FALCONETTO (Falconeto, Falconetti)
Famiglia di artisti vissuti quasi sempre a Verona nella contrada della Beverara (o in quelle limitrofe di Ferrabuoi e di S. Zeno) e attivi lungo il corso di ben sei generazioni dal sec. XV ai primi decenni del XVII; in parte menzionati dal Vasari (1568), sono stati oggetto nel nostro secolo di lunghi studi chiarificatori dal punto di vista archivistico (Gerola, 1909; Brenzoni, 1953-1954 e 1972, ecc.), mentre mancano, con l'eccezione di Giovanni Maria (I) e, in parte, di Angelo, concreti elementi dì discussione relativi alla loro produzione artistica, perduta o non ancora recuperata.
Capostipite artistico, ricordato anche nelle Vite vasariane (1568), è il pittore Antonio o GiovanniAntonio (I), figlio di Antonio, documentato negli estimi del 1443, 1447 e 1456; nel 1481, in documenti riguardanti il figlio Iacopo (I) risulta già quondam. Vasari lo dice fratellastro figlio della stessa madre, del ben più famoso Stefano da Verona (Stefano di Giovanni), dal quale avrebbe anzi imparato l'arte risultando però "meno che mezzano dipintore" (p. 589).
Tale rapporto può, forse, trovare una qualche conferma in una serie di problematici disegni d'ambito gotico-cortese per lo più attribuiti a Stefano da Verona (e comunque, se non tutti autografi, pertinenti alla sua cerchia), alcuni dei quali recanti scritte antiche riferite ai F.; "di mano di falconeto", "Stefano falconeto", "Aô (o Giô) Maria Falconeto", oltre ad altre come "Stefanus" e "Questo disegno fo de felipo". I disegni vennero acquistati nel 1905 da Luigi Grassi dalla famiglia Moscardo di Verona, nella cui collezione erano confluiti, quasi certamente, dalla più antica collezione Calzolari: con tali scritte se ne conservano a Parigi (collezione Lugt presso l'Institut néerlandais-Fondation Custodia) e a Vienna (Albertina; Byam Shaw, 1981). Non sembra trattarsi però di vere e proprie firme: tali scritte infatti potrebbero rappresentare antiche expertises, o anche, in alcuni casi, indicare semplicemente gli antichi proprietari dei fogli, essendo possibile che i disegni, comunque siano attribuibili, fossero conservati, forse fino agli inizi del Seicento, presso i F. e poi da questi venduti ai Calzolari. Non si può naturalmente escludere che nel gruppo vadano individuati, oltre ai disegni direttamente attribuibili a Stefano, anche esempi della grafica del fratellastro Antonio e/o degli immediati discendenti. Certo è che la scritta "Stefano Falconeto" riscontrabile in alcuni esempi non sembra riferibile all'omonimo epigono della dinastia (1582-1630), quanto piuttosto o ad un più antico rappresentante della famiglia finora non documentato, oppure a Stefano da Verona stesso, probabilmente conosciuto a qualcuno, a motivo della notata parentela, col cognome Falconetto (un cognome in realtà fissatosi solo a partire dalle carte relative al più tardo Giovanni Maria [I], anche se già nel 1362 un documento ricorda un "quondam D. Falconetto" della Beverara bisnonno di Giovanni Antonio [I]).
Figlio di Giovanni Antonio (I) è il pittore Iacopo (I), nato verso il 1445-1448, documentato nell'anagrafe del 1472, nell'estimo del 1473, in un atto di vendita di un pezzo di terra del 1474, nell'anagrafe del 1481, nell'estimo del 1482, nell'anagrafe del 1491, nell'estimo del 1492, in un documento infine del 1493. Ancora vivo nel 1498, quando è ricordato nell'atto dotale di Elena, figlia di Provalo tessitore, andata in sposa a suo figlio Giovanni Maria (I), risulta quondam nei documenti del figlio a partire dal 1503. Come il padre è ricordato dal Vasari come "similmente ... dipintore di cose dozzinali" (p. 589).
Oltre che di Giovanni Maria (I), Iacopo (I) fu padre di Tommaso e di Giovanni Antonio (II).
Tommaso, pittore, è sconosciuto ai documenti veronesi; di lui si sa unicamente che fu aiuto nel 1507-1508 del fratello Giovanni Maria (I) nell'esecuzione delle ante dipinte per l'organo del duomo di Trento, oggi conservate in quella città nella chiesa di S. Maria Maggiore (Rognini, 1972-1973). È verosimile che, seguendo l'esempio del fratello Giovanni Antonio (II) e di altri parenti, egli abbia svolto attività nel Trentino, sfuggendo così alle capillari ricerche archivistiche veronesi.
Dagli altri due figli di Iacopo (I), Giovanni Maria (I) e Giovanni Antonio (II), discesero due rami distinti della famiglia. Tra i numerosi figli di Giovanni Maria (I), il più famoso rappresentante della famiglia, si distinsero sul piano artistico Provolo, Alessandro e Ottaviano.
Lo stuccatore Provolo, detto "Cottora" come risulta nell'anagrafe del 1545, nacque a Verona verso il 1501-1502. Nelle anagrafi del 1514 e 1517 è documentato a Verona col padre: l'anagrafe del 1517 lo indica peraltro come "scudelarius", cioè fabbricante di ceramiche. I documenti successivi sono di interesse padovano: è verosimile che a Padova sia giunto col fratello Ottaviano già nel 1521, quando il padre vi si trasferì ospite di Alvise Corner.
A Padova dovette essere presente anche nel 1529: in quell'anno infatti il padre è documentato momentaneamente a Verona, nell'anagrafe della contrada di S. Zeno Superiore, ma, tra i figli con lui registrati, notiamo solo Ottaviano, e non Provolo. Certo è che nel 1533 Provolo risulta attivo col fratello come stuccatore nella cappella di S. Antonio al Santo, sotto la direzione del padre (Gonzati, 1852), mentre l'8 dicembre dello stesso anno (Menegazzo-Sambin, 1964) era presente come teste alla stesura di un atto in casa Corner. Agli inizi del 1535, poco dopo la morte di Giovanni Maria (I) e la stesura di un inventario, Provolo ed Ottaviano ricevettero le poche cose lasciate dal padre in casa del mecenate (Lovarini, 1925).
Negli anni 1535-1538, di nuovo a Verona, Provolo è ancora ricordato coi fratelli in relazione all'eredità paterna; nel 1540 è menzionato nel testamento del fratello Ottaviano. Sempre a Verona, con famiglia propria, è documentato nell'anagrafe del 1541, nell'estimo e nella anagrafe del 1545, nel suo primo testamento steso nel 1551, nelle anagrafi del 1555 e del 1557, nell'estimo del 1558 e in un nuovo testamento steso nel 1561 (ultimo documento che lo riguarda).
Suo fratello Alessandro, nato verso il 1503, è documentato in casa del padre nelle anagrafi del 1514 e del 1517: nel 1535, in un documento relativo all'eredità paterna, è segnalato con l'indicazione di pittore, mentre il Vasari lo ricorda come costruttore, in gioventù, di armature; divenuto poi capitano di fanteria, sempre secondo questa fonte, sarebbe morto in combattimento a Torino.
L'altro fratello Ottaviano, pittore e stuccatore, nacque a Verona circa nel 1508: col padre è documentato nelle anagrafi veronesi del 1514, del 1517 (indicato come nullafacente) e del 1529. Quest'ultima segnalazione riguarda probabilmente un suo momentaneo ritorno a Verona in compagnia del padre, col quale potrebbe essersi trasferito a Padova già nel 1521 circa: di sicuro è documentato a Padova nel 1533, quando col fratello Provolo lavorava sotto la direzione paterna nella messa in opera degli stucchi sulla volta della cappella di S. Antonio al Santo (Gonzati, 1852). Sempre col fratello è documentato agli inizi del 1535 a Padova, in casa Corner, dove ricevette le poche cose lasciate dal padre da poco defunto (Lovarini, 1925). Ancora in relazione all'eredità paterna è documentato a Verona, coi fratelli, negli anni 1535-1538: fece testamento nella città natale nel 1540 ed è questa l'ultima notizia che lo riguarda.
In relazione all'attività di Provolo e Ottaviano come stuccatori, merita un cenno anche il fatto che una loro sorella, Bartolomea (1507 c. - ante 1561), sposò verso il 1540 Bartolomeo Ridolfi, che fu con A. Vittoria uno dei massimi stuccatori veneti del Cinquecento, e che, ben noto per la sua attività soprattutto nelle fabbriche sanmicheliane e palladiane, esordì forse nell'ambiente del F.: probabilmente furono tutti coinvolti nell'attività di decorazione plastico-pittorica delle fabbriche padovane legate al nome di Giovanni Maria (I), non solo al Santo, dove appunto sono esplicitamente documentati Ottaviano e Provolo, ma anche, ad esempio, alla Loggia e all'Odeo Cornaro, dove lavoravano a contatto con colleghi padovani come Tiziano Aspetti detto il Minio, in un contesto culturale di dichiarata matrice manierista, aggiornato sull'esempio dei cicli decorativi romani di B. Peruzzi, di Raffaello e di Giovanni da Udine.
L'altro figlio di Iacopo (I), Antonio o GiovanniAntonio (II), pittore e miniatore, fu capostipite di un secondo ramo della famiglia durato fino ai primi decenni del Seicento. Nacque verso il 1470 a Verona, dove è documentato nelle anagrafi del padre del 1472, 1481 e 1491. Notizie ulteriori vengono dal Vasari (pp. 589 s.), il quale, oltre a nominare "molti quadri in Verona che sono per le case di privati", ricorda l'attività trentina dell'artista, soprattutto presente nella zona di Rovereto, "dove era andato ad abitare" e dove sarebbe morto: in particolare a Sacco presso Rovereto avrebbe dipinto "in una tavola S. Nicolò con molti animali". Ma di questa produzione nulla sembra rimasto. Sempre il Vasari ricorda che "costui fece sopra tutto begli animali e frutti, de' quali molte carte miniate e molto belle furono portate in Francia dal Mondella veronese, e molte ne furono date da Agnolo suo figliolo a messer Girolamo Lioni in Vinezia, gentiluomo di bellissimo spirito".
Il rapporto col Trentino, significativamente parallelo alle coeve oscillazioni tra Verona e Trento di altri colleghi veronesi, come i Ligozzi e i Fontana, trova conferma anche nelle vicende di suo figlio Angelo, pittore e incisore, nato nel 1507 circa, verosimilmente a Rovereto, e qui certo attivo come pittore. In questo centro gli spettano infatti alcuni affreschi nella chiesa di S. Rocco, firmati e datati: purtroppo la data è malamente leggibile ed è stata variamente interpretata: 1548 (Marinelli, 1980), 1563 (Gerola, 1915) o addirittura 1603 (Weber, 1933). Una sua acquaforte (Tobiolo e l'angelo), datata 1556, è inoltre firmata "Angiolo Falconeto R. f", dove la "R" può essere interpretata come "roveretano" (Hermanin, 1908).
Comunque sia, l'artista è a varie riprese documentato a Verona (Rognini, 1980): nel 1534, nella contrada di S. Eufemia, gli nacque il figlio Giovanni Stefano; nel 1551 è ricordato nel testamento del cugino Provolo: nel 1552, 1555 e 1557 è documentato nelle anagrafi della contrada di S. Martino in Acquaro. A tale periodo risalgono anche le uniche incisioni datate: quella, già citata, con Tobiolo e l'angelo del 1556 e una serie di quindici incisioni raffiguranti Paesaggi, una delle quali reca la data 1562.
Secondo un documento del 1577, di mano dell'orafo Nicola Della Seta, Angelo morì a Verona nel febbraio del 1567: il 16 dello stesso mese il Della Seta stese l'inventario dei suoi beni alla presenza dei familiari del defunto e di alcuni artisti, tra i quali l'orafo incisore G. B. Mondella e il pittore P. Farinati.
La notizia del Vasari sui rapporti tra Angelo e il veneziano Girolamo Lioni, al quale avrebbe dato "molte" carte miniate dal padre Giovanni Antonio (II), trova conferma in tale documentazione, dove si parla di debiti rimasti insoluti nei confronti dei nobili Lion di Venezia, debiti poi saldati nel 1573 dai figli ed eredi.
Il recupero dell'attività incisoria di Angelo è storia recente. Il Bartsch (1820) e il Le Blanc (1854) pensavano infatti che le venti acqueforti da loro rubricate, spesso segnate "A. F.", "Ang. f." o "Ang. Falco", spettassero ad Angelo (cioè Aniello) Falcone, pittore napoletano del Seicento; il Nagler (1858) distingueva invece due gruppi, non confondibili, segnalando come di Angelo Falconetto un Paesaggio con Giuda e Thamar, firmato per esteso, cui collegava altre due stampe. Tale catalogo, integrato con l'acquaforte del 1556 pure firmata per esteso e altre prove, ha permesso la restituzione di tutto il gruppo prima a un'unica personalità d'ambito emiliano, e poi al veronese Angelo (Dillon, 1980, p. 258). Anche l'attività incisoria di Angelo contribuì, con quella dei veronesi Battista D'Angolo detto del Moro e Giovanni Battista Fontana o del dalmata Andrea Meldolla detto lo Schiavone, al processo di diffusione del manierismo nell'area veneta e padana: alcuni fogli derivano da disegni del Parmigianino, ad esempio il Progetto di sepolcro (Bartsch, 1820, n. 13), simile ad una analoga derivazione di Battista del Moro, o la serie di Apostoli e Cariatidi (ibid., nn. 1-6 e 8 ss.); l'Ippocrene riprende un affresco di Giulio Romano a palazzo Te a Mantova (Marinelli, 1988); i Paesaggi sono invece chiaramente collegati a incisioni di Hieronymus Cock (Dillon, 1980) e al nordicismo di Etienne Dupérac e di Battista Pittoni.
Anche la Madonna col Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino, composizione ripresa negli affreschi di Rovereto, presenta derivazioni mantovane, legandosi all'incisione di Giorgio Ghisi tratta dal Primaticcio (Marinelli, 1980): tuttavia in questo caso la fonte di mediazione è veronese, stando al Bartsch (n. 7) che riporta la scritta "Marco del Moro inventor". I rapporti coi Del Moro dovettero essere vari e molto stretti (ad esempio un figlio di Angelo, Giovanni Antonio [III], compare come teste in un atto che riguarda i figli di Battista) e contare anche sul piano stilistico: prova ne è anche l'incisione raffigurante Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia, già attribuita a Battista del Moro ma giustamente restituita ad Angelo dal Dillon (1980) e che è a sua volta chiaramente collegata al disegno raffigurante Mosè del Martin von Wagner Museum di Würzburg, anch'esso attribuito a Battista ma che sembra ora da ricondurre ad Angelo.
In quanto all'attività pittorica di Angelo, uno spiraglio per ricostruirla è venuto dall'ipotesi (Marinelli, 1980) di riferirgli la decorazione ad affresco di villa Moneta a Belfiore (1563 c.), dove lavorò anche lo stuccatore suo parente Bartolomeo Ridolfi ed effettivamente prossima alla sua produzione incisoria: alla stessa mano sembra riferibile anche la decorazione ad affresco di un camino, e forse qualche altra cosa in casa Morando agli Orti di Spagna vicino a S. Zeno a Verona (cfr. A. M. Conforti Calcagni, in Annuario storico zenoniano, V [1987], ill. p. 45: come anonimo dei primi anni del settimo decennio dei secolo).
La citata documentazione sull'eredità di Angelo (1567-1577) nomina eredi alcuni suoi figli: oltre a Giovanni Antonio (III) e a Giovanni Battista, noti anche da altre fonti archivistiche esplicite nel dichiarare la loro qualifica di pittori, un tal Giovanni Maria (II), all'epoca residente a Roma (forse per impegni artistici) e lì rimasto senza soldi, aiutato economicamente dai fratelli, e un tale Zaccaria, che ebbe a litigare coi fratelli per questioni di interesse e ritornò da Verona a Rovereto. Quest'ultirno va identificato con lo Zaccaria Falconetto pittore veronese che nel 1590, nella chiesa di S. Marco a Rovereto, battezzò il figlio Giovanni Mario (Weber, 1933).
Meglio documentati sono gli altri pittori figli di Angelo.
Antonio o GiovanniAntonio (III) nacque verso il 1531-1533, probabilmente a Verona (dove il padre è documentato, per la nascita di un altro figlio, Giovanni Stefano, nel 1534). È segnalato con famiglia in proprio nell'anagrafe del 1557, negli estimi del 1558 e del 1572, nelle carte relative all'eredità paterna del 1567-1577, in un atto del 1574 di compravendita di una casa da parte dei colleghi Marco, Ciro e Giulio, figli ed eredi di Battista del Moro, in un primo testamento del 1580, nell'anagrafe del 1583, nell'estimo del 1584, in un secondo testamento del 1590, dove è ricordata la sua seconda moglie Margherita Marangoni come pittrice; infine in un terzo ed ultimo testamento del 1600, dove sono ricordati, oltre al nipote Stefano, figlio di Giovanni Battista, anche un suo garzone aiutante, un tal Paolo De Dionisi quondam Francesco di S. Maria in Organo, e il pittore Nicolò Della Brazza, fratello della quarta moglie Laura.
Suo fratello, il pittore GiovanniBattista, anch'egli documentato nel 1567-1577 nelle carte relative all'eredità paterna, nacque nel 1547-1548 circa. Nel 1573 a S. Procolo fu compadre al battesimo di un figlio di Domenico "scudelaro"; nella stessa chiesa nel 1582 fece battezzare il figlio Stefano, futuro pittore, compadre il collega Michelangelo Aliprandi. E documentato nell'anagrafe del 1583, e poi ancora nell'estimo del 1584, in documenti del 1585, 1587 e 1590 relativi all'acquisto di una casa alla Beverara, nel testamento del 1588, nell'anagrafe del 1593, nell'estimo del 1595, nel testamento del 1603 (con codicillo del 1612), nell'estimo infine del 1616.
Nei documenti del figlio Stefano a partire dal 1625 risulta morto. In un registro datato 1591-1614 della chiesa di S. Lorenzo il rettore don Agostino Bettini ricorda la sua recente opera di pittore in alcune stanze della canonica: aiuto sarebbe stato un suo figlio di nome Iacopo (II), non altrimenti noto, che il Gerola (1909) vorrebbe identificabile con il documentato Stefano, in tal caso citato per un equivoco col nome sbagliato.
È proprio con il pittore Stefano, figlio di Giovanni Battista, che, a quanto pare, si esaurisce questa dinastia di artisti (Rognini, 1974). Battezzato il 20 dic. 1582 a S. Procolo, padrino il pittore Michelangelo Aliprandi, è documentato nelle anagrafi del padre del 1583, 1593 e 1603: nel 1600 è ricordato nel testamento dello zio Giovanni Antonio (III), nel 1603 e 1612, come erede, nei testamenti del padre. Nell'anagrafe del 1614 è documentato in proprio; così pure nell'anagrafe del 1625 e nell'estimo del 1627. Morì, probabilmente di peste, a Verona, il 30 luglio del 1630. Anche di questo pittore non è al momento nota alcuna opera.
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