SIGNORELLI, Fabrizio (Fabrizio ‘della Rondine’). – Figlio di Tiberio (Teveruccio) di Neri (Tiberutius Nerii Muscholi)
, nacque a Perugia in data imprecisata, nella seconda metà del XIV secolo.
La famiglia, pure se di rango nobiliare (forse discendente dai signori di Rosciano e di Bettona: Perugia, Archivio di S. Pietro, A. Agostini, Famiglie perugine, cc. 379v-380r), consolidò il cognome solo a partire dalla generazione di Fabrizio, in epoca recenziore rispetto alle altre famiglie nobili perugine.
A partire dagli anni Ottanta Fabrizio, con il fratello Giulio, partecipò attivamente alla vita politica e alle contese di fazione nel Comune perugino, e ricoprì diverse cariche pubbliche (capitano della parrocchia di S. Biagio nel rione Porta Eburnea, quello di appartenenza della famiglia nel giugno-luglio 1385; castellano di Assisi nel 1387).
Particolarmente intensa la sua attività negli anni 1390-92: recuperò armata manu al controllo perugino Gualdo Tadino, fu inserito nella balìa incaricata di reperire grano contro la carestia, e fu podestà di Gualdo Cattaneo nel 1390; fu castellano di Montone (primo semestre) e console della mercanzia (secondo semestre) nel 1391; addetto, con Pietro di Giovanni Baglioni, al controllo dei castelli del contado (contro le minacce della compagnia di S. Giorgio e di Azzo da Castello), fu poi incaricato della trattativa con i capitani Cecchino Broglia e Brandolino Brandolini perché abbandonassero il territorio perugino nel 1392. Nello stesso anno si trasferì con la moglie Bartolomea di Simone Baglioni nel rione di Porta S. Pietro. Gli eventi dell’agosto 1393 – con il rientro in città, dopo mesi di pressione militare nel contado, della fazione popolare comandata da Biordo Michelotti – segnarono in modo decisivo la vita di Signorelli, che con il fratello Giulio fu condannato al confino in un luogo a sua scelta, a non meno di 40 miglia da Perugia. Pochi anni dopo (1398) una delibera del governo popolare impose la demolizione delle loro case.
Costretta all’esilio e divisa, la fazione nobiliare si organizzò intorno ai membri più attivamente impegnati come condottieri militari, stringendo impegni formali per il rientro in Perugia. Signorelli, con i fratelli Guido e Giulio, fu tra i firmatari di un accordo giurato che prevedeva l’avvicendamento semestrale di un coordinatore delle attività sovversive finalizzate al capovolgimento del regime popolare, oltre che il divieto di siglare accordi con il Comune o con singoli membri della fazione Raspante senza l’espressa licenza degli altri membri del sodalizio.
Per i successivi lunghi anni di esilio non è semplice ricostruire l’attività di Signorelli (per lo più sulla base delle cronache e della documentazione delle varie aree in cui operò come condottiero): per esempio, non è verificata la notizia data dall’erudito perugino Arrigo Agostini della militanza di Signorelli «per molti anni con gran plauso» come condottiero in Francia (Perugia, Archivio di S. Pietro, A. Agostini, Famiglie perugine, c. 273v).
Nel 1397 venne assoldato da Firenze e combatté contro Alberico da Barbiano presso Ponte a Signa; nel 1398 combatté nelle Marche con Braccio Fortebracci e Ruggero ‘Cane’ Ranieri; nel 1402 militò di nuovo per i fiorentini in qualità di maresciallo di campo alla battaglia di Casalecchio, ove – sconfitto dai viscontei – fu fatto prigioniero e liberato previo riscatto; nel 1404, con il nobile perugino Jacopo Arcipreti, fu luogotenente nella compagnia di Braccio Fortebracci. Nel 1407, ancora insieme a Fortebracci, mosse da Bologna verso Perugia e in aprile, al comando (con l’Arcipreti) di seicento cavalieri e cinquecento fanti, saccheggiò il territorio intorno a Città di Castello, scontrandosi con la compagnia di Paolo Orsini, ingaggiato dal governo popolare del Comune di Perugia. Nei mesi successivi (giugno 1407-inizi 1408) militò nelle Marche al servizio di Ladislao di Durazzo re di Napoli, ancora con Fortebracci, Arcipreti, Ruggero Ranieri e l’abruzzese Ludovico Migliorati, combattendo ad Ascoli, Jesi, Mercatello sul Metauro, Fabriano, Macerata.
Il proposito dei mercenari perugini di rientrare in patria sembrò sul punto di essere raggiunto quando le operazioni militari di re Ladislao si spostarono dalle Marche all’Umbria; ma il governo popolare perugino, condannato alla resa, si accordò con il re per la cessione della città in cambio della sua promessa di impedire il rientro in città degli aristocratici. A seguito del voltafaccia del re gli esuli perugini passarono dalla parte dei suoi avversari, alcuni agli stipendi di Firenze, altri di Baldassarre Cossa, per la Chiesa. Al servizio di questi, con Fortebracci, Ranieri e Arcipreti, Signorelli si impadronì di Apiro, presso San Severino Marche nel 1409; dallo stesso Cossa, eletto papa con il nome di Giovanni XXIII, Signorelli fu poi nominato capitano generale della Chiesa e ottenne in feudo Rocca Contrada (1409).
Da questo momento in avanti le attestazioni si fanno più rare. Nel 1411 Signorelli combatté di nuovo, con Arcipreti, contro Ladislao, alla difesa di Macerata; e forse nello stesso anno (così nel poema di Lorenzo Spirito) al seguito di Fortebracci combatté presso Todi i capitani assoldati dal Comune di Perugia.
Non pare irragionevole ipotizzare peraltro che l’attività militare di Signorelli sia stata subordinata a quella di Fortebracci e l’abbia seguita passo passo; la figura del più noto condottiero mise senz’altro in ombra presso i cronisti contemporanei i nomi degli altri esuli perugini al suo seguito.
Quando Fortebracci riprese il controllo di Perugia (estate 1416), Signorelli rientrò in città e partecipò nuovamente alla vita pubblica del Comune, a sostegno del governo dei nobili. Dal 14 agosto fece parte della commissione addetta al risarcimento di chi aveva subito danni dal governo popolare; il 14 settembre presenziò al decreto di Piero da Modigliana, luogotenente di Braccio, che esentava dalle tasse coloro che avessero fatto ritorno a Perugia dopo un periodo di assenza per guerra, carestia o debiti; infine fu incaricato della composizione dei nuovi sacculi (nei quali erano inseriti gli eleggibili a cariche pubbliche per gli anni a venire), e fu castellano di Torgiano (1416). Diresse, insieme con Cherubino Armanni, le operazioni contro il castrum di Città della Pieve, che si era ribellato a Perugia, e provvide al rifornimento di polvere da sparo per le bombarde. Dal febbraio 1417 fu inoltre, per un anno, camerario della comunanza delle acque del lago Trasimeno, con Gentiluomo di Jacopo Arcipreti; nel dicembre del 1419 infine fu estratto quale camerario delle arti per sei mesi, in rappresentanza dell’arte dei mercanti.
Accanto alle attività istituzionali e politiche, Signorelli si dedicò anche agli investimenti e alle speculazioni (appalto della gabella comunale dei due soldi per libbra, prestito agli appaltatori mediante anticipo dell’importo dei ratei delle gabelle, fideiussioni, prestiti di grano alle comunità del contado e pagamento in loro vece della tassa dei fuochi). La sua indefettibile adesione alla causa della fazione nobiliare trova riscontro nell’impegno con cui il governo dei nobili e Braccio in persona difesero a loro volta gli interessi suoi e dei suoi familiari, intervenendo a supporto delle richieste di Signorelli verso debitori forestieri e imponendo rappresaglie per porre rimedio a contratti di condotta non onorati.
Signorelli morì il 20 gennaio 1420. Ebbe funerali onorevoli nella chiesa di S. Maria del Mercato in Perugia. Poche settimane più tardi (28 marzo 1420) la moglie Bartolomea agiva in qualità di tutrice dei figli Baldassarre, Gentile, Lazzaro e Rodolfo.
La figura di Fabrizio Signorelli – di transizione, tra uomo di fazione e condottiero professionista – esemplifica bene un carattere comune a gran parte dei nobili perugini, a prescindere dallo schieramento di appartenenza: nei periodi di ‘estrinsecità’ della propria fazione costoro furono usi dedicarsi al mestiere delle armi, che garantiva loro discreti guadagni e favoriva una certa coesione tra i membri della fazione, tenendoli impegnati nelle medesime condotte e mantenendoli pronti a cogliere tutte le occasioni che si fossero presentate per rientrare a Perugia in armi.
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