Falconetti, Iacopo, detto il Fornaciaio
Nacque a Firenze il 24 luglio 1483 nel quartiere di S. Spirito, gonfalone della Ferza, da Filippo di Papi e da Margherita di Giovanni di Montauto. I genitori, che oltre al primogenito Iacopo ebbero altri due figli, Bartolomeo e Carlo, godevano di un discreto benessere derivante dal possesso di una fornace di mattoni e calcina, situata in Firenze nel ‘popolo’ di S. Piero a Gattolini, accanto all’abitazione domestica.
L’agiatezza consentì a F. di dedicarsi alla carriera politica: il 15 dicembre 1519 venne infatti estratto per l’ufficio dei Dodici buonuomini (una tra le più alte magistrature cittadine), entrando in carica il 1° gennaio 1520. Il 9 gennaio, tuttavia, fu privato dell’ufficio, ammonito e confinato fuori della città per cinque anni, pena il pagamento di una multa di 500 fiorini d’oro per ogni anno se non avesse osservato il provvedimento (le ragioni di tale provvedimento non sono note, anche se, presumibilmente, non furono legate a motivi politici, bensì a vicende di carattere privato). Il 10 gennaio 1520 F. si stabilì nella sua villa di S. Maria a Verzaia, fuori della porta S. Frediano, dove rimase per tutto il periodo stabilito nella condanna. Allo scadere del quinto anno, il 13 gennaio 1525, venne prosciolto dal bando di proscrizione e riammesso alla vita pubblica.
Per celebrare degnamente l’avvenimento, il giorno stesso F. organizzò nella sua villa una festa sontuosa, alla quale parteciparono numerosi esponenti della ricca borghesia fiorentina e, soprattutto, come ricorda Donato Giannotti, tutti i primi cittadini della città e i più onorati dello Stato, fra i quali vi erano Ippolito e Alessandro de’ Medici. Per l’occasione, in onore dell’amico, M. fece rappresentare per la prima volta una sua nuova commedia, la Clizia (→). Una testimonianza sui rapporti esistenti tra F. e M. e sugli incontri di quest’ultimo con la giovane cantatrice Barbara Salutati nella casa dell’amico è data da una lettera di Francesco Vettori, ambasciatore a Roma presso il pontefice Clemente VII, scritta il 5 febbraio 1524 a Francesco Del Nero a Firenze, in cui si raccomandava all’amico Niccolò, rallegrandosi che il suo nuovo amore e i conviti del ‘fornaciaio’ lo distogliessero dalle preoccupazioni politiche.
La festa riscosse un grandissimo successo, grazie anche alla rappresentazione della Clizia, per l’allestimento scenico della quale F., non badando a spese, richiese l’opera di Bastiano da Sangallo, detto Aristotele, che nel 1520 aveva già curato la messa in scena della Mandragola. Così Filippo de’ Nerli, scrivendo a M. il 22 febbraio da Modena, dove era governatore, lo elogia insieme con il Fornaciaio sulla base delle notizie diffusesi circa la «magnificentia» della festa e della rappresentazione teatrale.
Nel 1525 F. ritornò alla vita politica, partecipando allo scrutinio generale per l’ufficio dei Provveditorati. Sulla sua attività in questi anni non si hanno ulteriori notizie. Si sa tuttavia che continuò il rapporto di amicizia con M.: lo testimonia una lettera scritta da F., da Firenze, il 5 agosto 1526 a M., che si trovava presso il campo della lega di Cognac vicino a Milano, nella quale gli dà rassicuranti notizie di Barbara.
In seguito, la figura di F. entra definitivamente nell’ombra. Nel 1529 la fornace di sua proprietà, situata fuori della porta S. Frediano, venne distrutta, insieme con altri edifici, durante l’assedio delle truppe spagnole.
Bibliografia: O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, 2° vol., t. 1, Roma 1911, pp. 414 e segg.; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787, pp. 323-27, 358 e segg., 562, 565, 581; R. Zaccaria, Falconetti Iacopo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 44° vol., Roma 1994, ad vocem (cui si rimanda per ulteriore bibliografia).