FALCONERIA (fr. fauconnerie; sp. halconería; ted. Reiherbeize, Falknerei; ingl. falconry)
Molto si è discusso sull'origine della caccia col falco. V'ha chi la ritiene d'importazione germanica, allegando fra l'altro per il termine "falco" un etimo germanico (ant. norv. falki; ant. alto ted. fallako "che cade"; ted. mod. fallen "cadere"). Questo vocabolo troviamo già in un passo molto discusso di Firmico Materno (anno 340), e altri ritiene probabile che si ricolleghi al lat. false (perché il falco ha gli artigli ricurvi). Dato che il passo di Firmico sia (come altri vuole) una falsificazione, resta sempre che la voce è nota ai glossatori e grammatici latini. Per testimonianza di Marziale si sa che questo genere di caccia non era sconosciuto ai Romani, che però al falco davano il nome di accipiter (donde il tosc. accertello), mentre astore è di provenienza francese, così come avviene per altre denominazioni di uccelli da preda (per es. sparviere) e per varî termini di caccia.
Sia o no di origine germanica, questo esercizio o questa occupazione divenne un privilegio della classe signorile durante il periodo feudale. E ciò primamente in Francia dove fu tenuta la caccia al falco in grande onore. Non v'ha dubbio che questa caccia abbia avuto grande voga in Italia per l'influsso della moda d'oltralpe. La legge più antica sui falchi da caccia è data in Italia da un capitolare di Ludovico il Pio dell'a. 818: "In composizione guidrigild volumus ut dentur, quae in lege continentur, excepto ancipitre et spata". L'eccezione del falco, insieme con la spada, ci dice che questo uccello da preda doveva avere un valore addirittura inestimabile. All'influsso di Francia va aggiunta l'efficacia di costumanze arabe. È noto il nome del falconiere Guglielmo alla corte di Ruggero re di Sicilia. D'altro lato, alla corte di Federico II furono letti e apprezzati i trattati di falconeria, attribuiti agli arabi Ghatrif e Moamin, che furono tradotti dal latino in francese, per desiderio di re Enzo, da certo Daniele di Cremona. In questa versione, il prologo dice così: "Puisque missire li nobles rois Henri de Sardeigne deigna voloir et a lui veint a plaisir de semondre moi Daniel de Loc, qui fui de Cremone nez, que ie doie moi entremetre de translatier de latin en françois un sien livre que traite des generations e des costumes, des natures e des mecines des ossieas qe vivent de rapine....". S'impara poi che il primo traduttore in latino era stato il ben noto filosofo di Federico II, cioè Teodoro. Come si curino i falchi, come si preservino da malattie (in particolare degli occhi), quali siano i medicamenti necessarî, son tutte cose che costituiscono l'argomento di questi trattati, che per fama non poterono certo gareggiare con altri due tradotti presto in varie lingue, vogliam dire: quello attribuito a un leggendario Re Danco e quello composto dallo stesso imperatore Federico II e intitolato: Tractatus de arte venandî cum avibus. Nel prologo l'imperatore dichiara che il libro è stato scritto per Manfredi (il quale fece, a sua volta, aggiunte al trattato paterno) e che il progetto di scriverlo fu da lui accarezzato per trent'anni. E poiché vi fa menzione del suo viaggio in Oriente (1228) non v'ha dubbio che Federico abbia dato termine alla sua opera poco prima della morte (1250). Fra le traduzioni francesi, meritano un cenno una fatta per Giovanni di Dompierre (morto nel 1308) e una seconda per Luigi di Bruges, signore di Gruthuyse. Risulta da varî documenti che l'imperatore Federico II aveva presso di sé un buon numero di Falconieri, di cui si conoscono i nomi: maestro Gualtiero e maestro Guglielmo "anglici", maestro Sardo, ecc. Amantissimo della caccia, nel suo libro De arte venandi non si accontenta di riferire le opinioni altrui, ma ci dà i risultati della propria esperienza. Così dopo aver detto come praticavano il logoro in Inghilterra ("non vociferant.. et loyrum prohiciunt in altum recte et postquam ceciderit in terram iterum prohiciunt in altum"), aggiunge un capitoletto intitolato "quod nobis videtur" per sostenere che "melius est vociferare loyrando".
Altri testi da ricordare sono per la Francia il Livre du Roi Modus et de la Reine Raison e Los auzel cassadors del provenzale Dande de Poudas, e per l'Italia il "Libro di Gandolfo Persiano" (dal titolo: Delle medesine dei falconi) e un interessante trattato di falconeria edito dal Cerutti, per non parlare di ciò che ci dice Brunetto Latini nel suo Trésor.
La caccia col falco appare in Italia sviluppatissima nei secoli XII-XVI. L'usanza di offrire, da parte dei vassalli, uno o più falchi al feudatario, è confermata da molti documenti e si protrasse sino al periodo del Rinascimento, quando invalse il costume d'inviare in dono, da corte a corte, i falchi più belli e preziosi. Le cacce col falco e col leopardo erano uno dei maggiori passatempi delle corti più lussuose e non c'era principe o signore che non menasse vanto dei proprî falconi e dei proprî falconieri. La corte degli Sforza e quella degli Estensi erano, si può dire, celebri per l'allevamento di questi uccelli di rapina. Nessun regalo era tanto gradito a Borso d'Este quanto un falco bene addestrato. Alfonso I mandò più volte falchi e altri "oceli" da preda in dono a principi e a cardinali. Nel 1541 il duca di Ferrara "spacciò" tre falconieri in Francia per presentare falconi al re e al cardinale di Lorena (Archivio estense: Autentico A). Nel 1545 un gentiluomo spagnuolo (di cui il documento tace il nome) venne a Ferrara mandato dall'ill. mo Di Anguillara "per imparare de andare a falcon", cioè per imparare a cacciare col falco (Arch. est.: Conto generale, 1545)
Il più ambito degli uccelli di caccia era il girifalco, la cui denominazione si trova, prima che in Italia (usata la prima volta da Federico II nel suo trattato), in Francia (gerfalc, gerfant, ecc.), donde venne anche il nome di laniero, altra specie di falcone. Del termine sparviere e della sua provenienza francese (da un germ. sparawari) e di astore abbiamo già accennato. Un'altra specie di falco molto stimata era il sacro o sagro (voce di orgine araba).
I vocaboli spettanti alla caccia col falco sono quasi tutti di origine francese. Così ledro (un pezzo di cuoio a foggia di uccello che si gettava in alto per richiamare il falco) dal franc. leurre, mentre la voce logoro, che ha la stessa origine di leurre (germ.-franco lothr) è il termine veramente italiano. Così geto (striscia di cuoio con cui si legavano i piedi al falco quando lo si portava sul guanto prima d lanciarlo al volo) che rispecchia il fr. get. È poi di origine provenzale il termine muda. E di derivazione francese è anche la voce ramingo, che pare essere stata detta dapprima del falco ed è venuta poi ad altra accezione com'è accaduto di codardo, falco dall'ampia coda (fr. couart) e perciò poco atto alla caccia. Anche il laniero era un falco troppo pennuto e poco ardito e valente. Onde laniero è passato al senso di "vile, meschino, dappoco" (p. es. in Chiaro Davanzati e in altri antichi).
La falconeria dei nostri giorni. - I falconi usati dai tempi più remoti fino a oggi, appartengono tutti a due solamente dei nove generi di cui si compone la grande famiglia dei falconidi, e cioè al genere dei "falconi" e al genere degli "accipitrini". Accentuate differenze di forma e struttura intercorrono fra un genere e l'altro, e a esse fanno riscontro diversità nella maniera di predare. I falconi si chiamano falchi "di alto volo" perché insidiano da grandi altezze. Si dice che "volano a monte" quando s'innalzano descrivendo ampî cerchi, e altissimi si librano in attesa della preda, sulla quale si abbattono fulmineamente. Si chiamano pure falchi "da logoro" perché con questo (v. sopra) si addestrano, si guidano e si riprendono. Prototipo del genere è il falcone, o "pellegrino". Gli accipitrini invece, per la forma delle loro ali, non possono "volare a monte". Di regola, per ghermire, essi partono da un punto sul quale erano posati in osservazione, compiendo ciò che in falconeria si chiama salto". Questo può avvenire in basso, orizzontalmente, oppure in alto, e il falco lo eseguisce slanciandosi all'ingiù, per risalire descrivendo una curva che finisce con l'incontro, e con la presa, del volatile fuggitivo. Gli accipitrini si chiamano falchi "di basso volo" e anche falchi "da pugno" perché il loro addestramento si fa lasciandoli andare e richiamandoli sempre al pugno. Prototipo del genere è lo sparviere (astur nisus). Altra differenza tra falconi e accipitrini sta nel modo di uccidere la preda. I falconi uccidono per urto, colpendo con estrema violenza; gli accipitrini uccidono per compressione, con la morsa delle loro dita unghiate.
I falchi da caccia comprendono specie grandi: falcone di Groenlandia, o falcone bianco (falco candicans), falcone d'Islanda (falco islandicus), girifalco (falco gyrfalco), falcone sacro (falco sacer); medie: lanario (falco lanarius), falcone, o pellegrino (falco peregrinus), shahin (falco atriceps); piccole: smeriglio (falco aesalon). Gli accipitrini comprendono: l'astore (falco palumbarius) e lo sparviere (astur nisus).
Dopo gli splendori ch'ebbe nel Medioevo e nel Rinascimento, molte e varie cause infersero un colpo mortale alla falconeria. Nondimeno alcuni amatori ne hanno, in Italia, Germania, Olanda, Francia e Inghilterra, conservato le tradizioni. Oggi non si "vola" più con i falconi delle grandi specie, difficili a ottenersi, costosi nel nutrimento e non facili a mantenere "in condizione", ma quasi esclusivamente col pellegrino, che è il falcone più maneggevole e più facile a procurarsi. I pellegrini possono acquistarsi, già mansuefatti o no, da noti falconieri in Inghilterra, Olanda e Francia; possono essere presi non ancora atti al volo, nel nido, oppure catturati con le reti, in autunno, al tempo del passo.
I nidiacei devono essere allevati con cure speciali, tenuti in un cesto aperto, appeso a un albero; o in una stanza, pure aperta, in modo che, non appena atti al volo, possano esercitarvisi con libertà e frequenza. Nei primi tempi non si sperdono né si allontanano di troppo, ma tornano sempre al noto luogo in cui sanno di trovare il nutrimento. Ben presto però incominceranno a tentare la caccia per loro conto, e allora occorrerà riprenderli con una rete, oppure con un nodo scorsoio disposto attorno a un pezzo di carne, e che si chiude mentre i falchi stanno intenti a nutrirsi. Assai più robusti, agili e arditi sono però i pellegrini catturati al tempo del passo, perché cresciuti in assoluta libertà vivendo di prede naturali aspramente contese. Soltanto è opportuno scegliere i nati dell'annata, che si riconoscono al particolare piumaggio. I falconi adulti sono assai fieri, e il loro addestramento riesce molto lungo e penoso.
Sarebbe errore confidare nell'affezione dei falchi e nella loro obbedienza. Essi conoscono benissimo il falconiere, ne accettano e magari ne gradiscono la compagnia e le carezze, ma agiscono e obbediscono sempre e soltanto per fame. Per mantenere il falco in appetito, ma anche in buona salute e condizione, si usa razionarlo, alternando un giorno di "gozzo pieno" con un giorno di "mezzo gozzo": aumentando, poi, o diminuendo secondo il bisogno. Quando, dopo il primo digiuno e la mancanza di riposo, dopo il razionamento, dopo lunghe permanenze sul pugno, con e senza il cappuccio, si sarà raggiunta la sicurezza che esso voli francamente dal pugno a terra e viceversa, e si slanci bramoso sul logoro gettato a distanza, la fase iniziale dell'addestramento potrà considerarsi superata e il falco potrà volare in libertà. Scappucciato e lanciato dal pugno, in campagna rasa, non vedendo il logoro e aspettandolo, il falcone vola attorno al falconiere descrivendo ampî cerchi e innalzandosi. Quando il falco è assai alto si lascia partire un piccione assai menomato nel volo. Il rapace subito piomberà facendo sicuramente preda, sulla quale il falconiere lo lascerà pascersi a volontà. Dopo di questo, il falcone è pronto: gli occorre solo esercizio graduale e frequente per giungere a "volare" con successo il vero selvatico. Per gli accipitrini, astore e sparviere, il sistema di affiatamento è quasi identico. L'unica differenza nel loro addestramento preparatorio sta nell'abituarli e richiamarli, invece che col fischio e col logoro, col fischio e col "tirante" sul pugno. Il tirante è un pezzo di coda di bovino, oppure un'ala di pollo o una coscia di coniglio, scarnita, sulla quale l'uccello tira col becco stringendola con gli artigli, stando sul pugno.
La falconeria è praticata oggi, come si è detto, assai modestamente. solo in Inghilterra si "vola" ancora dai soci dell'Old Hawking Club" la cornacchia: "volo" che richiede spazî vasti e scoperti, e che deve essere seguito a cavallo. Si volano oggi la pernice, la starna, la gazza, con i terzuoli di pellegrino (i maschi dei falchi si chiamano terzuoli perché di 1/3 circa più piccoli delle femmine); il fagiano si vola con la femmina di pellegrino e col terzuolo di astore, col quale si vola pure egregiamente il coniglio selvatico; mentre con la poderosa femmina si vola la lepre. Il piccolo e docile smeriglio fornisce un magnifico alto volo sull'allodola; e preda bene la quaglia. Con lo sparviere maschio, che è piccolissimo, si volano gli uccelletti lungo le strade; e con la femmina audace e impetuosa si catturano quaglie, beccacce e anche starne. Tra i falchi da pugno per il "basso volo" bisogna dare il primato all'astore; questo ha un rapidissimo scatto, pronti rovesci di volo e una presa sicurissima di artigli. L'astore parte dal pugno nell'istante in cui il selvatico parte da terra; insegue, afferra e posa, soffocando la vittima nella stretta. Se manca il colpo, ritorna al falconiere. Con l'astore si "vola" qualunque selvatico; invece il pellegrino, per essere veramente ottimo, deve volare sempre la stessa selvaggina; mentre questo, poi, può tutt'al più fornire tre o quattro voli in un giorno, con l'astore si vola una giornata intera; e, se bene mansuefatto, esso può rimanere anche lungamente inoperoso e pur sempre pronto all'azione.
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