FALCONE da Benevento
Nacque a Benevento verso la fine del sec. XI, se è da attribuire alla sua mano di notaio, sulla base di riscontri diplomatici e stilistici, un atto redatto nel 1092 che ci è stato conservato nel Chronicon Sanctae Sophiae (V, 13). Autore di una cronaca della città di Benevento nella prima metà del sec. XII, F. è da considerare, con il genovese Antonio Caffaro, suo contemporaneo, il più antico autore laico di una cronaca cittadina dell'Italia medievale.
La sua attività di notaio e di scriba del sacro palazzo di Benevento è documentata fino al 1134, quando, secondo la sua stessa testimonianza, fu nominato giudice.
Nella documentazione beneventana della prima metà del sec. XII è stato possibile individuare alcune pergamene da lui rogate. Esse sono attualmente conservate nel Museo del Sannio (Fondo S. Sofia, vol. 12, n. 36, a. 1107, e n. 38, a. 1118; vol. 28, n. 7, a. 1118; vol. 34, n. 3, a. 1122); nell'Archivio Aldobrandini, già presso la Biblioteca apostolica Vaticana, ora a Frascati (Documenti storici, vol. 1, n. 40, a. 1109; n. 45, a. 1115; n. 8, a. 1119-1124; n. 57, a. 1127); nell'Archivio segreto Vaticano (A.A. Arm. LXVIII, 4999, nn. 4 e 6, a. 1127), nell'Archivio dell'Abbazia di Montevergine (perg. n. 166, a. 1128). In un documento del codice Vat. lat. 13491, n. 14, a. 1115, F. appare come semplice teste.
Durante la sua quarantennale attività di notaio e di scriba F. fu testimone e protagonista attivo della vita politica e civile della città di Benevento e lasciò nel suo Chronicon una serie di riferimenti della sua presenza e della sua partecipazione agli avvenimenti narrati che ci permettono di tracciare un suo profilo biografico.
Gli anni del pontificato di Pasquale II (1099-1118) furono decisivi per l'organizzazione dell'amministrazione pontificia di Benevento: il pontefice stabilì che spettasse alla Curia romana la nomina dei rettori della città. Nel 1113 i Beneventani elessero, senza il permesso della Curia, un nuovo rettore: contro questa decisione molti cittadini "quorum mens erat sanior", tra i quali F., richiesero l'intervento del papa, che, giunto a Benevento, decise per la repressione.
I mesi successivi videro la città dilaniata da una lotta intestina tra l'arcivescovo Landolfo e il connestabile Landolfo della Greca. Alla fine, nell'ottobre 1114, l'arcivescovo fu deposto da papa Pasquale II in un concilio tenuto a Ceprano. F., che sembra aver tenuto una posizione neutrale, chiamò "Iddio a testimone di narrare soltanto ciò che ho visto, e di scrivere solo ciò che ho ascoltato"; è molto probabile che egli abbia partecipato al concilio.
Landolfo fu reintegrato nella sua dignità da papa Pasquale II l'11 ag. 1116, e il suo ritorno a Benevento segnò l'inizio, molto probabilmente, dei lavori per la costruzione del nuovo episcopio, che comportarono lo spostamento di alcuni altari, con la conseguente necessità di riesumare le reliquie di alcuni santi. Nel maggio del 1119 l'arcivescovo effettuò l'esumazione ed espose le ossa alla venerazione dei cittadini, tra i quali, ricorda F., "anch'io, indegno uomo, le ossa di quei Santi ho baciato".
In qualità di notaio e di scriba del Sacro Palazzo F. ebbe assidui contatti con le fondazioni monastiche beneventane e fu chiamato a partecipare ad alcuni momenti importanti della loro vita. Ad esempio, fu certamente presente nel luglio 1120 all'elezione del nuovo abate di S. Sofia, Giovanni Grammatico, perché ricorda che "innanzi a tutti noi, gridava di essere indegno di tanto onore, e perciò infelice". Fu anche presente nel 1121 alla consacrazione di Bethlem, la nuova badessa del monastero di S. Maria di Porta Somma, da parte dell'arcivescovo Roffredo. Partecipò, infine, subito dopo, alla stesura del "libellus iudicii" che pose fine a una lite giurisdizionale intercorsa tra la stessa Bethlem e Agnese, badessa del Monastero di S. Pietro Apostolo.
Furono anni difficili per Benevento, stretta nella morsa dei baroni normanni che avevano imposto una serie di tributi. Anche la lotta tra le fazioni normanne fu aspra e, pur non vedendo una partecipazione diretta dei Beneventani, indusse talvolta costoro ad essere presenti ad alcuni avvenimenti particolarmente significativi. Il 12 maggio 1121 fu ucciso Roberto di Montefusco ed il suo corpo fu tagliato a pezzi presso Benevento. F., insieme con altri cittadini, corse a vedere e annotò nella Cronica la sua emozione. Nel 1122 il conte Giordano di Ariano fu finalmente vinto dal duca Guglielmo d'Altavilla: la sua sottomissione avvenne alla presenza del cardinale Crescenzo, rettore di Benevento, e di molti beneventani, tra i quali F., che vide il conte, prostrato ai piedi del duca, domandare misericordia.
Nel 1124 e nel 1125 la vita di Benevento fu scossa da due avvenimenti eccezionali: nel primo anno, nel proseguire i lavori per la costruzione del nuovo episcopio, si ebbe necessità di rimuovere l'altare sotto cui era la tomba del santo arcivescovo Barbato, patrono della città. F. partecipò attivamente all'esumazione delle ossa; tra i primi a baciarle, fu tra coloro che corsero a constatare alcuni miracoli operati dal santo. L'11 ott. dell'anno successivo un eccezionale terremoto sconvolse il Beneventano, cogliendo i cittadini nel sonno. T. si lascia andare ad ampie e suggestive descrizioni, dando prova di raffinate capacità narrative, ed offrendo, al tempo stesso, uno spaccato della vita quotidiana e della pietà religiosa della città di notevole interesse.
Agli importanti avvenimenti degli anni seguenti, che videro la morte del duca Guglielmo 11 (1127), la successione nel ducato di Puglia del conte Ruggiero d'Altavilla (1128) e la fondazione del Regno di Sicilia (1130), non è segnalata in alcun caso una partecipazione diretta di F., che narra tutto attraverso delle testimonianze indirette. Il campo di azione di F. rimase ristretto alla città di Benevento, dove egli nel 1129 annotò di aver partecipato all'esumazione delle ossa di alcuni santi e di averle baciate con devozione.
Il 1130 fu un anno cruciale per Benevento: la città fu al centro della lotta tra Innocenzo II e l'imperatore Lotario II da un lato, e l'antipapa Anacleto II e Ruggiero II dall'altro e, pur essendo la roccaforte degli anacletiani, vide crescere nel suo seno un forte partito di opposizione all'Altavilla.
F. non si schierò con alcuna delle due fazioni e conservò la sua posizione neutrale per alcuni mesi, fino al luglio 1132, quando apparve chiaro a tutti che i patti giurati dai Beneventani con il re di Sicilia equivalevano ad una perdita della libertà cittadina. A questo punto F. passò apertamente con il partito innocenziano, partecipò attivamente alla cacciata di tutti gli esponenti del partito dell'antipapa e si adoperò perché facesse il suo ingresso in Benevento il cardinale Gherardo. Si giunse così all'aprile del 1133, quando una delegazione beneventana si recò a Roma per incontrare papa Innocenzo e l'imperatore Lotario. Uno dei risultati di questa ambasceria fu la nomina di F. a giudice di Benevento.
Le fortune degli innocenziani ebbero breve durata. Ritornato nella primavera del 1134 sul continente dopo aver trascorso l'inverno in Sicilia, Ruggiero affrontò con vigore tutti i suoi nemici, costringendo il principe Roberto di Capua alla fuga e il conte Rainulfo d'Alife alla resa. In Benevento il partito antinormanno ebbe la peggio, ed i suoi esponenti, più di mille, tra i quali il connestabile Rolpotone, furono costretti ad andare in esilio a Napoli: tra costoro vi era anche Falcone.
F. restò in esilio fino al 1137, quando riuscì a rientrare in patria, approfittando della discesa dell'imperatore Lotario nell'Italia meridionale. In tale circostanza, infatti, i Beneventani, abbandonando re Ruggiero, giurarono nuovamente fedeltà a papa Innocenzo. Nella sua città F. svolse immediatamente un ruolo importante: accolse con i dovuti onori l'imperatrice Florida e il pontefice Innocenzo; si adoperò poi perché l'imperatore liberasse i Beneventani da tutti i tributi imposti dai Normanni. Il 7 settembre si recò presso l'accampamento imperiale, posto a ridosso delle mura della città, per ricevere il giuramento dei baroni.
L'improvvisa partenza dell'imperatore riportò la situazione politica di Benevento al punto di partenza, ma con qualche significativa novità. Il partito filo-normanno ebbe nuovamente il sopravvento, ma questa volta si cercò di raggiungere un compromesso con la parte avversa. Ruggiero, aderendo alla richiesta dell'arcivescovo Rossemanno, confermò ai Beneventani l'esenzione dai tributi che per il passato avevano pagato ai Normanni.
La morte di Anacleto il 25 gennaio del 1138 e la pace stabilita da papa Innocenzo con re Ruggiero cambiarono nuovamente lo scenario politico. La monarchia si era ormai saldamente costituita e il re, pur avendo rinunciato ad annettersi Benevento, cercava di esercitarvi una sorta di protettorato. F. fu ben consapevole di tutto ciò, e lo mise ben in evidenza nella sua cronaca, che, purtroppo, si interrompe mutila all'anno 1140.
La documentazione superstite relativa all'attività di F. in Benevento ci consente di affermare che essa si protrasse fino al 1143. Egli, infatti, autenticò le seguenti carte: Benevento, Museo del Sannio, Fondo S. Sofia, vol. 13, n. 4, a. 1137; vol. 13, n. 7, a. 1142; vol. 10, n. 3, a. 1142; vol. 2, n. 7, a. 1143; vol. 13, n. 6, a. 1143; Montevergine, Archivio dell'abbazia, perg. 255, a. 1140. È stato, inoltre, possibile stabilire che nel monastero cistercense di S. Maria della Ferraria, presso Vairano, nell'attuale provincia di Caserta, si conosceva una copia della Cronica di F. più ampia di quella che ci è pervenuta. Infatti, il monaco che scrisse nel sec. XIII la cronaca di questo monastero utilizzò l'opera di F. per notizie che vanno fino all'anno 1144.
È da ritenere che F. sia vissuto fino a dopo il 1154, fin dopo, cioè, la morte di re Ruggiero. A questa conclusione si è indotti da un passo del Chronicon all'anno 1133, dove F. accusa il cardinale Crescenzo, il rettore anacletiano di Benevento, di aver operato in modo da sottomettere la città alla crudeltà di re Ruggiero "di esecranda memoria".
I commentatori di F. hanno attribuito alla parola "memoria" il significato di "reputazione". Questa ipotesi non è accettabile perché il vocabolo, che è presente in dodici passi del Chronicon: aa. 1119, 1121, 1125, 1127 (tre volte), 1131 (due volte), 1132, 1133, 1137 (due volte), non ricorre mai con questo significato. Ad esempio, allo stesso anno 1133 il connestabile di Benevento comanda che Giovanni di Lepore, un fautore del cardinale Crescenzo, "virum nefandae memoriae", sia seppellito in un fosso col capo all'ingiù ed i piedi in alto. D'altra parte, vi sono anche altri luoghi della Cronica da cui è possibile ritenere che F. abbia scritto in epoca posteriore ai fatti narrati, ovvero abbia apportato delle aggiunte ad un testo scritto in precedenza. Ad esempio, all'anno 1130 ricorda che fu ferito Giovanni "Iocularius", aggiungendo che egli visse poi molti anni ("qui plures postea advixit annos"); all'anno 1131 annota che il principe Roberto di Capua, contrariamente a quanto avvenne poi, allora ("tunc:") era fedele a papa Anacleto.
Allo stato degli studi è possibile ritenere verosimile l'ipotesi del Loud, secondo la quale F. non ha scritto la sua opera né anno per anno, ne in una sola volta, ma per sezioni ed in tempi diversi, a partire da un anno di poco anteriore al 1127.
Il discorso relativo alle strutture formali della cronaca falconiana deve essere necessariamente articolato, perché possano emergere le caratteristiche peculiari del dettato del giudice beneventano.
Per quanto riguarda l'aspetto morfologico, va detto che il latino del Chronicon presenta strutture ancora essenzialmente classiche (dal punto di vista ortografico, fenomeno di rilievo è soprattutto la scomparsa del dittongo ae all'interno di parola). Sono però presenti alcuni fenomeni morfologici (comunque quantitativamente ridotti) tipici di un latino più tardo. Ad esempio, si riscontrano numerose oscillazioni della desinenza dell'ablativo singolare della terza declinazione; oppure la presenza di antroponimi o toponimi in forma indeclinabile; come pure non sono del tutto assenti sostantivi eterocliti, o superlativi strutturati in forma perifrastica. Accanto a queste strutture che si alternano a quelle "normali" corrispondenti sono presenti poi numerose vere e proprie deviazioni dalla grammatica normativa classica, che finiscono col conferire una sostanziosa varietà all'impianto morfologico del testo; si tratta di fenomeni, naturalmente, comuni all'interno dei mutamenti subiti dal latino nel corso dei secoli medievali, quali ad esempio l'utilizzo intransitivo di verbi transitivi (e viceversa), oppure l'uso di intransitivi con reggenze di casi diverse da quelle di uso "classico"; anche l'uso "improprio", di "suus", "eius", "sui" è caratteristico del latino falconiano insieme con un particolare tipo di concordanza del verbo, che prevede forme singolari in corrispondenza di pluralità di soggetti (in concordanza, dunque, solo con il primo di essi). Ciò che comunque e da questo punto di vista maggiormente evidente è l'uso tutto particolare delle preposizioni: sono soprattutto i complementi di luogo a presentarsi sotto forme decisamente "non classiche".
Povero ed assai ripetitivo si presenta, nel complesso, il vocabolario di F. (anche se una delle cifre stilistiche del Chronicon può essere senz'altro indicata nell'endiadi). Questa scarsa ricchezza del parco lessicale è dovuta soprattutto ad un uso sinonimico di svariati sostantivi, avverbi ed aggettivi, che ritornano pertanto ad esprimere concetti diversi (molti avverbi, in particolare, risultano del tutto pleonastici); questo fenomeno è particolarmente evidente, ad esempio, nelle scarne e standardizzate formule che servono alla rappresentazione dei personaggi, soprattutto di quelli minori ("vir valde venerabilis", "vir prudens", "discretus", ecc.), che non dicono assolutamente nulla in quanto a caratterizzazione psicologica; nell'assai ristretto campo semantico "militare" con pochi termini ripetuti centinaia di volte ("miles", "pedes", "exercitus", ecc.); in un uso pesantissimo dei deittici, che finiscono col ricorrere con valore di pura ridondanza ("ipse" ed "ille", soprattutto). Per quel che riguarda la derivazione di questo impasto linguistico, accanto ad una sostanziosa base di vocaboli in accezione "classica", sono presenti ovviamente, ed in maniera consistente, prestiti attinti al serbatoio lessicale cristiano, ed infiltrazioni della lingua madre.
Per la sintassi è possibile affermare, nel complesso, che essa non si presenta come paratattica, anche se non mancano naturalmente periodi con questo andamento. Anche se non paratattico, comunque, il periodo falconiano appare, dal punto di vista del rapporto fra principali e subordinate, come complessivamente ripetitivo; vario è, viceversa, nella combinazione delle varianti congiunzioni/modi e tempi del verbo, combinazione assai spesso di tipo decisamente "non classico". La ripetitività è dovuta in maniera particolare alla profusione di formule di preterizione del tutto pleonastiche; molto frequente anche l'uso del participio congiunto. Una maggiore varietà, come detto, nella costruzione verbale delle proposizioni dipendenti (soprattutto oggettive, dichiarative, finali ed interrogative indirette), che si presentano introdotte da congiunzioni, modi del verbo e, soprattutto, di tempi, spesso intercambiabili. Ma la sintassi del testo diventa, a tratti, anche complicata, soprattutto a causa di inaspettati scarti di nesso sintattico ai limiti del vero e proprio anacoluto; di rilievo in questo senso i passaggi repentini da discorso indiretto a diretto e viceversa.
Nel complesso le "variationes" morfologiche e sintattiche riescono a rendere lo stile falconiano per larghi tratti mobile e vivace (effetto, questo, frenato, come detto, soprattutto dalla standardizzazione di certe strutture sintattiche e di un vocabolario complessivamente povero). Concorrono a questa generale impressione di vivacità, comunque, pure la grandissima alternanza di tempi verbali - anche all'interno del medesimo periodo -, che libera il testo, molto lungo, dalla rigidità di una narrazione tutta al perfetto, ed il ricorso corposo a forme di espressione diretta, come grida popolari, veri e propri discorsi sul modello liviano, minacce, insulti (da segnalare senz'altro il vivissimo contraddittorio al processo, tenuto durante il concilio di Ceprano, fra papa Pasquale e l'arcivescovo beneventano Landolfo).
Il "fuoco" della narrazione è, naturalmente, il punto di vista dell'io narrante rappresentato dall'autore-personaggio (da valutare bene, in questo senso, l'alternarsi delle prime persone, singolare e plurale, usate per indicare gli interventi diretti di questo personaggio nelle vicende narrate). Questa presenza, però, è foriera anche di risvolti negativi per la narrazione stessa; in particolare risultano ripetitivi e cristallizzati (sintatticamente e lessicalmente) sia i frequenti appelli al lettore, con cui l'autore cerca di coinvolgere questo nei risvolti emozionali delle vicende, sia la banale ieraticità dei ripetuti giuramenti sulla divinità relativi alla veridicità delle cose raccontate, sia le preghiere ingenue e retoriche di cui il testo è costellato. D'altro canto la presenza del personaggio-autore nella narrazione è utilissima, perché esso si preoccupa più volte di riportare ed indicare con cura la qualità e la natura delle sue fonti. Più di una volta egli ci informa che a determinati eventi ha assistito di persona, altre volte lo si evince dal contesto. La sua precisione di storico è da individuare anche nella gran quantità di date, pressoché sempre precise, e la citazione, data talvolta anche per testuale, di lettere, documenti giuridici ed epigrafici, che conferiscono vieppiù al suo testo sostanza storiografica. L'azione e la prospettiva da cui si accede ad essa si allontanano difficilmente da Benevento (o da Napoli nel periodo in cui il giudice vi fu esule); ma anche quando questo succede è perché in quel caso F. ha potuto attingere a notizie di prima mano (è il caso, ad esempio, della legazione a Pisa del principe Roberto di Capua).
Fra le fonti scritte utilizzate da F. è certamente da annoverare il testo comune alla base delle attuali redazioni degli Annales Beneventani (fino all'anno 1112 compreso, come dimostrato da O. Bertolini). Meno semplice il discorso sui modelli letterari. Si può comunque affermare che sono pochi i classici che dovettero far parte della biblioteca del giudice beneventano; più che altro c'è da far riferimento al milieu della cultura beneventana così come ricostruito da E. A. Lowe: fra gli storiografi Orosio, Gregorio di Tours con l'Historia Francorum, Beda con le sue opere storiografiche, l'Historia tripartita (e le Institutiones) di Cassiodoro; forse, poi, Giordane. A questi vanno aggiunte naturalmente le Scritture, e poi qualche autore della letteratura cristiana latina, fra cui Giovenco, Tertulliano, ecc. Con nessuno di questi scrittori, però, è possibile individuare nel testo di F. dei precisi riscontri linguistici.
I giudizi fin qui espressi dalla critica sullo stile di F. sono complessivamente unanimi, e si esprimono in chiave di una sua rozzezza, incuria ed ineleganza. Disaccordo emerge, viceversa, sulle qualità della sua narrazione: il Pagano e la Gervasio, ad esempio, ne lodano la vivacità e la freschezza, dovute soprattutto alla "sincerità" ed "ingenuità" del cronista beneventano; di segno opposto il parere del Paratore, che parla di un atteggiamento stilistico e culturale antiquato, e di uno stile tutto "istintivo, non retorico-classico". Certo è che il Chronicon risulta a tratti monotono, sotto tutti i punti di vista, sia formali sia contenutistici. D'altra parte, per essere la sua un'opera, nei fatti, annalistica, non può non rilevarsene una ricchezza ed una varietà di toni senz'altro non comune: da quelli foschi e cupi a quelli ridenti, da quelli realistici a quelli entusiastici e trasognati, a quelli disperati. I dialoghi in particolare, come detto, sono animatissimi; il Pagano parla di una vera e propria narrazione "novellistica", che fa accostare il testo a quel vero e proprio "piacere della narrazione", tipico di tanta letteratura di rilievo del XII secolo. Sfuggendo a queste posizioni estremistiche, è possibile dire che F. è narratore efficace, con uno spiccato amore per l'aneddoto, abile a descrivere scene movimentate e vivaci: basta ricordare le sue descrizioni delle grandi processioni e cerimonie religiose, o alcune scene di morte crudissime, o ancora l'episodio dell'entrata di Ruggiero II a Trani, oppure infine la drammatica sequenza della profanazione della tomba e del cadavere di Rainulfa d'Alife voluta da Ruggiero come condizione per accettare di mettere piede in Troia. E questa vena narrativa trova riscontro nella elevata concezione della funzione dello scrittore che F. mostra dì avere: più di una volta infatti egli rivela l'apprensione di annoiare il lettore, ed anche una precisa coscienza dei limiti della sua operazione storiografica, con il rinvio alle fonti dirette di documenti che egli reputa "fastidioso" trascrivere nel suo libellus. Certo esagera ancora il Pagano quando afferma che lo spirito dell'opera falconiana è più vicino all'opera d'arte che alla storiografia; comunque, anche se non è un Ugo Falcando, F. è certamente lontano anche dall'arido modus exponendi di un Romualdo, e dai toni sottili della capziosa e sofisticata monografia dell'abate di Telese.
I codici superstiti che tramandano il testo di F. sono in tutto quattro: due conservati nella Biblioteca ap. Vaticana (Barb. lat. 2330, 2345) e due nella Biblioteca nazionale di Napoli (S. Martino 66, 364). Discendono tutti, in maniera diretta o indiretta dalla copia, oggi perduta, che intorno al 1530un cittadino beneventano, Giulio del Sindico, esemplò da un libellus in caratteri beneventani, assai verosimilmente del XII secolo, molto deteriorato e di difficile lettura (e anch'esso perduto). L'editio princeps, dalla quale dipendono tutte le altre edizioni a stampa, risulta scostarsi in numerosi e a volte rilevanti punti dal testo ricostruibile sulla base della tradizione manoscritta.
Edizioni: L'editio princeps della Cronica di F., in A. Caracciolo, Antiqui chronologi quatuor, Neapoli 1626, pp. 179-343; per le successive edizioni si veda Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, s. v. Falco Beneventanus. è in corso di elaborazione una nuova edizione a cura di E. Cuozzo-E. D'Angelo.
Fonti e Bibl.: Su F. e la sua attività, vedi K. A. Kehr, Ergänzungen zu Falco von Benevent, in Neues Archiv, XXVII (1901), pp. 447-472; O. Bertolini, Annales Beneventani, in Bull. d. Ist. stor. italiano, XLII (1923), pp. 39-42 (per il confronto con gli Annales Beneventani); O. Vehse, Benevent als Territorium des Kirchenstaates bis zum Beginn der avignonesischen Epoche, in Quellen und Forschungen aus ital. Archiven u. Bibl., XXII (1930-31), pp. 117 ss.; F. Chalandon, Histoire de la domination normande, I, Paris 1907, pp. XLIXLVI; A. Pagano, Di F. Beneventano e della sua cronaca, in Studi di letteratura latina medievale, Nicotera 1931, pp. 179-230; E. Gervasio, F. Beneventano e la sua cronaca, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, LIV (1939), pp. 2-129; E. Paratore, Osservazioni sugli scrittori dell'età di Ruggero II, in Atti del Convegno internazionale di studi ruggeriani, Palermo 1955, pp. 167-181; C. Brühl, Diplomi e Cancelleria di Ruggero II, Palermo 1983, pp. 85-92; G. Loud, The genesis and the context of the Chronicle of Falco of Benevento, in L'età dei Normanni (XVBattle Conference on Anglo-Norman Studies), Woodbridge 1993, pp. 177-198.