FAÏENCE
Egitto. - Con il termine f. si usa normalmente indicare un impasto di terra, più o meno argillosa, ricoperto di smalto. È quindi soltanto per pura convenzione che questo stesso termine viene utilizzato per definire il materiale che gli antichi Egizi chiamavano «la brillante» e con il quale producevano soprattutto piccoli oggetti come amuleti, ushabti e scarabei. La f. egiziana è data in realtà da un nucleo di quarzo friabile, ricoperto da una sottile invetriatura a base alcalina. Ne sono stati identificati varí tipi, differenziabili soprattutto per le diverse manipolazioni cui veniva sottoposto il nucleo in quarzo, allo scopo di ottenere variazioni nella colorazione del prodotto finale.
La f. ordinaria conobbe un periodo di produzione che va dall'epoca protodinastica fino al XIV sec. d.C. È caratterizzata da un nucleo in quarzo finemente tritato, normalmente di colore bianco, anche se impurità dovute alla presenza di sabbia o polvere di arenaria possono modificarne la colorazione fino a farla divenire marroncina, grigiastra o giallognola. Un esempio molto antico dell'impiego di questo tipo di f., lo si ritrova nella decorazione delle stanze e dei corridoi sotterranei del complesso funerario di Djoser a Saqqāra. Alcune pareti sono interamente ricoperte da pannelli composti da mattonelle di f. con invetriatura azzurra, sormontati da arcate con il motivo del pilastro djed, simbolo della stabilità.
La f. a strato intermedio ha invece un'attestazione assai più sporadica. La si ritrova utilizzata in un numero molto circoscritto di oggetti, databili dalla XII dinastia all'epoca greco-romana. Caratteristico di questo genere di f. è il sottile strato di quarzo che si interpone tra nucleo e invetriatura esterna. Il suo spessore varia da 0,5 a 2,5 mm e il suo colore dal grigio chiaro al celeste. Questo strato intermedio veniva applicato per migliorare o modificare il colore dell'invetriatura e quindi del prodotto finale. Era ottenuto mescolando quarzo finemente triturato a natron, in modo da ottenere un impasto non troppo viscoso; veniva applicato sul nucleo già indurito e poi cotto o lasciato seccare.
Alcuni tipi di f. venivano invece ottenuti mischiando alla polvere di quarzo minerali di varia natura. La f. nera era ottenuta attraverso l'aggiunta di ossido di ferro o, come nel caso di un gruppo di oggetti provenienti da Kerma, di arenaria grigia. La f. rossa era invece prodotta attraverso l'aggiunta di ossido di ferro rosso o di ocra rossa.
Diverso è invece il caso della f. blu o verde: al nucleo in quarzo, di consistenza più granulosa, veniva mescolata invetriatura triturata di colore verde o blu. Oltre a un miglioramento del colore esterno, questo procedimento serviva anche a rinforzare lo stesso nucleo, di solito assai friabile. Questo tipo di f. è caratteristico della XXVI dinastia.
La f. vetrosa comincia ad apparire soltanto con la XXI-XXII dinastia. È data da un composto omogeneo, dove non esiste differenziazione tra il nucleo di quarzo e la pellicola di invetriatura esterna. La superficie risulta così estremamente compatta, dura e opaca. Il colore varia dal verde chiaro al celeste. Non si tratta quindi di vera e propria f., nonostante la comune tendenza a classificarla come tale. Anche la sua composizione si trova a metà strada tra quella del vetro e quella della f.: silicio e sostanze alcaline sono infatti utilizzate in proporzioni diverse. Presente è anche una certa quantità di ossido di rame, che non si trova invece nella f. vera e propria.
L'invetriatura della f. è il risultato di differenti processi di lavorazione; è solitamente di colore verde o blu, ma è anche frequente l'uso del viola, del giallo, del bianco, del rosso e del nero. La composizione è prevalentemente alcalina, data da un composto di sodio-calcio-silicato, oppure di potassio-calcio-silicato. Da questo punto di vista, l'invetriatura è molto simile al vetro antico, salvo una differenza nelle percentuali dell'ossido di calcio e del silicio. Proprio come nel vetro, la colorazione veniva ottenuta attraverso l'aggiunta di una componente di rame. A partire dalla XXI-XXII dinastia, parallelamente alla creazione della f. vetrosa, si cominciò a utilizzare un composto plumbeo nell'invetriatura.
Oggetti in f. arricchiscono le vetrine dei musei di tutto il mondo. Assai diffuse sono le serie di piccoli amuleti, dove prevalgono i toni del blu e del verde, colori che la simbologia egizia associava ai poteri rigeneratori dell'acqua e della vegetazione e che quindi erano intesi rafforzare l'efficacia dell'oggetto apotropaico. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce anche gli stampi che servivano a produrre questi monili. In essi veniva colato l'impasto di quarzo su cui, una volta cotto o seccato, si applicava l'invetriatura. In questa fase della lavorazione gli oggetti venivano normalmente decorati con pittura nera.
Quando invece l'oggetto era di maggiori dimensioni si ricorreva alla lavorazione manuale della pasta di faïence. Caratteristico di questa produzione è il vasellame in f. azzurra del Nuovo Regno. Il Museo Archeologico di Firenze possiede un superbo esemplare di calice (inv. 3254), in cui la forma del fiore di loto in procinto di dischiudersi è sapientemente utilizzata per dar vita al contenitore. Degni di nota sono anche i numerosissimi piatti in f. azzurra, decorati con pitture a soggetto naturalistico di un'immediatezza sorprendente. Una semplice pennellata nera continua è sufficiente a descrivere le forme della fauna e della flora fluviale e lagunare. Singolare è invece un piatto conservato al Brooklyn Museum (inv. 34.1182), dove è rappresentata una scimmia che suona il flauto. Il soggetto e lo stile richiamano da vicino gli schizzi tracciati dai pittori egiziani sugli òstraka, riallacciandosi così a manifestazioni artistiche lontane dalla produzione a carattere ufficiale e, proprio per questo, dotate di una maggiore spontaneità e vitalità.
La possibilità di accostare e sovrapporre invetriature di diverso colore condusse gli artigiani egiziani a fare ampio uso della policromia, soprattutto in oggetti che servivano come elementi di decorazione architettonica. Vivacissime sono così le mattonelle in f. rappresentanti i popoli stranieri soggiogati dal sovrano, ritrovate in corrispondenza delle residenze reali del Nuovo Regno a Malqata, Medīnet Habu e Qantir. In queste mattonelle ogni figura di straniero è descritta negli elementi più caratteristici con un'estrema dovizia di particolari. La ricerca della policromia si nota soprattutto nella resa degli abiti, spesso ricchi e sfarzosi e, per questo, in netto contrasto con l'atteggiamento dei personaggi che li indossano, ritratti nell'umiliante posa del prigioniero. Questo stesso gusto è alla base anche dell'utilizzo della f. in oggetti composti da più materiali. Un esempio assai significativo è una statuetta rappresentante il dio Thot sotto forma di babbuino, oggi conservata al Louvre. Il corpo in f. azzurra incornicia il muso scimmiesco in argento, alla cui sommità spicca il disco lunare in oro.
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