Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fado portoghese e rebetiko greco sono generi della popular music radicati nelle tradizioni orali e prosperati in coincidenza con l’avvento della modernizzazione. La loro storia è quella di due espressioni culturali nate nei contesti poveri, malfamati e multirazziali delle periferie urbane, presto divenute musiche nazionali e professionali, contese tra l’approccio estetico degli intellettuali e l’esotismo del turismo di massa, ma in grado, pur subendo profonde trasformazioni, di riformulare fino ai giorni nostri il loro ruolo in relazione ai nuovi contesti economici, sociali, politici e tecnologici.
Musiche popolari urbane
Il fado portoghese e il rebetiko greco sono due casi assai particolari di musiche popolari urbane radicate nelle tradizioni orali locali e prosperate in relazione all’imporsi dei processi d’industrializzazione della musica e dell’intrattenimento musicale. Altri repertori hanno seguito lo stesso percorso, come ad esempio il blues statunitense, il tango argentino e il raï algerino, con i quali c’è un altro importante tratto in comune: si tratta di musiche nate in contesti di povertà, disagio e diaspora, ossia negli ambienti malfamati e malavitosi del sottoproletariato urbano, dove la durezza della vita quotidiana e l’estrema povertà annullano le differenze razziali e pongono di fatto le persone ai margini della società e della legalità.
I fadistas portoghesi e i rebetis greci – gruppi sociali maschili da cui derivano i nomi delle rispettive musiche – risiedono nelle periferie urbane delle città portuali di Atene e Pireo (Grecia) e di Lisbona (Portogallo). Amano ritrovarsi in taverne e bordelli alla ricerca di svago e di emozioni forti, esaltando comportamenti ed espressioni culturali che la morale pubblica non può che stigmatizzare, ma che nell’Ottocento, con la riscoperta romantica del “popolo”, esercitano grande fascino su artisti bohémiens e intellettuali solidali con le classi subalterne. All’interno di queste pratiche, la musica e la danza rivestono un ruolo cruciale, che non può essere ricondotto semplicisticamente al mero passatempo. Il rebetiko e il fado – come il blues e gli altri repertori sopra menzionati – sono in questo senso esemplari: la loro profondità emotiva li rende specchio dell’anima di queste comunità di diseredati e, allo stesso tempo, rappresenta un’affermazione forte e orgogliosa della loro dignità umana. Ed è forse proprio a causa di un tale radicamento nell’anima popolare che da tali musiche sono fiorite tradizioni musicali nazionali che – contese tra musica d’arte, folk revival, world music e sfruttamento “turistico” – sono state in grado di riformulare costantemente il proprio ruolo in relazione ai nuovi contesti economici, sociali, politici e tecnologici che via via si sono succeduti nel Novecento, giungendo, pur con profonde trasformazioni, fino ai giorni nostri.
Fado
Il fado (dal latino fatum) è musica da cantare, ascoltare e ballare. Parla di argomenti legati alla vita quotidiana ed è impregnato di un’altissima intensità emotiva detta saudade, termine con il quale si indica uno stato d’animo di struggimento carico di desiderio per qualcosa d’indefinito e d’indefinibile. Saudade è un misto di tristezza, malinconia e rassegnazione che è legato alle aspettative e alle speranze; è una smania che ricongiunge passato e futuro nel ricordo di qualcosa che non potrà tornare, nella nostalgia per l’infanzia o per la propria terra, nel desiderio di qualcosa che avrebbe potuto accadere, nella bramosia di qualcosa che si vorrebbe accadesse ma che non accadrà.
Nella sua forma classica, il fado è caratterizzato da una vocalità intensa e da un canto sillabico arricchito da veloci vibrati e variazioni d’intensità di grande effetto. Il canto è accompagnato dalla guitarra, strumento paragonabile a un grande mandolino con il fondo piatto che, interagendo con il canto, arricchisce l’accompagnamento con ornamentazioni, e dalla viola, strumento simile alla tradizionale chitarra.
Documentato fin dal 1833, il fado ha radici che si perdono nel mito. Probabilmente prende forma nelle taverne delle periferie povere, malfamate e malavitose di Lisbona, dove si mescolano vari popoli, tra i quali spicca la presenza di molti neri africani. I Portoghesi cominciano infatti a deportare schiavi africani fin dagli anni Quaranta del XV secolo, e sono talmente impegnati nel loro commercio che in pochi decenni la quantità di schiavi neri residenti e di passaggio in Portogallo – in particolare a Lisbona – diventa assai consistente. In seguito, fin dal XIX secolo, il Portogallo vede lo sviluppo di un reale processo d’integrazione dei neri, simile a quello sviluppatosi nell’America del Sud. Parte integrante di questo processo è proprio quella mescolanza tra le pratiche musicali e di danza dei neri e quelle dei fadistas che dà origine al fado.
La fama del fado si diffonde con la cantante Maria Severa (1820-1846), figura leggendaria che, oltre all’ammirazione dei fadistas, attira le condanne delle classi aritocratiche. La fama di Maria Severa è una sorta di trampolino di lancio che alla fine del secolo rende il fado ben noto anche al di fuori delle taverne e dei bordelli fadistas. Nei primi decenni del Novecento, ormai pienamente legittimato e professionalizzato, il fado arricchisce già l’offerta d’intrattenimento per il pubblico borghese, diventando allo stesso tempo un oggetto di culto per gli intellettuali e gli artisti portoghesi, alcuni dei quali ne desiderano un’evoluzione verso gli ideali della musica d’arte, mentre altri ne riconoscono il senso solo all’interno del contesto originario. Intanto a Coimbra e, in seguito, a Porto nascono riletture del fado, dove l’originaria rudezza di Lisbona è stemperata in un approccio romantico più lirico e spirituale, modellato sugli ideali dei promotori di tali riletture: gli studenti universitari.
La dittatura portoghese (1926-1974) non colpisce in modo traumatico il fado: cerca piuttosto di sfruttarlo a fini propagandistici. Questo continua dunque a prosperare e dalla fine degli anni Venti può essere ascoltato nelle numerose Casas do fado, alla radio e attraverso i dischi. L’industria del fado si potenzia ulteriormente quando, promosso a genere “tipicamente portoghese”, il fado amplia progressivamente la sua fama al di fuori dei confini nazionali, fino al grande riconoscimento internazionale sancito dalla figura di Amalia Rodrigues (1920-1999) negli anni Cinquanta-Sessanta.
Con la fine della dittatura e la sua crescente diffusione di massa, ha cominciato a mutuare stilemi vocali e strumenti dalla musica d’intrattenimento internazionale. Oggi prospera a vari livelli, dai circuiti concertistici teatrali all’intrattenimento massmediatico.
Rebetiko
Rebetiko (rempetica) deriva da rebetis, parola a sua volta derivata probabilmente da rebelos, ovvero “ribelle”. I rebetis (anche detti mangas) sono uomini del sottoproletariato urbano che vivono ai margine della legalità, passando il proprio tempo libero in taverne (teké) e nei bordelli, bevendo alcol e fumando oppio. Il rebetiko esprime dunque i loro sentimenti e la loro situazione di emarginazione: hashish, alcol, donne infedeli, solitudine, disperazione, morte.
Inizialmente, come si vedrà, di forte matrice orientale, il rebetiko è andato progressivamente occidentalizzandosi, passando da una forma modale improvvisativa e melismatica, a forme vicine alla moderna canzone occidentale, strofiche e caratterizzate da una melodia accompagnata. Punto nodale è il passaggio dal rebetiko “classico” degli anni Venti, accompagnato da due strumenti a corda (bouzouki e baglamas), a quello cosmopolita di metà del Novecento, che – oltre a prestare maggiore attenzione al mondo della popular music locale (laiki) e internazionale – passa anche attraverso il divieto della dittatura greca di pubblicare dischi che presentino taqsim o altri generi improvvisati similari, che sono considerati “non greci”, ossia turchi.
La storia del rebetiko inizia però molto tempo prima: le sue origini si perdono nell’intreccio tra musiche di tradizione orale turche, greche, zingare e armene nell’area dell’Anatolia e dell’Egeo, un intreccio che nell’Ottocento è confluito nelle prime forme d’intrattenimento urbano. In particolare, verso la fine dell’Ottocento si diffondono in Grecia i Café Aman, locali di matrice turca dove si esibiscono solisti e orchestre di varia estrazione (greci, turchi, armeni, zingari). I Café Aman, soppressi con tutto ciò che è di derivazione turca durante la guerra dei Balcani (1912-1913), rifioriscono dopo il 1923. Risale infatti a quella data la fine della guerra tra Grecia e Turchia (1919-1923), che si risolve con l’espulsione in terra turca dei musulmani che vivono in Grecia, e in terra greca dei cristiano-ortodossi che vivono in Turchia. In Grecia giunge così una massa di un milione e mezzo di persone senza casa né lavoro che viveva in Turchia da generazioni e, in alcuni casi, parlava solo la lingua turca. Esse si stanziano nelle zone urbane (in particolare nel Pireo) portandosi dietro le proprie usanze e pratiche culturali, alla ricerca di un qualche modo per sopravvivere alla diaspora. Non sorprenderà dunque se si mescolano ai rebetis, con i quali condividono la condizione di marginalità sociale, dando origine a una mescolanza tra le musiche urbane diffuse in Grecia, in se stesse poi assai ricche di influenze, e quelle di ascendenza medio-orientale da loro portate.
Così, mentre nei rinati Café Aman trionfano i suoni dello smirneiko, un nuovo genere suonato dai turchi e dominato da cantanti donne come Rosa Eskenazi (1895 ca.-1980), nei teké viene elaborato un altro tipo di miscela, ricca di riferimenti ai canti diffusi tra i prigionieri politici e caratterizzata dalla voce maschile: il rebetiko, che si identifica soprattutto con la figura di Márkos Vamvakáris (1905-1972). Lo smirneiko si esaurisce presto, mentre il rebetiko prospera: assorbendo alcune caratteristiche dello smirneiko e ponendosi in interazione con le varie musiche d’intrattenimento cittadino, esce dai teké per diventare, dagli anni Trenta, un genere di popular music nazionale.
Superata una fase di crisi dovuta al tentativo di screditarne la pratica a causa del suo legame con l’ambiente illegale dei teké e delle sue ascendenze turche, verso la metà del secolo il rebetiko vive un momento di grande riconoscimento sotto la spinta, da un lato, del lavoro di ricerca di autori come Vasilis Tsitsanis (1915-1984) e, dall’altro, della commistione con il pop internazionale a cui mirano altri autori. Dopo essere caduto in declino negli anni Sessanta, è rivalutato clandestinamente durante il regime dei colonnelli (1967-1974) proprio perché permette, con le sue tematiche, di esprimere un dissenso verso il regime. La sua riscoperta e affermazione si ha dopo la caduta della dittatura, quando viene valorizzato come musica d’arte, ma diventa anche parte di un repertorio proposto per il consumo turistico.