FABULLUS
Pittore romano dell'età di Nerone. Il nome è incerto, trovandosi nei vari codici pliniani famulus, famulis; fabullus è congettura adottata dalla editio princeps; altra congettura, adottata dal Brunn, dà il nome amulius (non Amullius).
Plinio (Nat. hist., xxxv, 120), dopo aver citato il pittore Arellius "celebre poco prima di Augusto", prosegue: fuit et nuper gravis et severus idemque floridus ac umidus pictor F., etc. Ma la lettura umidus è incerta; i codici hanno varianti diverse e forse non è buona congettura tumidus. L'intero passo può tradursi (Ferri) così: "Anche F. visse poco fa: grave e severo e al tempo stesso pittore fiorido e umido (o tumido?). Di lui c'era una Minerva che guardava sempre lo spettatore da qualsiasi direzione costui la osservasse. Dipingeva poche ore al giorno e con grande solennità (id quoque cum gravitate) sempre vestito in toga, anche sulle impalcature (in machinis). La Domus Aurea fu come la prigione dell'arte sua: fuor di là non esiste gran che di lui." Queste sono le sole notizie che si hanno e in base ad esse resta stabilita la cronologia (Domus Aurea: 64-68 d. C.) e in certo modo la personalità esteriore di questo pittore ufficiale, di corte, che col suo non abbandonare mai la toga sembra voler confermare una tradizione aristocratica della pittura in Roma, che risale a Fabius Pictor (v.). Ci interesserebbe potere, una volta tanto, afferrare una personalità pittorica di età romana definita dalle fonti letterarie; e sembrerebbe, in questo caso, di poterci riuscire, dato che Plinio ci dà alcune caratteristiche dell'arte sua e ci indica il luogo nel quale cercarla. In realtà non si giunge, anche in questo caso, molto più in là di supposizioni e di ipotesi di lavoro. La Domus Aurea (v. roma) è, purtroppo, un monumento ancora in parte inesplorato (e quanto resta delle pitture sembra destinato a rapido e totale deperimento); e l'aggettivazione usata da Plinio è tutt'altro che chiara di per sé; né, se chiarita, appare priva di contraddizioni. Si è, generalmente, poco disposti ad attribuire ad un artista così solenne e compassato certe decorazioni minori della Domus Aurea, eseguite in stile così sommario da superare d'assai ogni effetto "impressionistico" del IV stile pompeiano. Sicché si finisce soltanto per supporre F. autore di quella sontuosa e complessa vòlta a riquadri con cornici di stucco dorato e composizioni mitologiche culminanti al centro con una insolita versione del ratto di Ganimede (v.), della quale possiamo farci un'idea, assai meglio che dai miseri resti in situ, dall'acquarello del Codex Escurialensis (Madrid, Biblioteca dell'Escorial) eseguito attorno al 1538 da Francesco d'Olanda (v. Tavola a colori). Se poi cerchiamo di tradurre gli aggettivi usati da Plinio, non troveremo difficoltà per gravis et severus, che corrispondono al ritratto morale dell'artista; ma dovremo soffermarci sugli altri due termini floridus ac umidus, se vogliamo tener fede a questa lettura. Il Ferri nota che, traducendoli nei corrispondenti greci ἀνϑηρο230ς e ὑγρός, quest'ultimo termine è etimologicamente proprio il contrapposto di αὐστηρός (da αὔω, dissecco) dal quale potrebbe esser disceso il latino severus. Ma umidus è lettura incerta, e tumidus appare correzione troppo facile. Se si confrontano le relative definizioni (v. austeritas, floridus, gravitas, umidus) si deve concludere che F. dovette essere un innovatore nel senso della policromia e dell'abbondanza fantastica del cosiddetto IV stile, che potrebbe essere definito floridus per eccellenza; ma non è necessario supporre che egli usasse, accanto ai colori "floridi" anche quelli "austeri", retaggio della fredda correzione dell'età giulio-claudia, perchè i primi due termini si riferiscono al carattere, i secondi due all'arte. Nelle città vesuviane il IV stile è documentato soprattutto dopo l'anno 63; esso non conosce nessun nuovo apporto dal repertorio ellenistico, ma rielabora in modi nuovi il repertorio acquisito. In questo senso, F. potrebbe esser considerato un innovatore nella direzione di gusto del IV stile. Così infatti lo hanno visto lo Pfuhl e il Rizzo; mentre il Ferri sembra supporre in F. una reazione al IV stile; il che appare cronologicamente poco sostenibile. In quanto alla Minerva che sembrava seguire con lo sguardo lo spettatore, si tratta di un facile effetto sovente applicato anche da pittori modestissimi; esso non dice altro che la figura doveva esser rappresentata in posizione pressoché frontale.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 206 (307); E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923, II, p. 830 con bibliografia a p. 831; G. E. Rizzo, Pittura Ellenistico-Romana, Milano 1929, p. 16 ss.; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 187; M. Borda, La Pittura Romana, Torino 1958, p. 222. Per la Domus Aurea e l'indice dei disegni rinascimentali ricavati dalle sue pitture, resta fondamentale F. Weege, in Jahrbuch, XXVII, 1913, p. 127 ss. (la vòlta dorata: tavv. 4-9; ma v. anche tav. 21) e Antike Denkmäler, III, tav. 13 ss.