fair value
Locuzione inglese la cui traduzione letterale, «valore o prezzo» «equo», unisce due significati distinti: quello etico di giusto prezzo e quello tecnico di prezzo (valore) corretto.
Riflessioni sul giusto prezzo di un bene o di un servizio si ritrovano già in Aristotele (Etica nicomachea), secondo il quale solo lo scambio di beni e servizi a un prezzo giusto poteva garantire l’armonia e la coesione sociale necessarie a una comunità. Si deve agli attuari inglesi del 18° sec. una prima sintesi dei due concetti di giustizia etica e correttezza tecnica: essi definirono il prezzo equo (detto premio) di un’assicurazione sulla vita come la somma del valore attuale medio delle prestazioni future dell’impresa di assicurazioni e di un equo caricamento per spese, anch’esso fondato su rigorose basi tecniche. In tale impostazione, rimaneva inevasa la rilevante questione dell’inserimento nel prezzo di una componente destinata a rimunerare il rischio; questa fu affrontata e risolta dagli studiosi della moderna finanza quantitativa del secondo dopoguerra, in particolare dalle teorie sul prezzo di equilibrio di mercato del rischio sui mercati finanziari (W.F. Sharpe, 1963).
Il completamento della sintesi teorica fra etica e tecnica avvenne, almeno sulla carta, con la teoria dei prezzi delle opzioni (formula di Black-Scholes, 1973), intesi, nella generalizzazione di Harrison-Kreps (J.M. Harrison e D.M. Kreps, Martingales and arbitrage in multiperiod securities markets, «Journal of Economic Theory», 1979, 20, 3) come valori attuali medi di flussi di cassa futuri, riferiti peraltro non al mondo reale ma a un ipotetico mondo neutrale al rischio nel quale è già incorporata l’avversione al rischio degli operatori. L’aspetto etico risiede qui nell’assenza di opportunità di arbitraggio (➔) che esclude guadagni non derivanti dall’assunzione di posizioni rischiose, gli unici giustificati, anche eticamente, dalla teoria.
In coerente conseguenza di questi sviluppi teorici del fair price, il f. v. è divenuto parola chiave nei principi contabili internazionali (International Accounting Standards, IAS), e rappresenta oggi un vero e proprio pilastro (integrativo o addirittura alternativo al principio del costo storico) della valutazione di attività e passività da inserire nei bilanci delle imprese, tanto a fini del rendiconto ad azionisti e potenziali investitori, che a fini di controllo preventivo e successivo delle autorità di regolazione e supervisione dei mercati. Secondo il paragrafo 32 degli IAS, recepito dagli organismi comunitari e successivamente dall’Organismo Italiano di Contabilità (➔ OIC), il f. v. è formalmente definito come «il corrispettivo al quale un’attività può essere ceduta o una passività può essere trasferita in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili». Non si tratta necessariamente di un prezzo di mercato, anche se, laddove un prezzo negoziato su mercati ufficiali esista, esso deve essere comunque preso come base della valutazione.