FAENZA (A. T., 24-25-26)
La romana Faventia è città della Romagna (prov. di Ravenna, Emilia), situata lungo la Via Emilia, quasi a mezza strada fra Bologna e Rimini. È posta tutta in pianura (35 m. s. m.), presso la confluenza del Lamone con il Marzeno. Intorno si stendono campagne fertili e ben coltivate: a sud s'alzano le prime ridenti colline. Di forma quasi circolare, Faenza presenta ancora la disposizione antica: la Via Emilia (il decumanus) prende il nome di Corso Mazzini e Corso Saffi, e taglia ad angolo retto la strada (il cardo) che porta da una parte al monte (la Via di Brisighella), dall'altra alla bassa (la Strada Ravegnana), onde la divisione della città in 4 rioni (rosso, verde, giallo e nero). Un tempo la cingevano mura e fosse, oltre le quali sono cresciuti soprattutto il sobborgo a nord, fuori delle barriere Garibaldi e Firenze, e quello a est, oltre il Lamone (Borgo Durbecco). Il centro della vita cittadina è costituito dalle piazze Vittorio Emanuele e Umberto, l'una continuazione dell'altra. Come tutte le città romagnole, ha aspetto un po' rurale, pure non è inelegante né priva di vivacità: e a darle questi caratteri contribuisce il fatto che in essa fioriscono non poche industrie. Nel 1921 aveva 22.469 ab. (nel 1881, 13.998; nel 1911, 20.177). A Faenza si coltivano ancor oggi con amore vecchie industrie, che furono già celebri. Oltre all'industria delle maioliche (v. appresso) vi sono esercitate l'industria del ferro battuto, l'ebanisteria, a cui si sono aggiunti l'intarsio e la scultura in legno: i mobili delle sue non poche fabbriche vengono largamente esportatì e così pure i plaustri, specialmente del Castello di Granarolo. Sono notevoli, infine, l'industria tessile e quella tipografica. Faenza dista 32 km. da Ravenna; è toccata dalla ferrovia Bologna-Rimini e vi hanno inizio i due tronchi Faenza-Russi-Ravenna e Faenza-Marradi-Firenze.
Il comune per ampiezza è il secondo di tutta la provincia: misura 215,78 kmq. di superficie e ha 47.238 ab. (1931), dei quali 26.184 nel capoluogo e nei centri minori e 21.054 in case sparse.
Il territorio è intensamente coltivato e vi è attivo l'allevamento del bestiame.
Monumenti. - Caratteristica è la piazza Vittorio Emanuele con portici a due ordini; essa si allunga verso quella Umberto I, sulla quale si alza il duomo, costruito su più antica chiesa con disegno di Giuliano da Maiano (1474) e compiuto nell'interno da Lapo Portigiani il Giovane nei primi del Cinquecento, consacrato nel 1581. È bella anche la fontana monumentale (1620). Sono inoltre notevoli: il Palazzo comunale, con magnifiche imponenti sale e gallerie decorate dal bolognese Bigari (1727), da Serafino Barocci e da Felice Giani (fine del sec. XVIII) e il "Voltone", con grottesche di Marco Marchetti (1566); il Palazzo detto del podestà (prime notizie del 1177); la chiesa dei Ss. Ippolito e Lorenzo (1775) di transizione allo stile impero, con sottostante cripta a pianta trilobata; la chiesa romanica della Commenda, sede dei Cavalieri gerosolimitani (affresco di Girolamo da Treviso, 1533); S. Maria Vecchia, ricostruita sulla prima cattedrale del sec. VIII; S. Domenico, ricostruito nel 1759, con il coro ligneo di fra Domenico Paganelli (sec. XVII); San Bartolomeo (1209) ora dedicato a tempio votivo dei caduti nella guerra mondiale.
Istituti di cultura e musei. - Faenza è sede di un regio liceo-ginnasio, di un regio istituto tecnico, di una regia scuola di avviamento al lavoro, di una scuola comunale di disegno e plastica, di una scuola di musica e d'una scuola agraria. È sede pure del Seminario vescovile e di molti fiorenti istituti privati. All'arte della ceramica sono dedicati gl'istituti ceramici faentini: Museo internazionale delle ceramiche (1908) e Regia scuola della ceramica (1919), con annessi laboratorio sperimentale, biblioteca, fototeca; vi si tengono corsi speciali di storia della ceramica. Il museo, in particolare, accanto alle mostre moderne di ceramiche italiane e straniere, vanta vaste e preziose collezioni didattiche di antiche ceramiche nostrane e orientali. La Pinacoteca comunale (che contiene anche notevoli antichità romane e medievali) mostra tutto lo svolgimento della fioritura artistica faentina. Degno di particolare menzione è il piccolo delizioso busto di S. Giovannino, attribuito a Donatello. Possiede anche una sezione moderna. La Biblioteca comunale, formata nel 1801 con i libri degli ordini religiosi soppressi e arricchita anche da doni e lasciti (nel 1929 i libri e manoscritti di Francesco Lanzoni) è oggi importante, specialmente per cose faentine (circa 100.000 voll.). Le sono annessi gli archivî delle fraterie, il comunale, il notarile e dei podestà, e il Museo del Risorgimento. Vi è inoltre un Museo teatrale. La città possiede anche molte istituzioni di beneficenza, tra le quali il Monte di pietà, fondato nel 1491.
Storia. - L'antica Faventia (demotico Faventinus) sulla via Emilia, a dieci miglia da Imola a ovest e da Forlì a est, collegò quella via, mediante la via Faentina, al Tirreno e deve il suo sviluppo appunto a quel raccordo. Sulla sinistra dell'Anemo (Lamone) il suo territorio si estese tra il Montone e il Santerno, a est e a ovest, e a nord e a sud tra il monte e il Po. Iscritta nella tribù Pollia e ricordata la prima volta a proposito della guerra civile dell'82 a. C., ebbe diritti municipali, forse non prima del sec. I a. C., quando appunto la vittoria sillana ebbe per conseguenza la colonizzazione del territorio e il distacco dei due centri del Forum Cornelii e di Faventia da Claterna. Il benessere del comune faentino è attestato dall'abbondanza dei prodotti agricoli, dal movimento commerciale e industriale e dalle espansioni cittadine fuori del murato che ebbe come seguito il primo ampliamento medievale, e soprattutto dall'antichità della sua chiesa che fin dai primi del Trecento ebbe il vescovo residente.
Nel 540 sono ancora ricordate a Faenza le magistrature romane. Ai Bizantini seguono verso il 740 i Longobardi, che in quegli anni concedono al vescovo una parte del contado, concesso poi (1017) da Enrico II ad Arnaldo arcivescovo di Ravenna. Del 1030 è la prima menzione del comune. Attraverso la lotta coi conti della montagna e del piano per la conquista del territorio, il progressivo ascendere degli strati popolari, lo svolgersi delle magistrature e degli ordini civici, il determinarsi della legislazione locale (attestata già nel 1215, giunta a noi nella codificazione del 1410), il comune pervenne a grande potenza e floridezza tra gli altri della regione, nonostante le lotte e l'avvicendarsi delle parti guelfa e ghibellina (a Faenza Manfredi e Accarisi), la breve soggezione al comune di Bologna nel sec. XIII, il riconoscimento, più di diritto che di fatto, dell'autorità della Chiesa. Fin dal 1177 ebbe il palatium communis, che poi resterà palazzo del podestà, mentre il palatium populi, sorto alla metà del sec. XIII con l'istituto nuovo del capitano del popolo, diverrà la sede del governo civico e della Signoria. Molteplici echi della storia del comune rimangono nel poema di Dante: sono faentini Bernardin di Fosco, Guido da Prata, Ugolin d'Azzo, Ugolino dei Fantolini, i più dei romagnoli rievocati da Guido del Duca nel XIV del Purgatorio; Tebaldello Zambrasi "ch'aprì Faenza quando si dormìa" (Inf., XXXII, 123) consegnandola ai guelfi bolognesi (1280); e frate Alberigo Manfredi "quel da le frutta del mal orto", il "peggiore spirto di Romagna" (Inf., XXXIII, 119 e 154). Nel 1300 Dante troverà a reggere Faenza e Imola il ghibellino" Maghinardo Pagani da Susinana (Inf., XXVII, 50; Purg., XIX, 118). Si va poi determinando il dominio signorile: nel 1313 Francesco Manfredi, cugino di Alberigo e macchiatosi con lui della tragedia del 1285, è defensor di Faenza, nel 1322 dominus. Anni di signoria di lui e dei discendenti si alternano a successivi ritorni del governo ecclesiastico (con i cardinali del Poggetto, Albornoz, Anglico), finché dopo il sacco dell'Acuto e la cessione di Faenza a Niccolò d'Este (1376-77), la Chiesa concede il vicariato della città (1379) ad Astorgio I Manfredi, poi decapitato come traditore dal legato Baldassarre Cossa nel 1405. Segue il figlio Gian Galeazzo (1410); poi i figli e nipoti di questo (v. manfredi), fino al giovinetto Astorgio III, cacciato nel 1501 da Cesare Borgia dopo strenua resistenza e ucciso l'anno seguente a Roma. Dopo il Borgia i Veneziani (1504-09), poi il governo ecclesiastico (tra i primi presidenti di Romagna ebbe sede in Faenza il Guicciardini) fino all'invasione francese (temporanea sede del dipartimento del Lamone) e al regno d'Italia. Fra i patrioti del sec. XIX vanno ricordati Giuseppe Sercognani, Francesco Laderchi, Vincenzo Caldesi.
La storia religiosa ha a Faenza un grande rilievo oltre che per l'antichità della sua diocesi, per le memorie di S. Pier Damiani morto a Faenza nel 1072, e anche per il diffondersi nella città delle idee luterane, già pullulanti nel 1545 e represse solo dalle condanne del 1567-70, che ebbero una notevole figura nel faentino Fanino Fanini (v.).
Storia dell'arte e della cultura. - L'arte a Faenza ebbe manifestazioni notevoli fra quelle delle città vicine sì da assumere, col sec. XV, i caratteri di una vera e propria scuola, specialmente nella pittura e soprattutto nella maiolica. Allora Faenza fu il punto d'incontro di diverse correnti, da Firenze, dall'Umbria, da Bologna, da Ferrara; e le diverse influenze si esplicarono nelle opere dei suoi artisti accanto a quelle dei maestri chiamati di fuori. Per l'architettura e per la scultura i Manfredi ricorsero a eminenti artisti specialmente toscani: per il duomo a Giuliano da Maiano e Lapo Portigiani il Giovane, a Benedetto da Maiano per l'arca marmorea di San Savino, a Desiderio da Settignano per gli ornati del Palazzo, a Sperandio Savelli per le medaglie, ecc. Nondimeno si notano: fra il Cinque e il Seicento D. Paganelli, domenicano, architetto nobile e operoso; nel sec. XVIII G. B. Campidori e G. Pistocchi, al quale si deve, fra altro, il bel teatro (1788). Pietro Barilotti (morto circa il 1550) ornò di vaghi intarsî marmorei le sue sculture; ebbero nome nell'Ottocento i plasticatori Ballanti-Graziani e lo scultore A. Tomba. Nella pittura del Trecento si ricordano Ottaviano e Pace tra i giotteschi; sui primi del secolo successivo Bittino da Faenza è partecipe del rinnovarnento naturalistico; Francesco da Faenza nel 1442 è aiuto di Andrea del Castagno a Venezia; Giovanni da Oriolo nel 1447 è celebre a Ferrara. Leonardo Scaletti (morto ciica il 1496) ha squisita personalità pur sotto gl'influssi ferraresi; gli Utili (nome ora discusso) ci indicano le influenze toscane; G. B. Bertucci (morto circa il 1516) è più sensibile all'arte umbra. Ma molti altri artisti sono noti e operosi: fra essi, Antonio da Faenza lavora in pieno Cinquecento nelle Marche, Giulio Tonducci (il Figurino) è allievo di Giulio Romano; Marco da Faenza (Marchetti) si specializza nelle grottesche in Roma, a Firenze, a Faenza; G. B. Armenini è più noto come trattatista. Anche nel Seicento la nobile tradizione continua con Ferraù Fenzoni, che è vivace colorista; con Michele Manzoni, col Pittor Villano (Tommaso Missiroli), eclettici energici e gustosi. Il sec. XVIII ci dà in Giulio Bucci un paesista delicato e florido: la sua maniera fu poi svolta sui primi del sec. XIX, da Pietro Piani e congiunta agl'incanti della scenografia da Romolo Liverani, operosissimo (morto nel 1872), discendente dalla bella scuola di decoratori, che fa capo, durante l'Impero, a Felice Giani. Tomaso Minardi (1787-1871) conquista a Roma il titolo di "principe dei disegnatori"; e le qualità del disegno, persistenti nell'arte a Faenza, si manifestano nella scuola di incisori, floridissima ilui, dal Passeri, maestro del Morghen, allo Zauli e soprattutto al Marri (morto nel 1852) e ai suoi discepoli. Achille Farina (morto nel 1879), Antonio Berti (morto nel 1912), Tommaso Dal Pozzo (morto nel 1906), Domenico Baccarini (morto nel 1907) onorarono Faenza negli ultimi tempi; e l'arte vi continua vigorosa con gli scolari del Berti (alcuni già di rinomanza nazionale) e dei più giovani, e forma una nota pecuìiare che distingue Faenza dalle città consorelle.
Ma è l'arte della maiolica, conosciuta universalmente col nome della città nella sua traduzione francese di faïence, che ha dato celebrità a Faenza (v. maiolica). Il primo documento scritto è del 1142 (Petrus orzolarius); il primo cimelio databile è un bacino del 1209; un altro, eià coperto di invetriatura stannifera, è il boccale con le armi del cardinale Albornoz (circa 1367). verso la fine del sec. XV, Faenza, per il temperamento intraprendente dei suoi artefici che si diffondono poi in tutta Italia, prende risolutamente la guida della decorazione maiolicaria, che, per opera di eccellenti maestri faentini del primo decennio del Cinquecento, nella più parte anonimi, raggiunge il più squisito punto della pittura su maiolica coi primi "istoriati". Il sec. XVI ci mostra le opere della bottega, detta, dal nome dei suoi padroni, "Casa Pirota" coi caratteristici ornati azzurri; i pittori di istoriati (a es. Baldassarre Manara e Virgiliotto Calamelli); quindi le squisite composizioni dei "maestri compendiarî, il sec. XVIII ci dà le opere dell'officina dei conti Ferniani, che continua anche nel successivo, in cui Achille Farina (morto nel 1879) e quindi i fratelli Minardi (morti nel 1907 e 1913) sono più degni di nota.
È notevole a Faenza anche la storia della scuola, da quella forse monastica dei tempi di S. Pier Damiani, che qui fece i primi studî intorno al 1020, alla scuola vescovile, che ebbe nel sec. xII il magister dictaminis Bernardo (cfr. C. H. Haskins, in Essays...to T. R. Lane Poole, Oxford 1927, pp. 218 e 221) e il cronista Tolosano (morto nel 1226); a quella comunale di grammatica e retorica, già organizzata nel 1410 e fiorente per tutto il Rinascimento; ai precettori privati di casa Manfredi. Nel 1536 il cavaliere gerosolimitano fra Sabba da Castiglione, che onorò la città con la sua presenza benefica e la saggezza serena di cui son prova i Ricordi, più volte stampati, fondò nella sua Commenda di S. Maria Maddalena del Borgo Durbecco una scuola per i fanciulli poveri, e la dotò nel 1551 di una biblioteca. Il Seminario, aperto nel 1576, molto fiorente dal Settecento in poi, ha un suo posto nella storia della cultura latina della classica Romagna (vi fu scolaro fra altri Vincenzo Monti).
La storia della più antica cultura faentina s'intreccia con quella dell'antica poesia italiana: tra i rimatori locali ricordiamo i dugentisti Ugolino Buzzola dei Manfredi, e Tomaso da Faenza (Dante, De vulg. eloq., I, xiv, 2); tra quelli che qui dimorarono, il Tedaldi e Franco Sacchetti. Vi ebbero i natali il filosofo Lodovico Zuccoli (sec. XVI), il matematico e fisico Evangelista Torricelli (1608-1647), il letterato Dionigi Strocchi (1762-1850).
V. tavv. CXIII e CXIV.
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