Vedi FAILAKA dell'anno: 1973 - 1994
FAILAKA (v. vol. IV, p. 100, s.v. Ikaros e S 1970, p. 327)
La più antica occupazione umana risale alla fine del III millennio a.C., verso il 2100, nel momento in cui a Bahrain e in Arabia orientale fioriva la civiltà di Dilmun (v. arabia orientale); l'isola era allora una tappa importante nella navigazione tra le bocche dell'Eufrate e la parte orientale del golfo. Nei santuari di F. i marinai veneravano il dio supremo di Dilmun, Inzak, il cui nome compare su numerosi documenti iscritti raccolti nel corso degli scavi; ma l'isola era anche una stazione importante nel commercio del rame e delle pietre tenere (steatite, diorite) di Makkan, cioè della penisola di Oman. Si è avanzata l'ipotesi che il nome che designava F. nel mondo sumerico fosse Agarum. Gli aspetti materiali della civiltà dell'inizio del II millennio sono affini a quelli offerti da Bahrain: ceramica del tipo «Barbar», vasi in steatite decorati, utensili e armi in bronzo e, soprattutto, una raccolta di più di 600 sigilli a stampo o a cilindro che rivelano la ricchezza e la varietà dell'iconografia regionale. Va sottolineato nell'isola il mancato rinvenimento di una necropoli, ma nulla vieta di pensare che i morti di F. fossero sepolti sul posto; senza dubbio i costumi funerari differivano da quelli di Bahrain.
Gli insediamenti di quest'epoca sono raggruppati nella parte occidentale dell'isola, più ricca di acqua che non la parte orientale, desertica. A NO, nella baia di al-Khidr, esiste un sito archeologico che però non è mai stato scavato. A SO gli scavi danesi e francesi hanno messo in luce tre complessi: il santuario-terrazza di Inzak e un vicino abitato (sito F3); una grande costruzione civile, da alcuni denominata «palazzo» (sito F6, scavo danese), e delle annesse installazioni di immagazzinamento (scavi americani del 1975); un ampio edificio quadrato, di 20 m di lato (sito F6, scavo francese, in corso), che potrebbe rappresentare un tempio elevato, simile a una torre.
L'occupazione di F. continuò durante la maggior parte del II millennio, fin verso il XIV-XIII sec. a.C., quando, nel periodo cassita, gli edifici esistenti furono ricostruiti e risistemati. Dopo una fase di abbandono, l'isola ritrovò verosimilmente il suo ruolo di scalo marittimo nel corso del I millennio a.C., senza che sia possibile precisare meglio la cronologia. Materiali attribuibili ai periodi neobabilonese e achemenide sono stati rinvenuti nel corso di varí scavi, ma è stata individuata una sola fondazione anteriore all'arrivo dei Greci, a Teli Khazne, c.a 500 m a NE di F6.
Dopo un breve sondaggio da parte di una missione italiana nel 1976, il sito è stato esplorato integralmente dalla missione francese nel 1984. I resti architettonici sono trascurabili, distrutti dalle spoliazioni. I numerosi oggetti scoperti nelle rovine comprendono, oltre alla ceramica, un'importante raccolta di figurine di terracotta, di tipo orientale e poi ellenistico, brucia-profumi, armi in bronzo, un'iscrizione aramaica, un tesoro monetale, sepolto verso il 290 a.C., di tetradrammi del tipo di Alessandro. Il complesso era probabilmente un santuario, dedicato a una divinità locale non identificata, a partire dal VI sec. a.C. o forse prima; i Greci vi passarono alla fine del IV sec., e si può ritenere che si tratti del tempio ricordato da Strabone (XVI, 5, 2) e Arriano (Anab., VII, 20, 3-6). Dopo l'insediamento dei Greci nell'isola, il culto si ellenizzò gradualmente e il santuario restò in uso fino alla seconda metà del II sec. a.C.
La storia dell'insediamento greco di Ikaros (un adattamento del nome locale Agarum?) inizia subito dopo le esplorazioni di Nearco e di Androstene. La base fortificata che i sovrani seleucidi vi installarono (una fortezza di 60 m di lato, con torri quadrate agli angoli, a un centinaio di metri a S dell'insediamento F6, che fu per l'occasione completamente spoliato, servendo da cava) costituiva un baluardo avanzato per la difesa dell'impero e serviva, senza dubbio, come base per una flotta militare incaricata di provvedere a una navigazione sicura in questa parte del golfo. Nel corso del sec. a.C., tuttavia, l'elemento autoctono arabo sembra aver soppiantato progressivamente l'influsso greco, mentre l'isola diveniva la posta di conflitti ancora a noi sconosciuti: in ogni caso l'architettura della fortificazione mostra l'alternanza di distruzioni e ricostruzioni (periodi I e II nella sequenza stratigrafica della fortezza F5, nuovi scavi francesi in corso dal 1985).
L'archeologia fornisce testimonianze di importanti avvenimenti alla fine del III sec. a.C.: sotterramento di tesori monetali, restauro dei bastioni, ingrandimento della fortezza, modifica degli ingressi, costruzione di nuove abitazioni all'interno delle mura, ecc. Nello stesso tempo gli influssi greci tornano a essere predominanti (monete seleucidi di Antioco III, figurine di terracotta). Bisogna senza dubbio mettere in relazione questa ri-ellenizzazione di F. con la spedizione orientale di Antioco III e con il suo rientro attraverso il golfo, nel 205/204 a.C. (periodo III). A questo periodo vanno ricondotti i ritrovamenti più abbondanti e più spettacolari: i tesori monetali raccolti dalla missione danese, le belle figurine di terracotta di tipo greco (Artemide, Eracle) ma anche di ispirazione orientale, la statua di delfino in calcare, l'abbondante ceramica invetriata molto vicina ai modelli greci, gli elementi architettonici.
L'occupazione residenziale all'interno della fortezza diventa sempre più fitta durante la prima metà del II sec. a.C. (periodi IVA e IVB). Ma l'insediamento greco si estendeva al di fuori delle mura, come indicano l'esistenza di un deposito (sito F4, scavo danese) e quella di un piccolo santuario dedicato ad Artemide (sito B2, scavi francesi), entrambi posti lungo la spiaggia, la cui linea costiera si è modificata dall'epoca ellenistica. Le attività documentate dagli oggetti della vita quotidiana, rinvenuti nel corso degli scavi, comprendono la pesca, che sembra essere stata di primaria importanza nella dieta degli abitanti, la tessitura e la lavorazione del bitume, forse legata alle necessità della flotta.
Il crollo del potere seleucide in Babilonia intorno al 150-140 a.C. segna la fine dell'insediamento greco di Ikaros. La fortezza F5, il santuario di Teli Khazne e quello della spiaggia cadono in abbandono nella seconda metà del II sec., e non esistono indizi archeologici di un interesse all'isola da parte dei nuovi potenti, i Parti. Tuttavia sulle rovine della fortezza, nel I sec. a.C., esisteva ancora un'occupazione, limitata e di carattere non militare (periodo V); la presenza di monete del regno di Characene in questo insediamento, ma anche negli isolotti di Akhaz e Umm an-Namel, nella baia di Kuwait, favoriscono l'ipotesi secondo cui Kuwait e F. sarebbero divenute basi commerciali characene.
In seguito non si hanno altre testimonianze a F. fino all'inizio dell'Islam, quando un insediamento di età omayyade e abbaside, molto esteso, si installa nel centro dell'isola, ad al-Quṣūr (scavi italiani nel 1976, nuovi scavi francesi dal 1988). Tuttavia alcuni dei materiali pubblicati provenienti da questo insediamento urbano sembrano senz'altro di età pre-islamica, mentre resti cristiani sono stati da poco portati alla luce. Si tratta di due elementi che avvicinano F. all'insediamento sasanide nell'isola di Kharg.
Bibl.: In generale: T. Howard-Carter, in RLA, VI, 1980-1983, pp. 389-397, s.v. Kuwait; S. Patitucci, G. Uggeri, Failakah. Insediamenti medievali islamici, Roma 1984; J.-F. Salles, The Arab-Persian Gulf under the Seleucids, in A. Kuhrt, S. Sherwin-White (ed.), Hellenism in the East, Londra 1987, pp. 75-109; O. Callot, J. Gachet, J.-F. Salles, Some Notes about Hellenistic Failaka, in PSAS, XVII, 1987, pp. 37-51; J. Gachet, J.-F. Salles, Iconographie et cultes â Failaka. I. Sur une statue de dauphin, in Mesopotamia, XXV, 1990, pp. 193-215; D. T. Potts, The Arabian Gulf in Antiquity, I. From Prehistory to the Fall of the Achaemenid Empire, Oxford 1990; J.-F. Salles, Les Achéménides dans le Golfe arabo-persique, in H. Sancisi-Weerdenburg, A. Kuhrt (ed.), Achaemenid History, IV. Centre and Periphery, Leida 1990; Κ. Schippmann, A. Herling, J.-F. Salles (ed.), Golf-Archäologie. Mesopotamien, Iran, Kuwait, Bahrain, Vereinigte Arabische Emirate und Oman (Internationale Archäologie, 6), Buch am Erlbach 1991.
Sugli scavi francesi: J.-F. Salles (ed.), Failaka. Fouilles françaises 1983, Lione 1984 (con bibl. prec.); id., Failaka, une île des dieux au large de Koweit, in CRAI, 1985, pp. 572-593; Y. Calvet, J.-F. Salles (ed.), Failaka. Fouilles françaises 1984-1985, Lione 1986; Y. Calvet, J. Gachet, Failaka. Fouilles françaises 1986-1988, Lione 1990; V. Bernard, O. Callot, J.-F. Salles, L'église d'al-Qousour, Failaka. État de Koweit, in Arabian Archaeology and Epigraphy, II, 1991, pp. 145-181; V. Bernard, J.-F. Salles, Discovery of a Christian Church at al-Qusur, Failaka (Kuwait), in PSAS, XXI, 1991, pp. 7-21; D. Kennet, Excavations at the Site of al-Qusur, Failaka, Kuwait, ibid., pp. 97-111.
Sugli scavi danesi, per l'età protostorica: P. Kjaerum, Failaka/Dilmun. The Second Millennium Settlements, I,1. The Stamp and Cylinder Seals, Aarhus 1983; id., Architecture and Settlement Patterns in 2nd mill. Failaka, in PSAS, XVI, 1986, pp. 77-88; id., The Dilmun Seals as Evidence of Long Distance Relations in the Early Second Millennium B.C., in Shaykha Haya Ali al-Khalifa, M. Rice (ed.), Bahrain through the Ages, Londra 1986, pp. 269-277; F. Hojlund, Failaka/Dilmun. The Second Millennium Settlements, II. The Bronze Age Pottery, Aarhus 1987.
Testi: G. M. Cohen, The Inscriptions from Failaka, in The Seleucid Colonies, Stoccarda 1978, pp. 42-44; Β. Alster, Dilmun, Bahrain and the Alleged Paradise in Sumerian Myth and Literature, in T. Potts (ed.), Dilmun. New Studies in the Archaeology and Early History of Bahrein (Berliner Beiträge zum Vorderen Orient, 2), Berlino 1983, pp. 39-74; Κ. Kessler, Die keilschriftlichen Quellen des 2./1. Jahrtausends v. Chr. über Dilmun, ibid., pp. 147-160; Κ. Nashef, The Deities of Dilmun, in Akkadica, XXXVII, 1984, pp. 1-33.
(J.-F. Salles)
Templi ellenistici. - Scavi danesi (1958-1963) hanno portato alla luce un recinto fortificato databile al III sec. a.C., all'interno del quale furono scoperti due templi con i relativi altari. Resti della parte inferiore di questi edifici sono conservati in situ, mentre un certo numero di blocchi, rinvenuti sparsi all'interno e nell'area circostante, può plausibilmente attribuirsi all'alzato ora mancante. La muratura delle fondazioni era costituita da blocchi squadrati più o meno regolari di pietra oolitica, legati da argilla senza l'impiego di grappe, perni o tagli per leve.
Il Tempio A, situato esattamente sull'asse del recinto, ha due colonne in antis, in uno stile misto ionico-achemenide, al di là delle quali un pronao dava accesso a una cella, dove sono ancora visibili i resti di un basamento per l'immagine di culto. A tale basamento possono attribuirsi i blocchi di una massiccia cornice riccamente modanata, che indica come questo fosse relativamente alto rispetto alla sua larghezza e risultasse pertanto particolarmente adatto a sostenere una quadriga (cfr. simili basi per quadrighe di età ellenistica ad Atene, Delfi, Olimpia), mentre le dimensioni di una figura singola in scala corrispondente al basamento sarebbero apparse certamente fuori misura se comparate al modesto ambiente in cui esso era collocato.
La parte superiore dei muri era probabilmente in mattoni crudi e, dal momento che non si è rinvenuto neppure un frammento di tegola di copertura, il tetto doveva essere realizzato con travicelli di legno rivestiti di argilla. La fronte dell'edificio era abbellita, comunque, da un falso frontone sul quale erano posti acroterì in pietra decorati con palmette scolpite a bassorilievo e dipinte. A E del Tempio A, sul suo asse, era posto un altare a pianta rettangolare, al quale possono attribuirsi due lastre a forma di timpano con acroteri centrali decorati a palmetta.
Il Tempio B, affiancato a S al Tempio A, è assai meno conservato. A questo edificio possono attribuirsi due capitelli dorici dai quali si può dedurre un diametro inferiore della colonna di c.a 36 cm. Sul lato E, nel filare che costituisce lo stilobate, è conservata in situ una lastra quadrata di 52 cm di lato sulla quale è verosimile che si elevasse una delle colonne; rimane anche uno spazio vuoto in cui ben si adatterebbe una lastra per la seconda colonna. Resti di capitelli d'anta, provenienti con probabilità dallo stesso edificio, suggeriscono che questo avesse solo due colonne in antis invece di quattro e che i muri girassero sulla facciata a formare ante aggettanti sui lati. L'intercolumnio misurava c.a 1 m e l'altezza delle colonne era di poco inferiore ai 3 m. Gli acroteri laterali, come quelli del Tempio A, ma più piccoli, erano lavorati nella parte inferiore per essere sistemati su un soffitto piano invece che su un frontone, e probabilmente non era previsto un acroterio centrale. È ben possibile che l'interno del tempio fosse distinto in pronao e cella, ma non si è in grado di individuare alcun muro divisorio; è anche incerto se vi fosse un'immagine di culto. Dell'altare del Tempio B, a pianta circolare, non restano che i gradini del basamento.
Lo spazio tra i due templi fu utilizzato, in un momento successivo alla loro costruzione, per impiantarvi un ambiente di pianta approssimativamente quadrata, delimitato da muri di pietre irregolari messe in opera con argilla e intonacate con malta sulla faccia esterna. A questo ambiente, che poteva aver avuto una funzione simile a quella di una sacrestia, si poteva accedere solo dal Tempio B. Il Tempio A è chiaramente contemporaneo al muro che circonda il recinto, mentre il Tempio Β e il suo altare sono posti a un livello leggermente più elevato e potrebbero essere stati costruiti pochi anni più tardi. Lo stile dei templi, le cui origini non si delineano facilmente, è una versione semplificata di tradizioni greche; esso non pare adattarsi a un preciso momento stilistico nello sviluppo conosciuto dai centri di cultura classica ed ellenistica e non offre alcun palese indizio per la datazione dei templi.
Come terminus post quem può suggerirsi il periodo intorno al 285-250 a.C., in cui vanno verosimilmente datati pochi frammenti di ceramica a vernice nera rinvenuti negli strati più bassi del recinto, mentre il terminus ante quem è indicato da due tesoretti di monete trovati in strati chiaramente al di sopra del livello dei templi, che devono essere stati deposti intorno al 210 a.C. Con ogni probabilità, però, il Tempio A era già in funzione da qualche tempo quando venne posta dinanzi all'anta S la lunga iscrizione greca ora nota come «iscrizione di Ikaros». Il testo cita una lettera promulgata su iniziativa di un re, la cui identità è stata oggetto di discussioni. Sia questa, sia la lettera di accompagnamento allegata, sono senza dubbio datate, ma le cifre risultano di difficile lettura. Il nome proprio del re sembra essere stato precisato alla riga 17, in cui le lettere conservate suggeriscono la lettura του βαςιλεως ςελευκου. Come dimostra il contesto, il Seleuco in questione può essere soltanto Seleuco Callinico che regnò nel periodo 246-225 a.C. In base a questi argomenti si può ritenere che la fondazione del recinto abbia avuto luogo poco prima della metà del III sec. a.C., vale a dire durante il regno di Antioco Teo (261-246) o durante il comune regno di Antioco Teo e di Antioco Sotere (c.a 268-261). Nessun elemento indica a quali divinità fossero consacrati i templi, ma difficilmente si può dubitare che il recinto fosse stato fondato su iniziativa di un sovrano seleucide, e pare verosimile che proprio un culto dinastico fosse connesso con uno dei templi, in primo luogo con il Tempio A, se non con entrambi.
Bibl.: Rapporti finali di scavo: Ikaros. Danish Archaeological Investigations on Failaka, Kuwait: The Hellenistic Settlements (Jutland Archaeological Society Publications, XVI): H. E. Mathiesen, I. The Terracotta Figurines, Copenaghen 1982; L. Hannestad, II. The Hellenistic/Pottery, 2 voll., Aarhus 1983; K. Jeppesen, III. The Sacred Enclosure in the Early Hellenistic Period, Aarhus-Kuwait 1989.
(K. Jeppesen)