faccia
La voce conserva, in D., la ricchezza di significati dell'etimo latino facies. Circa la metà delle sue presenze si raggruppa intorno al significato concreto di " viso ". Due passi contigui del Convivio possono citarsi come esempio di questa accezione dominante, e ancor più come rivelatori di un concetto delle interferenze tra fisica e metafisica che è forse alla radice sia di tanto realismo di D., sia delle sue scelte linguistiche e stilistiche: Cv III VIII 7 Onde vedemo che ne la faccia de l'uomo, là dove [l'anima] fa più del suo officio che in alcuna parte di fuori, tanto sottilmente intende, che, per sottigliarsi quivi tanto quanto ne la sua materia puote, nullo viso ad altro viso è simile; VIII 8-9 ne la faccia massimamente in due luoghi opera l'anima... cioè ne li occhi e ne la bocca... Li quali due luoghi, per bella similitudine, si possono appellare balconi de la donna, che nel dificio del corpo abita, cioè l'anima.
Nella stessa accezione di " viso ": Vn XXII 4 alcuna lagrima talora bagnava la mia faccia; Rime LXXVII 7 Questi C 'ha la faccia fessa; CIV 25, CXVI 56, Rime dubbie XVII 2, Fiore CLIII 11, Cv I XII 8, III XIV 13, XV 2, IV XXV 7 e 8; If VI 31 cotai si fecer quelle facce lorde / de lo demonio Cerbero, in cui f. non è traslato per " grugno canino ", in quanto il mostro mitologico, nell'assunzione dantesca a demonio (angelo decaduto), acquista caratteri umani, come la barba e le mani (vv. 16 e 17); XV 29, XXV 128, XXVIII 105, XXXI 46 e 58, XXXII 37, XXXIV 38, Pg I 38, VIII 35, IX 40 come de la faccia / mi fuggi 'l sonno (secondo il Porena, qui f. varrebbe propriamente " occhi "), IX 81, XI 73, XII 89, XXI 113, XXIII 23 e 55, XXIV 20 (qui per sineddoche rappresenta uno spirito, e quella faccia / di là da lui più che l'altre trapunta, / ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia); Pd III 16, XXIII 70, XXXI 13.
Ancora nella detta accezione, la voce assume il senso figurato di " f. della luna " (If X 80) e " f. del sole " (Cv II XV 5, If XXVI 27, Pg XXX 25).
Caso unico, in cui il valore semantico primario concede ai segni fisici una forte allusione ai loro attributi espressivi, è quello di Pd XXXII 85 Riguarda omai ne la faccia che a Cristo / più si somiglia (" in forma humana, tamquam vera mater, et in luce et in beatitudine ", Benvenuto).
Le rimanenti presenze si ordinano in due filoni, facenti capo l'uno a f. come " volto " o " aspetto ", e l'altro a f. come " superficie " o " lato ", con un movimento verso l'astratto, più deciso nel secondo ma già evidente nel primo.
" Volto ", come fisionomia individuale: If XVIII 77 ai quali ancor non vedesti la faccia; XVIII 129, XXV 72, XXIX 135; Pg XXIII 48 e ravvisai la faccia di Forese: D. ha visto la f. del penitente scavata dalla pena, ma solo dopo averne udito la voce ne ravvisa la fisionomia. Con maggiore insistenza sulla possibilità, che il termine ha, di esprimere una condizione spirituale: Vn XXIII 8 e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d'umilitade; Rime dubbie V 35, XII 5; If XVII 10 la faccia sua era faccia d'uom giusto (" un volto umano che non è solo realtà fisica ma si irradia di moralità ", Getto); Pg III 87, XV 128, XXIX 144; e in senso figurato, If XXIII 29 venieno i tuo' pensier tra ' miei / con simile atto e con simile faccia.
Una considerazione particolare merita Pg III 126 Se 'l pastor di Cosenza... / avesse in Dio ben letta questa faccia: molti commentatori, specie moderni, intendono, come pare più opportuno, f. come " aspetto ", l'attributo cioè della bontà infinita ricordata al v. 122. Ma altri, con più stretto riferimento alla metafora del ‛ leggere ', spiegano " la pagina del libro di Dio " (Biagioli, Tommaseo, Del Lungo) citando il magno volume di Pd XV 50 e " Or legga un'altra faccia del Saltero " (Pallamidesse, in Contini, Poeti I 474); altri (Gioberti, Fraticelli, Berthier, Venturi, Costa, Scartazzini): " la pagina, o piuttosto quelle infinite pagine della Sacra Scrittura, le quali predicano la misericordia di Dio ". L'interpretazione meno giustificabile sembra quella di " viso sereno di un morto in grazia di Dio " (Fiammazzo, Sicardi, Rivalta).
In altri due casi f. è riferito a Dio, ma a fronte del mistero divino il suo significato è sfumato nell'efficacia allusiva, nel senso che, sulla base dell'accezione scritturale di " volto alla cui immagine e somiglianza fu fatto quello umano ", il termine opera, sì, una semplificazione dell'inesprimibile, ma seconda felicemente lo sforzo del nesso sintattico di significare la visione di Dio: Vn XLII 3 Beatrice... gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia saecula benedictus; Pd XXIX 77 poi che fur gioconde / de la faccia di Dio.
Valore egualmente pregnante di " aspetto-carattere " o " aspetto-natura " Si riscontra in Cv I VIII 5 la faccia del dono dee essere simigliante a quella del ricevitore: l'immagine della f. (qui forse suggerita dalla stessa fonte senechiana, " Aspicienda ergo non minus sua cuique persona est, quam eius de quo iuvando quis cogitat ", Benef. II 17) significa appunto il carattere o contenuto del dono, e traduce con l'essere simigliante la misura di convenienza che Seneca assegnava al beneficio.
Nel senso di " aspetto ", reale o apparente: If XVII 60 d'un leone avea faccia e contegno; Cv IV XII 2 le cose defettive possono aver li loro difetti per modo che ne la prima faccia non paiono... e possono avere quelli… sì che apertamente ne la prima faccia si conosce la imperfezione; XII 3, XXI 3; If XVI 124 quel ver c'ha faccia di menzogna; XXIV 13 veggendo 'l mondo aver cangiata faccia.
Nel senso generico di " superficie " o " lato ": If XXXIV 117 picciola spera / che l'altra faccia fa de la Giudecca. Nei nessi ‛ guardare in f. ', ‛ volgere la f. ', non ha più che un valore direzionale: Detto 480 nol guarda dritto in faccia; Fiore CXVII 11; Cv III V 17 volgesse la faccia in ver lo sole; If XVI 76, XXII 61, Pg VI 11, XIII 121, XXXI 76; e in senso figurato, Cv II XI 1 io mi rivolgo con la faccia del mio sermone a la canzone medesima, e a quella parlo.
Bibl. - G. Getto, Il canto XVII dell'Inf., in Lett. dant. 317; E. Sicardi, in Miscellanea di studi critici in onore di A. Graf, Bergamo 1903.