FALDISTORIO
Derivato dal lat. medievale faldistorium, a sua volta modellato sul germanico faldastôl, il termine individua un seggio, realizzato in legno o in metallo, la cui caratteristica principale è di essere mobile e pieghevole.In campo liturgico il termine indica il seggio mobile usato da un vescovo in tutte quelle situazioni cerimoniali in cui, essendo prevista una sistemazione laterale rispetto all'altare, non è possibile utilizzare la cattedra fissa posta al fondo dell'abside. Il problema nasce esclusivamente in relazione alla liturgia romana, perché quella gallicana, fin dal suo formarsi, nel sec. 8°, previde la posizione della cattedra laterale rispetto all'altare. Tuttavia i seggi non rispondevano necessariamente alla caratteristica di avere una struttura leggera e pieghevole, ma soltanto a quella di essere mobili, come testimoniano il seggio ligneo conservato ad Anagni (Tesoro del Duomo) o quello in ferro, la c.d. cattedra di s. Barbato, presso il Mus. Diocesano di Benevento, i quali, pur fungendo da f. vescovili, nelle forme riprendono la tipologia della cattedra. Dell'uso, sul finire del sec. 12°, di una cattedra mobile, definita sedes romana, si ha notizia anche per la cattedrale di Salerno: poiché è plausibile che essa fosse ornata con la serie delle formelle in avorio con storie del Vecchio e del Nuovo Testamento conservate presso il Mus. Diocesano, non si può escludere un uso medievale come f. anche per cattedre eburnee di gran lusso come quella dell'arcivescovo Massimiano (Ravenna, Mus. Arcivescovile) o come la stessa cattedra di s. Pietro (Roma, basilica di S. Pietro), prima della sacralizzazione che la trasformò in una reliquia apostolica, visto che è storicamente attestato, anteriormente al sec. 13°, il suo uso come seggio nell'ambito della cerimonia della consacrazione papale.Diversa e più articolata è la vicenda relativa al f. mobile e pieghevole, del quale possono essere riconosciute tre diverse soluzioni tipologiche. La testimonianza più cospicua della prima, che formalmente è anche la più semplice, è fornita dalle sei sedie pieghevoli rinvenute, sul finire del secolo scorso, nella necropoli longobarda di Nocera Umbra, delle quali cinque si conservano a Roma (Mus. dell'Alto Medioevo), mentre la sesta è andata dispersa. Si tratta di seggi in ferro, arricchito da una decorazione ad agemina d'argento sobriamente lineare, composti da due rettangoli, inseriti l'uno all'interno dell'altro e legati con due perni al centro dei lati lunghi, in modo da consentirne l'apertura a X, posizione che veniva fissata grazie al sedile, composto da strisce di cuoio avvolte a due aste fatte scorrere all'interno di occhielli, connessi alla parte superiore interna di ogni pezzo. Risalente, per questi esemplari, agli inizi del sec. 7° e a un'area di produzione bizantina, il tipo del seggio appare testimoniato già in uso, tra i secc. 5° e 6°, in ambito visigoto - grazie alle sedie pieghevoli provenienti dalla necropoli reale di Ballana in Nubia (Cairo, Egyptian Mus.) - e merovingio, come provano l'esemplare conservato ad Annecy (Mus. Château), rinvenuto in Alta Savoia, e quello di Saint-Germain-en-Laye (Mus. des Antiquités Nat.), trovato a Brény. L'origine militare di questo f., modellato sulla sella castrensis romana, è indicata dalla sua presenza nella grande icona marmorea del santo guerriero Demetrio murata sulla facciata della basilica di S. Marco a Venezia, che, pur essendo un'opera bizantina del tardo sec. 12°, si rifà a prototipi iconografici tardoantichi. Il fatto che nelle necropoli barbariche il f. sia stato trovato a fare parte sia di tombe maschili sia di tombe femminili consente di riconoscerlo come un generico attributo di nobiltà, ma contraddice un suo specifico valore maiestatico. Tuttavia non si può escludere che, nell'ambiente longobardo dell'Italia meridionale, questo tipo di seggio sobrio e lineare abbia acquisito tale funzione nel corso del tempo, visto che, una volta dato il giusto peso alle distorsioni prospettiche intervenute nella rappresentazione, l'esempio migliore di un suo uso in questo senso compare nella scena dell'omaggio reso a un imperatore contenuta nell'Exultet 1 del Mus. Diocesano di Gaeta, realizzato intorno alla metà del 10° secolo.Un secondo tipo di f. può essere distinto grazie alla presenza delle zampe, isolate e con la terminazione che ricorda un piede o uno zoccolo, soluzione presente anche nella cattedra beneventana di s. Barbato, alla quale può essere giunta proprio attraverso il confronto con questo genere di seggio. Anche in questo caso l'introduzione di tale elemento, rispetto all'assoluta semplicità formale del primo tipo, avviene sulla base di suggestioni decorative tratte dal mobilio romano. L'esempio più antico di tale soluzione è fornito da una sedia pieghevole, in ferro e con decorazione ad agemina, conservata a Londra (British Mus.), che dopo essere stata per lungo tempo ritenuta di età neroniana, è stata assegnata al sec. 6° e a un ambito di produzione longobardo o merovingio. Nel fissare la propria ragione funzionale, essa utilizza il sistema dei due rettangoli, affinandolo grazie a una più calcolata articolazione degli snodi, tale da favorire, al momento della chiusura, una connessione a incastro delle varie parti. In questo essa prelude al meccanismo della c.d. sella plicatilis di Pavia (Civ. Mus.), anch'essa in ferro, arricchito con agemina in argento, rame dorato e niello, ma dalle forme compositive assai più ricche e articolate rispetto a quelle delle sedie rinvenute nella necropoli longobarda di Nocera Umbra, un aspetto che è stato determinante per la proposta di datazione al 9°-10° secolo. La caratteristica più significativa del f. pavese è costituita dallo snodo unico frontale formato dall'incrocio di due bracci a X che si divaricano a forcella in modo da consentire gli innesti delle traverse delle zampe e dei braccioli, arrivando in questo modo a comporre una soluzione meccanicamente semplice e raffinata. Anche nel caso di questo secondo tipo di f. non vi sono elementi sostanziali per pensare che i suoi compiti superassero quelli dell'oggetto di lusso.Precisi caratteri maiestatici ebbe invece il terzo tipo, la cui caratteristica più spiccata deve essere riconosciuta nella presenza di protomi e zampe leonine alle terminazioni dei bracci. L'esempio più antico superstite è il c.d. trono di Dagoberto conservato a Parigi (BN, Cab. Méd.). Si tratta di un f. in bronzo dorato e inciso che, nella condizione attuale, appare il frutto di almeno tre interventi che hanno finito con il trasformarlo in un trono fisso, grazie all'aggiunta di un dossale e di due fiancali. A quale epoca debbano essere riferite le varie parti è oggetto di discussione: l'attribuzione iniziale del f. al re merovingio Dagoberto risale al Liber de rebus in administratione sua gestis (XXXIV) dell'abate Suger, che dice di averlo trovato abbandonato nell'abbazia di Saint-Denis e di averlo fatto restaurare; a questa tesi si contrappone quella che lo vuole di età carolingia. Al di là di questi motivi di incertezza, resta il fatto che, nel suo nucleo più antico, costituito dalla zona inferiore, in virtù del sistema di scorrimento delle traverse all'interno di rotaie, ricavate nello spessore delle zampe, il seggio si proponeva, per forme e meccanica, come un f. radicalmente nuovo e complesso rispetto agli esemplari precedenti, inventato con lo scopo di riprodurre i seggi raffigurati nei dittici consolari tardoantichi.L'introduzione delle protomi leonine quale fattore maiestatico appare da questo momento una componente determinante nel definire il tipo del f. medievale, indipendentemente dalle forme e dal materiale di cui esso è composto. Attraverso la casistica iconografica è possibile osservare il primitivo affermarsi in questo senso del tipo: intorno alla metà del sec. 9°, esso compare nel ritratto dell'imperatore Lotario II nel salterio che da lui prende il nome (Londra, BL, Add. Ms 37768, c. 4r); ma già intorno al 985, la sua presenza nel ritratto dell'arcivescovo di Treviri Egberto, contenuto in un codice a lui dedicato (Treviri, Stadtbibl., 24, c. 2r), ne indica l'avvenuta attribuzione a un uomo di chiesa. La tendenza dovette prendere ulteriormente piede nell'ambito della politica rivendicativa, anche sul piano delle insegne, propria alla lotta per le investiture, come sottolinea il fatto che nelle miniature che decorano il codice originale della Vita Mathildis di Donizone (Roma, BAV, Vat. lat. 4922, cc. 20v, 21v, 49r), approntato per la contessa nel 1115, il f. con protomi leonine è attribuito solo ai vescovi della casata dei Canossa e all'abate di Cluny. Non vi è comunque spazio per pensare che esso fosse ormai un'insegna solo rigorosamente ecclesiastica, riservata ai vescovi, agli abati dotati di dignità vescovile e, talvolta, anche alle badesse (per es. a Norimberga), visto che, ancora sul finire del sec. 12°, compare nel ritratto del conte Ruggero di Andria contenuto nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (Berna, Burgerbibl., 120, II, c. 99r). In quel periodo la diffusione di questo tipo di f. si dovette comunque intensificare: nei sigilli-ritratto degli arcivescovi di Colonia (Kahsnitz, 1985) il f. a protomi leonine è presente per la prima volta con Filippo di Heinsberg, in carica dal 1167 al 1191, per restare come dato costante in tutti quelli dei suoi successori.Pochi sono i f. superstiti di questo tipo, come quelli abbaziali, legati ai monasteri austriaci di Admont (Vienna, Öst. Mus. für angewandte Kunst) e di Nonnberg (Benediktinerinnenkloster), o quello vescovile conservato a Perugia (Mus. Capitolare), tutti comunque risalenti alla prima metà del Duecento e ormai saldamente calati all'interno della tradizione attributiva di tipo vescovile che, in un momento non anteriore al 1317, risulta ancora pienamente attiva nell'impostare i contenuti iconografici della tavola di Simone Martini (Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte) con la raffigurazione di S. Ludovico come vescovo di Tolosa. Di contro, almeno su un piano ideale e a suo modo antichizzante, la possibilità di un utilizzo laico del seggio è ancora testimoniata, entro il 1310, dalla figura di Erode, solennemente disposto all'interno di un tribunal, nella Strage degli innocenti del pulpito di Giovanni Pisano per la cattedrale di Pisa.In contrapposizione a questa consolidata ma ambigua divulgazione vescovile del tipo a protomi leonine e come ricerca di una nuova dimensione laica del carattere maiestatico espresso dal f. va visto l'episodio del seggio perduto appartenente a Federico II. Il dato più significativo che si ricava su di esso è la sostituzione delle protomi animali con tabelle, a niello e a smalto, contenenti ritratti di re e di regine, intervallati da due pavoni tempestati di gemme. Sul piano formale la scelta è un esito dei tempi, visto che il contemporaneo f. di Nonnberg ha il corpo ligneo arricchito da una serie di figurette eburnee di santi entro nicchie. A livello contenutistico invece, come già alle origini del f. a protomi leonine, l'idea è ricavata dal repertorio figurativo tardoantico, attestato dai dittici consolari, dove la figura del sedente è spesso affiancata dai ritratti dell'imperatore, dell'imperatrice e del collega nella carica. Tuttavia, in questo caso, più che la ricerca di un valore celebrativo, prevaleva la volontà di sottolineare le ragioni di una trasmissione di diritto del potere imperiale, al di fuori di qualunque tutela o ingerenza papale che potesse scaturire dal contemporaneo affermarsi, in campo ecclesiastico, della teoria della plenitudo potestatis.
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