Fallimento e procedure concorsuali. Recenti modifiche del diritto penale commerciale
La riforma delle procedure concorsuali introdotta dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5 ha provocato significative ricadute anche sul fronte delle fattispecie incriminatrici previste dalla legge fallimentare che continuano ad essere al centro dell’attenzione della dottrina e della giurisprudenza più recenti. In particolare, sono qui esplorate le questioni controverse concernenti l’estensione degli obblighi del fallito ex art. 49 l. fall., le conseguenze dell’abolizione della riabilitazione «civile» del fallito e dell’amministrazione controllata, l’introduzione della causa di «esenzione dai reati di bancarotta» di cui al nuovo art. 217 bis, le ricadute della novella sulla fattispecie di ricorso abusivo al credito, nonché i principali profili problematici sollevati dalla riforma del concordato preventivo e i nuovi istituti di salvataggio dell’impresa.
Chiamato a provvedere per delega ad una organica riforma della disciplina delle procedure concorsuali1, il Governo incaricò nel 2005 una commissione ministeriale (la cd. Commissione Trevisanato, dal nome del suo Presidente) di elaborare una complessiva riscrittura della legge fallimentare, sia con riguardo al versante dell’insolvenza, sia con riferimento ai connessi riflessi penali. Nonostante l’effettivo esercizio della delega per il comparto strettamente concorsuale, culminato con il d.lgs. 9.1.2006, n. 5, il compito non fu completato (per ragioni politiche), nella modifica del profilo penalistico della disciplina in vigore, con il risultato di creare una cesura tra un ambito integralmente riscritto alla luce dei parametri riformatori e la permanenza del vecchio impianto punitivo, rimasto letteralmente ancorato al vecchio testo del r.d. 16.3.1942, n. 267, così venendo meno alla tradizione che vuole complementari i due aspetti. La legislazione penale si è ancora occupata della materia fallimentare, come attestano il cd. «decreto correttivo» (d.lgs. 12.9.2007, n. 169) e l’inserimento del nuovo art. 217 bis nel corpo della legge fallimentare2, ma con tratto sporadico, senza un programma coerente. La giurisprudenza di legittimità è intervenuta in qualche punto cruciale, anche se non centrale3. Da tutto questo discende il permanere di importanti questioni problematiche, una parte rilevante delle quali si è manifestata nel 2011. Le note che seguono mirano ad una ricostruzione degli aspetti più essenziali dell’evoluzione in atto.
I reati cd. «fallimentari» sono pressoché tutti a soggettività qualificata. In particolare la bancarotta postula la qualità di imprenditore (dichiarato o, comunque, in stato di insolvenza ex art. 5 l. fall. o di crisi ex art. 160 l. fall., qualità che – in passato – si riteneva non ricorrere, per il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo, ecc., soggetti – per ciò solo – immuni da questa responsabilità penale. L’art. 1 del già menzionato «decreto correttivo» ha ri-formulato i requisiti che legittimano l’impresa (insolvente o in stato di crisi) ad adire la procedura fallimentare e del concordato preventivo. Tanto ha determinato una forte oscillazione interpretativa nella giurisprudenza, quanto al vincolo per il giudice penale sulla ricorrenza dei requisiti di «fallibilità». La questione è stata decisa dalle Sezioni Unite della Cassazione4 nel senso che «il giudice investito del giudizio relativo a reati di bancarotta … non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza della impresa, ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall’art. 1 l. fall. per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 l. fall. ad opera del d.lgs. 9.1.2006, n. 5 non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso». Donde l’esclusione della legittimazione del giudice penale al vaglio dei requisiti già affermati dalla sentenza concorsuale. Parallelamente, si è negato che ricorra una successione di leggi penali nel tempo, qualora (caso piuttosto ricorrente) i nuovi connotati del soggetto giudicato «fallibile» risultino assai più ristretti che in passato (e l’art. 1 della novella si presenti come legge più favorevole all’imputato)5.
2.1 L’obbligo di residenza in capo al fallito
La riforma ha modificato l’art. 49 l. fall. con riflessi di ordine penale6. Nell’originaria formulazione il testo contemplava due distinti doveri a carico del fallito: non allontanarsi dalla propria residenza (salva l’autorizzazione rilasciata dal giudice delegato) e presentarsi personalmente agli organi fallimentare a seguito di loro richiesta. Il nuovo testo ha:
• esteso e modificato il novero degli obbligati, aggiungendo alla figura del «fallito» (ed anche del socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito), quella degli amministratori, dei liquidatori di società o di enti soggetti alla procedura di fallimento, così accorpando, in parte, soggetti che, nel contesto penale, erano indicati in seno all’art. 226, ma escludendo dal divieto i direttori generali nonché, come per il sistema previgente, l’institore;
• sostituito (co. 2) il divieto di allontanarsi dalla propria residenza senza il permesso del giudice delegato con quello di comunicare al curatore ogni cambiamento della stessa ed anche del proprio domicilio (così ovviando a perplessità di ordine costituzionale con riguardo agli artt. 13 e 16 Cost.);
• mantenuto l’obbligo (a carico dei soggetti sopra indicati) di presentazione agli organi concorsuali (giudice delegato, comitato dei creditori, curatore), all’occorrenza (legittimo impedimento o altro giustificato motivo) per mezzo di mandatario, modificando soltanto la ragione della convocazione: all’assoluto ed immotivato jussus «ogni qual volta chiamato», si è fornita la più circoscritta causale «se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura»;
• abolito il potere di accompagnamento coattivo da parte del giudice. L’intervento più radicale attiene alla nuova fisionomia del dovere connesso alla residenza ed al domicilio, mutamento imposto dalla indicazione comunitaria: in particolare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo7, aveva già ravvisato la violazione dell’art. 2 del Protocollo n. 4, per via dell’automatismo delle limitazioni alla libertà di circolazione del fallito, in relazione alla eccessiva durata delle procedure concorsuali. Essendo venuto meno il divieto di fisico abbandono dell’originario sito di reperibilità, il dovere sancito dall’art. 49 si è così trasformato in un obbligo di ordine informativo. Identico è l’interesse sotteso alla disposizione: un solerte reperimento del fallito, fonte di necessari ragguagli per la gestione della procedura concorsuale (come attestato, con continuità prescrittiva, dall’obbligo di presentazione); ma maggiore risulta il rispetto dei diritti connessi alla libertà di circolazione e di soggiorno del cittadino. Difforme appare oggi la struttura del reato di cui all’art. 220 l. fall.: la condotta vietata assume carattere omissivo, donde la natura di reato permanente sino all’adempimento dell’obbligo. Il comando ha natura formale, mantenendo in ciò la fisionomia di reato di pericolo (con riferimento alla finalità di sicuro reperimento del soggetto). Non è, tuttavia, formalizzata la modalità di informazione, essendo chiaramente sufficiente una concreta ed efficace idoneità comunicativa. Oggetto della informazione è il cambiamento della reperibilità del fallito. Pertanto, l’obbligo penalmente sanzionato sorge al momento del mutamento e cessa al chiudersi della procedura concorsuale. La sostituzione del comando penale portato dall’art. 49 l. fall. (nella sola parte dell’obbligo di comunicazione e non di presentazione) qualifica la fattispecie dell’art. 220 l. fall. come strutturalmente difforme dalla previgente e dà vita, quindi, ad abolitio criminis. Invero, invece del vecchio precetto penalmente sanzionato è introdotto uno nuovo, inconciliabilmente difforme, anche se a tutela dei medesimi interessi: quello vecchio non è attualmente foriero di conseguenze penali, quello nuovo non era previsto nella legislazione originaria8.
2.2 La scomparsa della riabilitazione e l’abolizione dell’amministrazione controllata
La riforma ha previsto la cancellazione del (mai istituito) registro dei falliti. Essendo impensabile un’efficacia immediata ed automatica del provvedimento giudiziale, l’eliminazione della annotazione dal Casellario giudiziale (prescritta dall’art. 26/l lett. b) del d.P.R. 14.11.2002 n. 313), è – cfr. art. 5/L co. 2, lett. i – esito conseguente soltanto alla revoca della dichiarazione di fallimento ovvero all’impulso dell’interessato mediante apposita istanza. L’intervento abrogativo determina diretti riflessi penali, anche se non esplicitati dal legislatore. Infatti, l’art. 241 l. fall. non è stato formalmente modificato dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5. Questa norma tuttora afferma che la riabilitazione civile estingue il reato di bancarotta semplice del fallito, facendo cessare – se essa era dichiarata successivamente al processo penale – l’esecuzione e gli effetti della eventuale condanna; qualora – invece – essa sia anteriore alla sentenza di condanna, si qualifica come causa di estinzione del reato, che comporta conseguenze di spessore maggiore – incidendo sulla punibilità e procedibilità del reato – rispetto alla riabilitazione penale, disciplinata dagli artt. 179 ss. c.p., istituto avente mera natura premiale e proteso alla reintegrazione del condannato, con esclusivo riverbero sulla pena inflitta. Tuttavia, la riforma – pur avendo lasciato intatta la citata disposizione – ha abrogato l’istituto della riabilitazione civile, così annullando l’oggetto stesso della norma di cui all’art. 241 l. fall. e precludendo ogni possibile futura applicazione della stessa. L’esito pratico è quello dell’abrogazione di fatto del portato della disciplina: a riconoscere i presupposti per la riabilitazione era legittimato il solo tribunale fallimentare, con effetti vincolanti per il giudice penale che, al riguardo, era sprovvisto di iniziativa e di potere officioso. Essendo stata sottratta al giudice civile la possibilità di siffatta dichiarazione (ad effetto costitutivo), non si darà in futuro occasione per l’applicazione dei benefici di cui all’art. 241 l. fall. da parte del giudice penale. Il meccanismo impedisce ogni applicazione retroattiva all’istituto. L’abrogazione dell’amministrazione controllata9 e dell’intero Titolo IV della vecchia legge fallimentare, ha determinato l’abolitio criminis del reato di cui all’art. 236, con effetti sia sui procedimenti in corso, sia in quelli già definiti (art. 673 c.p.p.), secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione10. Infatti, l’art. 236, co. 2, l. fall. ascriveva all’imprenditore, «nel caso di amministrazione controllata», il trattamento sanzionatorio proprio della bancarotta fraudolenta impropria. Siffatte condotte hanno, pertanto, perso connotato di rilievo penale (salvo che la procedura non si sia successivamente trasformata in fallimento o in altro istituto della legge fallimentare).
2.3 L’introduzione dell’art. 217 bis e le questioni controverse
Con intervento successivo alla riforma del 2006, il legislatore ha introdotto nella disciplina concorsuale – il co. 2 bis dell’art. 48 del d.l. 31.5.2010 (convertito nella l. 30.7.2010, n. 122), denominato art. 217 bis11 – cioè, l’«esenzione» dalla responsabilità penale per bancarotta preferenziale o semplice, dei «pagamenti e le operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’art. 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis ovvero del piano di cui all’art. 67, co. 3, lettera d)»12. Evidente è la finalità di perseguire la politica di sostegno al risanamento dell’impresa in difficoltà anziché alla sua liquidazione, e corrispondentemente quella di garantire l’immunità da possibili conseguenze penali a favore di chi (massimamente il comparto del credito, soprattutto quando si presenti arduo il progetto risanatore e concreto sia il rischio del fallimento dell’impresa assistita) procaccia i mezzi del recupero economico all’organismo vacillante. La novella prospetta seri quesiti interpretativi, la cui effettiva portata è emersa nel corso degli ultimi mesi, e forse non ancora compiutamente. Innanzitutto, si discute sulla natura dell’esenzione accordata (termine problematico, ignoto al vocabolario del penalista, a cui risulterebbe più famigliare il richiamo ad una «causa di non punibilità »13), beneficio che, agendo in ragione dell’oggettivo profilo dell’operazione solutoria, e non in relazione a connotazioni soggettive dell’autore del fatto, investe la medesima antigiuridicità della condotta, e comporta la sua estensione a tutti quanti partecipino all’operazione: tanto consente di sopire, con risposta negativa, la vexata quaestio relativa alla perseguibilità del creditore preferito o del banchiere che prolunghi la vita dell’organismo ormai defedato, mediante il cd. «credito rovinoso». A ciò sembra sovvenire espressamente il legislatore con l’introduzione del «nuovo» art. 182 quater che – integrando l’art. 111 l. fall. – detta disposizioni in tema di prededucibilità del credito sorto da finanziamenti ad opera di istituti di credito in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di un accordo – omologato – di ristrutturazione dei debiti (dando, in tal modo, preferenza legale al soddisfacimento delle altre aspettative creditorie), con ciò automaticamente sottraendo alla fattispecie di preferenzialità siffatti pagamenti. L’ambito dell’esenzione (considerata la natura eccezionale di deroga alle regole generali) non oltrepassa le ipotesi incriminatrici espressamente richiamate dalla norma: la bancarotta preferenziale, prevista dall’art. 216, co. 314, con sicura esclusione della condotta attuata tramite la simulazione di cause di prelazione15, la bancarotta semplice contemplata dall’art. 217, co. 1, n. 3 e 4, l. fall. ed i restanti casi contemplati dall’art. 67, co. 3, (opzione quest’ultima indubbiamente irragionevole in ragione degli obiettivi di tutela della norma, segnalando che può risultare di problematica dimostrazione l’effettivo intento di favorire taluno, quando il programma sia, invece, quello di risollevare le sorti dell’impresa). Esclusa dal beneficio è la condotta di chi agisca con preordinata malizia o con ingiustificabile ottimismo, ovvero presenti soluzioni fondate su premesse palesemente discoste dalla effettiva realtà economica e patrimoniale del debitore (o, ancor peggio, se frutto di alterazioni fraudolente). Se poi, viene simulata non soltanto una causa di prededuzione, ma un credito in realtà non esistente (per es. si ipotizza una mai effettuata prestazione del professionista), l’ipotesi è quella della condotta di esposizione o riconoscimento di crediti inesistenti che integra fattispecie di fraudolenza. La fraudolenza si distingue dalla condotta qui esaminata per la natura reale ed esigibile del credito, con la precisazione che la restituzione ai soci di quote di capitale, pur essendo destinata a potenziali creditori della società, costituisce bancarotta fraudolenta (impropria), essendo il credito esigibile soltanto in fase di liquidazione e dopo il soddisfacimento di tutti i creditori. Si preclude così rilievo alle informali intese tra debitore e creditori, assunte fuori dal paradigma formale indicato dalla novella. Ancorché l’art. 217 bis richiami la complessiva previsione dell’art. 217, esso non sembra, in realtà, rinviare all’intero quadro incriminatore di quest’ultima disposizione. Sono, certamente estranei al fuoco della novella i casi di cui al n. 1 (ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive …), ovvero al n. 5 (non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare), nonché la figura di cui al secondo comma (bancarotta semplice documentale). Per l’inidoneità oggettiva al risanamento economico, sono pure escluse dalla norma le operazioni rapportabili all’art. 217, n. 2, l. fall.16. Ancora, nonostante il rinvio espresso dall’art. 224 all’art. 217, non è possibile includere nel richiamo dell’art. 217 bis l’ipotesi generale colposa dettata dall’art. 224, n. 2 (hanno concorso a cagionare o aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge), ancorché la violazione della «par condicio» nei pagamenti possa ritenersi obbligo di derivazione normativa. Invece è agevole ritenere questo caso incluso in uno dei nn. 3 o 4 dell’art. 217 e, per questa via, fatto proprio dal novello art. 217 bis (si osservi, infine, che la norma ha una portata assai incisiva sull’art. 216, co. 3, attribuendo ad alcuni crediti la natura di prededuzione, estraniandoli così dalla concorsualità, ai sensi dell’art. 111, co. 1, n. 1, e co. 2 l. fall.)
2.4 Le modifiche della fattispecie del ricorso abusivo al credito
La l. 28.12.2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), pur non alludendo ex professo alla legge fallimentare, ha direttamente interferito con il quadro penalistico della disciplina tradizionalmente collegata alla crisi di impresa. Infatti, l’art. 32 ha riformulato la fattispecie di ricorso abusivo al credito con sostanziose modifiche. Per quanto attiene ai soggetti, ha limitato la responsabilità agli imprenditori esercenti attività commerciale, omettendo cenno all’institore e ai soci illimitatamente responsabili17, ed ha disposto l’estensione della fattispecie a tutti i soggetti indicati dall’art. 225 (amministratori e direttori generali), a cui si sono aggiunti i liquidatori, così privando di effettiva rilevanza l’art. 225. La riforma ha incluso in seno all’art. 2622 c.c. anche il danno alla società ed ha esteso il novero dei soggetti «propri» dei reati societari, annoverandovi anche il «dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili». Tale estensione peraltro, mancando il relativo richiamo da parte dell’art. 223, co. 2, n. 1, non rileva per il diritto penal-fallimentare. Ma, a differenza di quest’ultima norma, l’attuale versione dell’art. 218 non prevede più la limitazione a «società dichiarate fallite» (per gli imprenditori questa limitazione già non era rinvenibile nel contesto dell’art. 218), così chiarendo espressamente l’area di applicazione della norma nel senso che il reato non richiede, per la sua configurabilità, che il soggetto al quale esso viene addebitato sia dichiarato fallito o preposto a società fallita: opinione questa accolta in precedenza da (prevalente) giurisprudenza, ma criticata da dottrina anche autorevole18. È stata introdotta dalla riforma la circostanza aggravante (art. 218, co. 2, l. fall.), per il caso in cui ricorrano abusivamente al credito gli amministratori, i direttori generali ed i liquidatori di società quotate in mercati regolamentati.
La riforma del concordato preventivo, attuata mediante il «decreto correttivo» più volte citato, ha dato vita ad un istituto significativamente diverso da quello che era regolato dagli artt. 160 ss. l. fall., anche se ha conservato il vecchio nomen juris. Suo presupposto (art. 160 l. fall.), non è più la «meritevolezza » bensì lo «stato di crisi» (ai sensi dell’art. 36 del d.l. 30.12.2005, n. 273, cd. «mille proroghe», convertito in legge 23.2.2006, n. 51, per crisi «si intende anche lo stato di insolvenza », definito a sua volta dall’art. 5 l. fall.). Tuttavia evidente è la continuità normativa tra la vecchia disciplina e l’attuale, per quanto attiene ai riflessi penali e in particolare alla disposizione dell’art. 236 l. fall. che punisce alcune condotte commesse da chi è stato ammesso alla detta procedura concorsuale (responsabilità che si afferma per il solo fatto dell’ammissione, ancorché la procedura si concluda con sentenza di reiezione o di risoluzione del concordato). Pur a fronte del diverso contenuto normativo, il tenore letterale dell’art. 236 l. fall. resta immutato e ad esso si adatta perfettamente la nuova disciplina del concordato preventivo, senza alcuna tensione analogica, sicché non vi è ragione ermeneutica per negare siffatta dilatazione della fattispecie incriminatrice. L’art. 161, co. 3, l. fall. prescrive (restando invariato il compito del Commissario, tenuto pur egli alla compilazione di una relazione ai sensi dell’art. 172 l. fall.) – a garanzia di tutti i creditori circa la serietà della proposta – che al ricorso del debitore sia allegata la relazione di un professionista (il concordato preventivo coinvolge non solo il ceto chirografario ma, nei limiti delle attestazioni operate ex art. 160 l. fall., anche quello privilegiato). Nel caso di falsità della relazione, l’ipotesi più ragionevole è quella del concorso tra questi ed il debitore, sicché la fattispecie che si prospetta è quella del combinato disposto degli artt. 110 c.p. e 236, co. 1, l.fall. La riforma ha introdotto nell’ordinamento anche diversi istituti, tutti contrassegnati dalla funzione di riequilibrio economico dell’impresa in difficoltà e disciplinati dalla medesima legge fallimentare. Essi interagiscono con l’ambito penalistico della materia perché collocati in un contesto di crisi, analogo – anche se in nessun modo necessariamente coincidente – con il presupposto del concordato preventivo e perché ad essi viene fatto esplicito riferimento dalla fattispecie penalistica dell’art. 217 bis. Ma si tratta di previsioni affatto diverse dal concordato preventivo e solo in minima misura parificabili, agli effetti penali, alla prima procedura. Innanzitutto «gli accordi [tra l’imprenditore ed i suoi creditori] di ristrutturazione dei debiti rappresentano una intesa di stretta natura privatistica», come già affermato – sia pure in un obiter dictum – dal giudice di legittimità19, e sono esenti dal controllo giudiziale: il giudice penale – chiamato a valutare la condotta dell’imprenditore per eventuali responsabilità di ordine fallimentare, anche ai fini dell’applicazione dell’esimente dell’art. 217 bis – è libero di vagliare, con giudizio ex ante, la loro idoneità a redimere le sorti dell’impresa. Disciplina ben diversa da quella disposta per il concordato preventivo, dunque, incapace di supporre l’estensione ad essa della fattispecie punitiva prevista dall’art. 236. Né giova segnalare l’inserimento dell’istituto nel contesto della procedura minore (poiché l’art. 182 bis è collocato all’interno del titolo III e del capo V): invero, l’argomento sistematico è assai debole proprio perché la rubrica stessa che introduce il titolo III distingue il concordato preventivo dagli accordi in discorso, rimarcando la differenza strutturale. D’altra parte, l’art. 182 bis tace del tutto sui requisiti che legittimano l’imprenditore a questo tipo di soluzione, per la quale, al contempo, non è previsto un organo di controllo sia per la valutazione iniziale, sia per lo svolgimento della procedura. Il piano di risanamento, menzionato dall’art. 67, co. 3, lett. d), è provvedimento che non concreta in alcun modo una procedura concorsuale ed è privo di preclusioni quanto all’idoneità risanatoria del progetto, qualora, nonostante il tentativo di «salvataggio », non sia scongiurata la dichiarazione di fallimento (elemento costitutivo del delitto di bancarotta). Momento di analogia tra questi istituti ed il concordato è l’asseverazione, ad opera di un soggetto qualificato, circa l’idoneità risanatrice dei piani avanzati dall’imprenditore in difficoltà, restando differenziata la verifica giudiziale al proposito (mediante giudizio ex ante). Così l’art. 161, co. 3, richiede, per l’ammissione al concordato preventivo, una relazione che attesti la «veridicità20 dei dati aziendali e la fattibilità del piano», nel caso di accordi di ristrutturazione dei debiti e di piano di risanamento, la necessaria dimostrazione della ragionevolezza – ai sensi dell’art. 2501 bis, co. 4, c.c. – del piano idoneo al risanamento perseguito, con particolare riferimento all’idoneità nell’assicurare il pagamento dei creditori estranei (art. 182 bis, co. 1, 67, co. 3). Nel caso del citato art. 67, co. 3, lett. d) l’ordinamento non prevede al riguardo vaglio giudiziale alcuno. Delegato alla verifica è un soggetto, diverso dall’imprenditore (o dagli organi della impresa), il «professionista» (e, dunque, non un dipendente). Questi, originariamente, era assimilabile al curatore, in ragione di tutti i requisiti previsti dalla normativa che lo collocava in posizione di «terzo», garante verso la generalità degli interessati della veridicità del suo giudizio. Ma il già ricordato «decreto correttivo» (art. 3, co. 3, del d.lgs. 12.9.2007, n. 169) ha, di poi, ristretto il profilo del «professionista» alle condizioni dettate dall’art. 28, lett. a) e b), cioè con riguardo soltanto alla tipologia della professione svolta, ammettendo l’estensione anche ad enti organizzati, profili indifferenti alla «terzietà» del professionista, relegando nel dubbio la relativa attribuzione pubblicistica, rilevante ai fini della qualificazione delle eventuali condotte di falso nelle relazioni (radicale è il distacco dalla precedente configurazione, che escludeva anche quanti avessero in qualche modo collaborato alla gestione dell’impresa, ovvero fossero legati da rapporto di parentela o di finanza con il preposto all’impresa; limitazioni che agevolmente giustificavano la qualifica pubblicistica – art. 30 – già assegnata al curatore). La dottrina e la giurisprudenza21 sono state sinora assai esitanti nel riconoscere detta qualifica. Di contro, autorevoli dissensi hanno sottolineato la funzione pubblicistica del Commissario, anche in ragione dell’«irrobustimento» del suo controllo nella valutazione iniziale delle proposte di rimedio alla crisi 22. Certamente è assai difficile ascrivere la responsabilità penale del professionista per un eventuale mendacio che attenga alla «fattibilità» del piano, ovvero ad ambito coinvolgente un qualche giudizio prognostico, dal momento che la fattispecie penale riguarda sempre una dichiarazione di scienza e si àncora al dato attuale e non futuro (la possibile connotazione colposa del delitto di bancarotta semplice, secondo la costante lettura della Corte di cassazione, non osta alla configurabilità del delitto di falso che viene ipotizzato sempre nella piena consapevolezza dell’alterazione dal vero, risultando esterna alla condotta del professionista l’aggravamento del dissesto)23.
1 Si veda l’art. l’art. 1, co. 5 e 6, l. 14.5.2005, n. 80, di conversione, con modificazioni, del d.l. 14.3.2005, n. 35, recante delega al Governo per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.
2 Inserimento attuato con il comma 2 bis dell’art. 48 d.l. 31.5.2010, n. 78, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
3 Cass., S.U., 28.2.2008, n. 24948, sul vincolo discendente per il giudice penale dalla sentenza del giudice fallimentare; Cass., S.U., 26.2.2009, n. 24468, sull’effetto di abolitio criminis connesso all’abrogazione del- l’istituto della amministrazione controllata.
4 Cass., S.U., 28.2.2008, n. 19601.
5 È evidente che all’alzarsi dei livelli per la legittimazione alla procedura concorsuale, si restringe il novero degli imprenditori passibili di fallimento sicché, contestualmente, si riduce l’ambito dei soggetti attivi delle fattispecie penali.
6 Novella attuata, in particolare, con l’art. 46 del d.lgs. n. 5/2006.
7 C. eur. dir. uomo, 17.7.2003, n. 56298/2000, Bottaro c. Italia.
8 Così Cass., sez. V, 21.2.2007, n. 13812; Cass., S.U., 26.3.2003, n. 25887.
9 Art. 147, co. 2, del d.lgs. 9.1.2006, n. 5.
10 Cass., S.U., 26.2.2009, n. 24468.
11 La norma è oggetto di molteplici commenti: da ultimo, Zincani, Il nuovo art. 217 bis l. fall., in Fallimento, 2010, n. 5., 516 ss.; Bricchetti-Pistorelli, Bancarotta, le operazioni escluse dall’incriminazione, in Guida al dir., 2010, 27, 94 ss.; Lottini, Il nuovo art. 217 bis l. fall.: una riforma che tradisce le aspettative, in Fallimento, 2010, 1366; Mucciarelli, L’esenzione dai reati di bancarotta, in Dir. pen. proc., 2010, 1474 ss. e, più recentemente, ma senza rilevanti differenze, L’art. 217 bis l. fall. e la disciplina penale delle procedure di soluzione della crisi di impresa, in Crisi di imprese: casi e materiali, a cura di Bonelli, Milano, 2011, 275 e ss.; D’Alessandro, Il nuovo art. 217 bis l. fall., in Soc., 2011, 201 ss., ecc.
12 L’opzione normativa accoglie, quindi, riflessioni di dottrina, tra cui Alessandri, Profili penalistici in tema di soluzioni concordate della crisi d’impresa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 111 ss.; Cassani, La riforma del concordato preventivo: effetti penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2006, 773 ss.; D’Alessandro, Le disposizioni penali della legge fallimentare, a cura di Cavallini, Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010, 13 ss.; Giunta, Revocatoria e concordato preventivo: tutela penale, in Dir. prat. fall., 2006, 1, 34 ss.; Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2009, 825; Shiavano, Riforma della legge fallimentare: implicazioni penalistiche, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2006, 945 ss.; Troyer, Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. dott. comm., 2008, 111 ss.; Brichetti-Mucciarelli-Sandrelli, Il nuovo diritto fallimentare, novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, commentario sistematico diretto da Jorio-Fabian, Bologna, 2010, 2738 ss.
13 Cfr. Mucciarelli, L’esenzione dai reati di bancarotta, cit., 1475 e, con attenta esegesi, Zincani, Il nuovo art. 217 bis, cit., 519 ss.: entrambi gli Autori collocano l’«esenzione» sul piano oggettivo, quale sottrazione dell’offesa alla condotta altrimenti incriminabile.
14 Il ricorso abusivo al credito (art. 218 l. fall.) è fattispecie estranea all’esimente, perché – secondo prevalente dottrina (contra, ma isolatamente, Micheletti, Il ricorso abusivo al credito come reato necessariamente condizionato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, 23) e giurisprudenza (Cass. pen., sez. I, 9.6.1997, Zarri, in CED Cass., n. 208331; Cass., sez. I, 26.10. 1988, Moscarelli, in Riv. pen. econ., 1990, 207 e, prima della riforma della legge fallimentare, Cass., sez. V, 4.5.2004, n. 23796) - in sé non è condizionata dalla successiva dichiarazione di fallimento. Inoltre il reato postula quale soggetto attivo chi, occultando il proprio dissesto, viene reso beneficiario del prestito: la consumazione risiede nella mera richiesta di finanziamento, prescindendo dalla successiva concessione. (Cass., sez. V, 15.4.2004, in CED Cass. n. 229032).
15 Così Zincani, Il nuovo art. 217 bis, cit., 520.
16 Sul punto Mucciarelli, L’esenzione dai reati di bancarotta, cit., 1478, e D’Alessandro, Il nuovo art. 217 bis legge fall., cit., 212.
17 Che – tuttavia – permangono soggetti del reato di bancarotta in forza dei vigenti artt. 222 e 227 l. fall.
18 Cfr. Cass., sez. V, 4.5.2004, n. 23796, in Dir. e pratica soc., 2005, 81. Contra Cass., sez. I, 9.6.1997, in CED Cass. n. 208331. In dottrina, Lanzi, Tutela penale del credito, Padova, 1979, 127. Una posizione contraria a quella del testo, frutto di una disamina attenta e meticolosa sulla natura del reato, è espressa da Micheletti, Il ricorso abusivo al credito come reato necessariamente condizionato, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2007, 23 ss. Sul profilo della nuova disciplina, Seminara, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, in Dir. pen. proc., 2006, 549.
19 Cass., S.U., 26.2.2009, n. 22468, in Cass. pen., 2009, 4113 ss., in motivazione.
20 Sulla nozione di veridicità nella rilevanza penale ai sensi dell’art. 217 bis, cfr. l’approfondita analisi di Mucciarelli, L’Esenzione, cit., 1485 e ss.
21 La qualifica pubblicistica è stata negata in dottrina da Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi di impresa, in Riv. dir. proc. pen., 2006, 121, opinione espressa prima della modifica dell’art. 67, co. 3; Sandrelli, Disciplina penale, in Fallimento ed altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia-Panzani, III, 2009, 1974. In giurisprudenza, nello stesso senso, Cass., sez. I, 4.2.2009, n. 2706 in Fallimento, 2009, 789; Cass., sez. I, 29.10.2009, n. 22927 in Fallimento, 2010, 822; Trib. Torino, 31.3.2010, in Fallimento, 2010, 1439, con nota di Lanzi, Il professionista incaricato della relazione per l’ammissione al concordato preventivo non è pubblico ufficiale.
22 Cfr. Griffey, La disciplina del concordato preventivo e le soluzioni della giurisprudenza, in Le nuove procedure concorsuali - Dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», a cura di Ambrosini, Bologna, 2008, 524. Ritiene che sia indubbia posizione di terzietà verso creditori e tribunale, Nardecchia, Crisi di impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Milano, 2007, 59. Mucciarelli, Stato di crisi, cit., 872 ravvisa una possibile qualifica di esercente servizio di pubblica necessità, ai sensi dell’art. 359 c.p.; analogamente Zincani, Il nuovo art. 217 bis l. fall., 524 ss. Contra Scarcella, Riflessi penali della nuova disciplina di fallimento e procedure concorsuali, in Dir. prat. soc., 2010, suppl. al n. 6, 71.
23 Conviene al riguardo Mucciarelli, L’esenzione, cit., 302 ss. 1