papa, Innocenzo X (15 genn. 1648).
Nella città felsinea, arrivò il 10 settembre 1648. Rimase in carica fino al 1651, potendo contare sui vicelegati Giovan Battista Ceccadoro, Marcello Santacroce e Marcantonio Vicentini. Il monumento a lui dedicato è visibile nella sala cosiddetta dello Stabat mater della Biblioteca dell’Archiginnasio bolognese. Non fu molto impegnato da questioni rilevanti di governo: dispose nell’ottobre del 1649 alcune riforme agli ordinamenti dello Studio ed emanò provvedimenti contro coloro «che malamente esercita[va]no l’Arte della Medicina» (cit. in P. Camporesi, La miniera del mondo: artieri inventori impostori, Milano 1990, p. 264). Rivestì invece un corposo ruolo sulla scena culturale. Carlo Zani gli dedicò una raccolta di versi stesi dai convittori del collegio nobiliare S. Francesco Saverio, intitolandola Le fragranze della Rosa Savella (Bologna 1648); lo stesso fecero Bernardino Marescotti con una raccolta di ottave (All’Eminentissimo e Reverendiss. Sig. Cardinale D. Fabrizio Savelli…, Bologna 1648) e il musicista Domenico Pellegrini con i suoi Armoniosi concerti… (Bologna 1650). Soprattutto, Savelli fu un attivo collezionista e committente d’arte. Nel 1649 dai francescani bolognesi ebbe un San Francesco d’Assisi di Ludovico Carracci. A Giovanni Francesco Barbieri, il Guercino, commissionò poi diversi quadri, tra i quali una Maddalena, un San Girolamo, un San Francesco nel deserto. Fu altresì proprietario del San Giovan Battista di Caravaggio venduto probabilmente a Camillo Pamphili nel 1657 (l’inventario delle opere in suo possesso è pubblicato in Identificazione di un Caravaggio…, a cura di G. Correale, Venezia 1990, App. 3).
Sostituito dal cardinale Pier Luigi Carafa, che sostenne di aver trovato l’amministrazione della legazione in disordine, Savelli tornò nel luglio del 1651 a Roma. Nel settembre del 1652 egli era già a Salerno, dove, tranne alcuni soggiorni a Napoli, restò fino alla fine del 1654, per tornare poi ad Albano. Già nel 1652 aveva chiesto al Consejo de Italia di poter lasciare libera la sede salernitana in cambio di pensioni. Dopo una lunga trattativa, si accontentò di 3000 ducati annui; maggior successo ebbe il tentativo di far nominare successore uno dei nomi da lui indicati (il teatino Giovanni De Torres).
Dopo il ritorno da Salerno e il conclave seguito alla morte di Innocenzo X (genn.-febbr. 1655), «visse fra gl’agi della gran casa paterna» (M. Battaglini, Annali del sacerdozio e dell’impero, III, Ancona 1747, p. 231). Le sue rendite erano infatti stimate in 10.500 scudi annui.
Morì il 26 febbraio 1659 a Roma. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, nella cappella di famiglia, intitolata a S. Francesco.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 8763, cc. 200r-230v.
L. Cardella, Memorie storiche dei cardinali, VII, Roma 1793, pp. 71 s.; M. Rosa, Curia romana e pensioni ecclesiastiche…, in Quaderni storici, XIV (1979), 42, pp. 1014-1055 (in partic. pp. 1029, 1031); S. Franchi, Drammaturgia romana, Roma 1988, p. 243; M.A. Del Grosso, Le rivolte del 1647 dentro e fuori le mura di Salerno, in Bollettino storico di Salerno e Principato Citra, XII (1994), 1-2, pp. 75-117 (in partic. pp. 82-84); M. Spedicato, Il mercato della mitra…, Bari 1996, ad ind.; G.M. Viscardi, Tra Europa e ‘Indie di quaggiù’…, Roma 2005, ad indicem.