FALANGE macedone
Quando i re macedoni organizzarono come fanteria di linea i contadini del regno, onorandoli del titolo di πεζεταῦροι, compagni a piedi del re, essi adottarono l'ordinanza degli opliti delle città greche, la falange (ϕάλαγξ, v. esercito: Grecia), con alcune modificazioni suggerite e dai progressi che la tattica greca aveva fatto per opera dei mercenari e dal fatto che i fanti macedoni non potevano competere per addestramento e capacità d'iniziativa individuale con gli opliti greci. La falange macedone, perfezionata specialmente da Filippo II, fu perciò congegnata per agire esclusivamente come massa, nell'urto e nella resistenza, e risultò quindi un'ordinanza lineare di fanteria, profonda almeno 8 uomini (la profondità normale delle falangi greche), ciascuno dei quali occupava tre piedi (fra 80 e 90 cm.) di fronte, che potevano essere ridotti, nel caso particolare del συνασπισμός, a 1 1/2.
L'arma principale dei falangiti era la sarissa, un'asta da urto molto più lunga delle aste dei Greci, inservibile quindi per la lotta individuale, ma formidabile se usata in massa. I dati degli antichi sulla lunghezza delle sarisse variano da m. 5,5 a 7; a ogni modo le sarisse protese in avanti e tenute con due mani dagli uomini delle prime cinque file, sopravanzando la prima, formavano una selva di punte sulla fronte della falange: ogni uomo ne aveva cinque dinanzi a sé. Nessun'altra ordinanza permetteva di addensare tante punte d'arma da urto su una fronte di pari estensione. Gli uomini delle ultime file tenevano le sarisse oblique in avanti e in alto, costituendo una protezione contro le armi da getto. Le altre armi del falangita avevano poca importanza: corta spada, piccolo scudo rotondo, di poco più di 50 cm. di diametro, che permetteva l'uso anche del braccio sinistro per impugnare la sarissa, elmo e schinieri, e, probabilmente, corazza di cuoio o di tessuto.
Nella lotta frontale in terreno pianeggiante e aperto, la falange era formidabile: si dice che Paolo Emilio tremò, quando la vide avanzarsi all'attacco a Pidna. Essa era invece impotente contro gli attacchi sui fianchi, che dovevano essere protetti da truppe leggiere e da cavalleria e la cui sicurezza dipendeva perciò dalla forza d'attacco o di resistenza di queste truppe; per compiere qualsiasi movimento di fianco, il falangita doveva raddrizzare la sarissa e rimanere così disarmato (perciò il raddrizzare le sarisse valeva come segno di resa). Inoltre ogni ineguaglianza del terreno e anche un insufficiente addestramento delle truppe, poteva produrre disordine e intervalli nell'ordinanza, che, rotta, era perduta. Vantaggi e difetti della falange in confronto della legione manipolare romana sono magistralmente esposti da Polibio, XVIII, 28 seg.; conquistatrice dell'Oriente, la falange macedone soggiacque alla legione romana alle Cinoscefale e a Pidna e in tutte e due le giornate essa, per circostanze avverse, non poté spiegare la sua potenza d'urto.
La falange di Alessandro non aveva comandante unico e i comandanti delle varie τάξεις che la componevano (6 di circa 1500 uomini al passaggio in Asia, divise in λόχοι e σκηναί o δεκάδες) prendevano ordini direttamente dal re o dal generale preposto temporaneamente a una sezione dell'esercito. Nella battaglia, la falange costituiva il centro dello schieramento, e sebbene l'attacco decisivo fosse riservato di solito alla cavalleria dell'ala offensiva, la falange era chiamata a collaborarvi strettamente attaccando di fronte la linea avversaria, mentre la cavalleria mirava a sfondarla per rovesciarsi poi sul fianco e alle spalle del nemico. Le falangi dei successori di Alessandro divennero sempre più pesanti; la profondità normale fu portata a 16 uomini, e 32 ne aveva la falange di Antioco a Magnesia. Esse perdettero quindi quella mobilità che aveva ancora la falange di Alessandro. Gli scrittori di tattica menzionavano varie manovre che la falange avrebbe dovuto eseguire: marce di fianco, formazione in quadrato, schieramento su doppia linea; ma non sappiamo se praticamente tali manovre potevano essere eseguite con profitto.
Bibl.: H. Droysen, Heerwesen und Kriegführung der Griechen, nella 2ª ed. del Lehrbuch d. gr. Antiq. del Hermann, II, ii, Friburgo in B. 1889, p. 171; J. Kromayer, in Kromayer-Veith, Heerwesen und Kriegführung der Griechen und Römer, Monaco 1928, p. 95 seg.; H. Berve, Das Alexanderreich auf prosopographischer Grundlage, I, Monaco 1926, p. 112 (concitazioni della letteratura più antica); H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, p. 167 e spec. 419 (con ampia polemica e ipotesi troppo audaci); A. v. Domaszewski, Die Phalangen Alexanders und Caesars Legionen, in Sitzungsb. d. Heidelberger Akad., Ph. hist. Kl., 1926.