Fallimento e reato di bancarotta
La divaricazione tra giurisprudenza e dottrina sul ruolo da assegnare alla dichiarazione giudiziale d’insolvenza rispetto ai delitti di bancarotta costituisce un dato costante e apparentemente immutabile. Le Corti considerano la sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, senza però trarne tutte le implicazioni di carattere sistematico e giungendo talvolta a risultati interpretativi eccentrici. L’impostazione prevalente in dottrina, secondo cui il fallimento rientra nel novero delle condizioni obiettive di punibilità, non soltanto risulta più coerente sotto il profilo dogmatico, ma a ben vedere si sottrae anche alle possibili perplessità circa l’individuazione del tempus e del locus commissi delicti.
La giurisprudenza della Corte di legittimità – attenta all’esigenza di politica giudiziaria di «far coincidere tempus e locus commissi delicti rispettivamente con la data e il luogo in cui è stata pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento» – presenta una monolitica lettura della dichiarazione giudiziale di insolvenza1 nel quadro dei reati di bancarotta, negandone la natura di condizione obiettiva di punibilità, per affermarne invece il carattere di elemento costitutivo del reato.
Una sentenza della Corte di cassazione2 ha portato alle conseguenze estreme la risalente qualificazione della decisione dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (e più in generale delle figure di bancarotta patrimoniale)3: accolta da taluni interpreti4 come segno di un (positivo) mutamento del contegno della Corte regolatrice in relazione ai profili concernenti l’accertamento, da un lato, del rapporto causale fra condotte tipiche e fallimentoevento del reato e, dall’altro, dell’elemento psicologico secondo le più rigorose cadenze derivanti dalla diretta inserzione nell’oggetto del dolo della dichiarazione giudiziale di insolvenza, il (discutibile e discusso5) novum è stato repentinamente smentito dagli stessi Giudici della legge con una serie ininterrotta di sentenze6. Nel novero di queste ultime pronunzie, spicca per l’acribia critica la decisione della Cassazione n. 15613/2014, che in motivazione ripercorre, sottoponendoli a una analitica confutazione, i passaggi argomentativi della sent. Ravenna Calcio7.
Indipendentemente da alcune fragilità argomentative, l’eccentrica decisione della Corte regolatrice da ultimo richiamata ha tuttavia il merito indiscutibile di porre la questione in termini di grande chiarezza: se davvero la sentenza dichiarativa di fallimento è elemento costitutivo del reato, allora deve essere colta come tale nell’economia della fattispecie e, dunque, assoggettata ai vincoli sistematici propri degli estremi del fatto punibile.
Se si osserva da un più generale angolo prospettico il panorama della giurisprudenza, non sembra azzardato concludere che il costo della inflessibile qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo dei reati di bancarotta si riconosce, da un lato, nella variegata e non sempre lineare trama argomentativa delle decisioni mentre, dall’altro, si risolve in una «concezione dogmaticamente ambigua, (dalle) implicazioni concettuali (destinate) a lasciare perplessi»8.
Una differente prospettiva procede dal basilare rilievo che «il disvalore penale dei fatti di bancarotta non è un riflesso retrospettivo del fallimento, ma si radica in una carica offensiva ad essi immanente, nella violazione di regole gestionali poste a protezione delle ragioni creditorie. L’imperativo violato dal bancarottiere non vieta di fallire, vieta di porre in essere condotte, sul piano patrimoniale e documentale, atte a pregiudicare il pieno soddisfacimento dei creditori»9.
2.1 Il fallimento come condizione obiettiva di punibilità
Il dato di partenza dell’impostazione prevalente in dottrina affonda le sue fondamenta nella considerazione che l’imprenditore (compreso l’imprenditore individuale) non è libero di disporre liberamente della “cosa propria”.
Una incondizionata libertà di esercizio del diritto di proprietà trova un limite generale già nell’art. 42 Cost. e, se è vero che le limitazioni poste da alcune norme incriminatrici, per tradizione evocate, alludono a interessi confliggenti di rango superiore10, non è meno vero che, nel quadro di una economia capitalista e di mercato, l’attività d’impresa – in relazione al diritto di proprietà dei beni dell’imprenditore stesso – esige la fissazione di limiti in coerenza con il dettato dell’art. 41 Cost., limiti in qualche misura espressivi di interessi confliggenti di rango analogo a quelli patrimoniali tipici del diritto di proprietà.
È ovviamente il diritto dei creditori ciò di cui si tratta, creditori intesi non uti singuli bensì come categoria in una vasta accezione (sono tali i fornitori di beni o servizi – i quali a loro volta ben frequentemente sono imprenditori –, i dipendenti, i collaboratori non legati da un contratto di lavoro subordinato, i finanziatori, gli obbligazionisti, in qualche misura persino i soci, quando l’impresa abbia – come è ormai la maggioranza pressoché assoluta – forma societaria).
Quando l’attività d’impresa sia esercitata da una personne morale, una notazione ulteriore merita d’essere segnalata: nessun dubbio che si riproduca il fenomeno ora ricordato (le condotte tipiche ricadono sui beni dell’impresa societaria), ma un connotato peculiare caratterizza i comportamenti dei soggetti qualificati. Questi ultimi sono infatti a loro volta soggetti terzi rispetto all’ente, del quale, in forza della rappresentanza organica, gestiscono beni e attività: sicché le condotte tipizzate dalle fattispecie di bancarotta (patrimoniale) si presentano in tale contesto con un contrassegno ulteriore d’illiceità originaria. Lette nell’ambito societario in forza del rinvio operato dall’art. 223 l. fall., le descrizioni contemplate nell’art. 216, co. 1, n. 1, l. fall. – espresse con termini semanticamente di per sé evocativi di un intrinseco disvalore – acquistano una ulteriore valenza negativa in quanto denotano per sé una anomala gestione dei beni dell’impresa societaria, beni comunque non degli autori qualificati, che rispetto ad essi hanno precisi obblighi di fedeltà e correttezza gestoria nei confronti dell’ente che di quei beni è il titolare effettivo.
2.2 Condotte di bancarotta e meritevolezza di pena
Letti dal punto di vista in precedenza riassunto, i comportamenti tipizzati nelle fattispecie di bancarotta esprimono compiutamente – nel momento stesso della loro realizzazione – il disvalore penale, inteso propriamente come l’offesa recata al bene giuridico tutelato (la garanzia dei creditori).
Che la punibilità di tali condotte, sub specie dei correlativi reati fallimentari, dipenda tuttavia dal verificarsi di una condizione estrinseca rispetto alle condotte medesime (la sentenza che accerta lo stato d’insolvenza) non sembra tuttavia argomento bastevole a mutare il segno dell’asserzione: «la dichiarazione di fallimento entra nella fattispecie non perché fondi o incrementi il disvalore intrinseco nei fatti di bancarotta, ma per mere ragioni di opportunità … la dichiarazione di fallimento nulla aggiunge all’offesa alle ragioni creditorie già insita nei fatti di bancarotta»11.
Come s’è cercato di mostrare, i comportamenti singolarmente descritti nelle varie figure dei reati di bancarotta presentano dapprima una connotazione in termini di disvalore (talvolta anche penale) autonoma e indipendente rispetto all’offesa tipica di tali reati.
Se, ad esempio, i fatti distrattivi/appropriativi dell’imprenditore individuale su beni dell’impresa possono rimanere estranei alla reazione penale, non per questo siffatte condotte sono prive di riprovevolezza sul versante civilistico. Ben diversamente, invece, qualora analoghi fatti di natura distrattiva vengano posti in essere da amministratori di società, manifesta ne è la rilevanza penalmente tipica in relazione (quantomeno) alla fattispecie di appropriazione indebita aggravata.
Una autonoma e indipendente caratterizzazione in termini di illiceità hanno pure le condotte violatrici della regola della par condicio fissata dall’art. 2741, co. 1, c.c., violazioni che in sede civile trovano appropriata tutela. Altrettanto deve dirsi con riferimento alla tenuta delle scritture contabili, che gli artt. 2214 ss. c.c. fissano come obbligo dell’imprenditore.
Sicché non pare azzardata l’affermazione che tutte le condotte costitutive delle figure dei reati di bancarotta sono intrinsecamente connotate in termini di illiceità, recanti dunque una nota di disvalore che prescinde dal «fallimento (che) è l’ambiente proprio del reato di bancarotta»12.
Proprio ragioni di interesse economico generale, connesse indissolubilmente al reticolo di rapporti che l’attività d’impresa determina («l’imprenditore commerciale (è) più impegnato socialmente del comune debitore»13), sconsigliano dunque «una repressione automatica (che) poco gioverebbe agli stessi creditori: finché la crisi non si dimostri irreversibile essi possono contare su di una ripresa che consenta un soddisfacimento integrale»14.
È dunque la irreversibilità della crisi, sancita dalla sentenza che la accerta giudizialmente, a condizionare l’operatività delle disposizioni incriminatrici in materia di bancarotta. Ma tale situazione ben può verificarsi indipendentemente dalle condotte costitutive dei reati di bancarotta, come si ricava agevolmente dal dato normativo, posto che soltanto per alcune ipotesi il legislatore esplicitamente richiede la sussistenza di un nesso eziologico tra condotta e il dissesto o l’insolvenza: «nessun nesso causale è richiesto tra i fatti di bancarotta e il fallimento, inteso non solo come atto di giurisdizione, ma anche, sotto il profilo sostanziale, come insolvenza giudizialmente accertata. Nessun “crescendo” sul piano della lesività (tanto meno un’omologazione a posteriori), visto che l’insolvenza può esplodere per tutt’altre cause, magari le più imprevedibili»15.
Si può dunque concludere con la dottrina più autorevole riconoscendo «alla dichiarazione di fallimento nella bancarotta prefallimentare la natura di condizione obiettiva di punibilità, secondo la nozione ricavabile dall’art. 44 c.p.»16: condizione oggettiva estrinseca, poiché «si tratta di un requisito di tipo obiettivo collocato, per così dire, ai margini della fattispecie, in quanto non collegato alla condotta né sul piano causale né sul piano psicologico (che, in altre parole, non viene addebitato all’agente)»17.
Né siffatta conclusione sembra dover mutare pur di fronte a una recente e già in precedenza ricordata decisione del Giudice della legge, che a pieno titolo si presenta come la conclusione postrema della riflessione sul controverso argomento.
A non riuscir convincente è però l’esito che dall’assetto argomentativo che motiva la decisione viene tratto: pur avendo esattamente rilevato che le condotte tipizzate sono in sé stesse espressive di un disvalore corposo e ben percepibile (sicuramente precedente – e non soltanto in termini cronologici – al fallimento), pur riconoscendo che l’oggetto della tutela apprestata dalla comminatoria penale è l’integrità del patrimonio nella sua funzione di garanzia per i creditori sociali (sicché l’esposizione a pericolo di tale integrità realizza l’offesa), pur rivendicando alla bancarotta fraudolenta lo status di reato di pericolo, la Corte di cassazione ritiene ancora di non ravvisare nella sentenza dichiarativa di fallimento nulla più che una condizione (estrinseca), alla quale il legislatore ha subordinato – per ragioni di opportunità18 – la punibilità di un fatto di reato già compiutamente perfetto.
È l’intrinseca idoneità lesiva delle condotte a integrare «l’offesa di pericolo, tipica del reato di bancarotta fraudolenta, verso il possibile pregiudizio per le ragioni dei creditori», non già «l’atto introduttivo della procedura concorsuale»19, che, questa volta sul versante dell’offensività, niente viene ad apportare, ponendosi tale atto introduttivo – come ben esattamente osserva la pronunzia appena richiamata – quale “eventualità” (testualmente: «nell’eventualità che tale procedura venga instaurata»20).
Ma, vien da notare, il carattere della “eventualità” appare più congeniale a una condizione obiettiva (estrinseca) di punibilità, cui è fisiologicamente connaturato il profilo dell’incertezza in ordine al suo verificarsi, che non a un estremo del fatto, quantunque adombrato sotto le eleganti vestigia di «prospettiva nella quale deve essere valutata l’effettiva offensività della condotta»21 ovvero di «elemento orientativo dell’offesa»22.
Formule entrambe che – se assunte nella loro obiettività – paiono rimandare non già a un innovativo elemento di fattispecie (un nuovo ente dogmatico, la creazione del quale non sembra tuttavia necessaria), quanto invece alle caratteristiche di una circostanza (la sentenza dichiarativa di fallimento) comunque esterna al reato e necessariamente inquadrabile nel novero delle condizioni obiettive di punibilità.
Se pur si confina la sentenza di fallimento al ruolo di condizione oggettiva (estrinseca) di punibilità, non può sottacersi che da un lato la risalente riflessione secondo la quale «il fallimento è l’ambiente proprio del reato di bancarotta»23 e, dall’altro, l’esigenza di rendere la colpevolezza della bancarotta conforme alla Schuldtheorie costituzionalmente orientata, così come ricavabile dalle pronunce della Consulta del 198824, suggeriscono di non ritenere bastevole che ad essere proiettati sullo «schermo mentale»25 dell’agente siano esclusivamente i comportamenti elencati nelle singole incriminazioni di bancarotta, richiedendosi piuttosto che la coscienza e volontà investano anche un quid pluris rispetto alla materialità del fatto di bancarotta.
3.1 Bancarotta e principio di colpevolezza
In tema di reati fallimentari, «spetta all’interprete di scoprire nella (struttura delle figure tipiche) una pregnanza di disvalori, materiali e psicologici, che dia ragione del livello sanzionatorio»26, sicché a connotare le condotte secondo il colore dell’offesa tipica delle fattispecie di bancarotta dovrà necessariamente essere un estremo segnaletico di tale offensività.
La “garanzia” per tal modo presidiata si traduce allora nella soggezione dei beni dell’impresa a un obbligo di conservazione in vista delle esigenze di soddisfacimento delle obbligazioni verso i creditori, che limita il potere di disposizione.
Ma la funzione di tale garanzia ne segna anche la linea estrema, che è altresì il riflesso della sua natura relativa. Proprio in quanto concetto di relazione, la garanzia «rimanda alla entità garantita, rappresentata dall’insieme delle obbligazioni cui l’imprenditore deve far fronte», con l’indefettibile conseguenza che siffatto «obbligo di conservazione è circoscritto al valore necessario a soddisfare le obbligazioni man mano che vengono a scadenza. Al di là di questo limite si riespande il potere di disposizione»27.
È il superamento di siffatto limite a costituire l’oggetto della rappresentazione (o la sua prevedibilità per le fattispecie colpose): ma non deve sfuggire, da un lato, la visione dinamica dell’attività d’impresa e, dall’altro, la funzione di tutela nei confronti della categoria dei creditori colta nella sua dimensione metaindividuale, rivolta non soltanto ai creditori presenti, ma anche a quelli futuri.
Si tratta di una valutazione complessa e delicata, tuttavia indispensabile nell’ottica del rispetto effettivo del principio di colpevolezza nei reati di bancarotta, poiché soltanto la consapevolezza (o la prevedibilità per le fattispecie colpose) di sottrarre beni alla garanzia dei creditori assicura coerenza con il canone espresso dalle pronunce del Giudice delle leggi del 198828.
Al di là delle “etichette” da assegnare al fallimento, soltanto una valorizzazione del profilo della colpevolezza nell’ottica da ultimo segnalata sembra promettere una lettura non irrazionale delle fattispecie penalfallimentari, assicurando alle stesse la piena conformità ai precetti costituzionali.
3.2 Tempus e locus commissi delicti del reato condizionato
La determinazione del momento consumativo trova soluzione lineare nel disposto del capoverso dell’art. 158 c.p., a mente del quale il «giorno in cui la condizione si è verificata» segna il momento di decorrenza del termine della prescrizione «quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione»29.
Quanto al locus commissi delicti, non può sfuggire il silenzio dei codici penali (sostanziale e di rito) nelle ipotesi che il reato sia sottoposto a condizione oggettiva di punibilità: distinti argomenti permettono tuttavia di giungere a una conclusione giuridicamente coerente.
Da un lato il canone fissato dall’art. 158, cpv., c.p. suggerisce un primo parametro di riferimento sul versante sistematico, cui s’accompagna, dall’altro, la considerazione che «prima del verificarsi dell’evento dedotto dalla legge come condizione, non vi sono ancora termini concreti di rilevanza penale»30: sicché il luogo di commissione del reato si identifica con quello nel quale la condizione si è verificata31.
Che se poi si ritenesse che il reato è tale quando ricorrono i suoi quattro elementi costitutivi32, nessun dubbio potrebbe allora sussistere sulla conclusione che le fattispecie di bancarotta vengono a giuridica esistenza nel luogo e nel tempo nei quali si realizza anche il quarto elemento costitutivo (id est: la punibilità).
1 Ovvero: della pronunzia giudiziale dichiarativa dello stato d’insolvenza che dà ingresso alle procedure concorsuali.
2 Cass. pen., 24.9.2012, n. 47502 (cd. sent. Ravenna Calcio), in Dir. pen. proc., 2013, 437 ss., con nota di F. Mucciarelli, La bancarotta distrattiva è reato d'evento?
3 Cass. pen., S.U., 25.1.1958, n. 2.
4 Cocco, G., Il ruolo delle procedure concorsuali e l’evento dannoso nella bancarotta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 67; Lanzi, A., La Cassazione «razionalizza» la tesi del fallimento come evento del reato di bancarotta, in Indice pen., 2014, 117 ss.; Troyer, L. Ingrassia, A., Il dissesto come evento della bancarotta fraudolenta per distrazione: rara avis o evoluzione della (fatti)specie?, in Società, 2013, 335.
5 Per una critica alla ricordata sent. Ravenna Calcio, v. D’Alessandro, F., Reati di bancarotta e ruolo della sentenza dichiarativa del fallimento: la Suprema Corte avvia una revisione critica delle posizioni tradizionali?, in Dir. pen. cont., 2013, fasc. 3; Sandrelli, G. G., Note critiche sulla necessità di un rapporto di causalità tra la condotta di distrazione e lo stato di insolvenza nel delitto di bancarotta «propria», in Cass. pen., 2013, 1429 ss.
6 Si veda ad esempio Cass. pen., 24.9.2012, n. 733, in www.penalecontemporaneo.it., 28.1.2013, con commento adesivo di F. Viganò, Bancarotta fraudolenta: confermato l’insegnamento tradizionale sull’irrilevanza del nesso causale tra condotta e fallimento. Cfr., da ultimo, Cass. pen., 7.3.2014, n. 32352.
7 Si tratta di Cass. pen., 5.12.2014, n. 15613, in www.penalecontemporaneo.it, 13.5.2015, con nota di C. Bray, La Cassazione sul caso Parmalat-Capitalia (e ruolo del fallimento nel delitto di bancarotta).
8 Pedrazzi, C., Reati fallimentari, in Pedrazzi, C.Alessandri, A.Foffani, L.Seminara, S.Spagnolo, G., Manuale di diritto penale dell’impresa, II ed. agg., Bologna, 1998, 107.
9 Pedrazzi, C., Reati fallimentari, cit., 107 s.
10 Si consideri, ad esempio, il caso dell’incendio di cosa propria.
11 Pedrazzi, C., Reati fallimentari, cit., 108.
12 Delitala, G., Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. it. dir. comm., 1926, 450, ora in Id., Diritto penale. Raccolta degli scritti, II, Milano, 1976, 725.
13 Pedrazzi, C., (sub) Art. 216, in Pedrazzi, C.Sgubbi, F., Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito. Art. 216-227, in Galgano, F., a cura di, Comm. Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1995, 220, adesso anche in Pedrazzi, C., Diritto penale, IV, Scritti di diritto penale dell’economia, Milano, 2003, 442 (da qui le citazioni).
14 Pedrazzi, C., (sub) Art. 216, cit., 443.
15 Pedrazzi, C., Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989, 898, adesso anche in Id., Diritto penale, IV, cit., 1013 (da qui le citazioni).
16 Pedrazzi, C., Reati fallimentari, cit., 108.
17 Pedrazzi, C., op. loc. ultt. cit.
18 Cfr. Pedrazzi, C., op. loc. ultt. citt.
19 Così Cass. pen. n. 15613/2014, cit., 99.
20 Cass. pen. n. 15613/2014, cit. 99.
21 Così Cass. pen. n. 15613/2014, cit., 98.
22 Così Cass. pen. n. 15613/2014, cit., 99.
23 Delitala, G., Contributo alla determinazione della nozione, loc. cit.
24 C. cost., 24.3.1988, n. 364; C. cost., 13.12.1988, n. 1085.
25 Pedrazzi, C., Tramonto del dolo?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1267, adesso anche in Id., Diritto penale, I, Scritti di parte generale, Milano, 2003, 304.
26 Pedrazzi, C., (sub) Art. 216, cit., 421.
27 Pedrazzi, C., Riflessioni sulla lesività della bancarotta, in Scritti in memoria di Giacomo Delitala, II, Milano, 1984, 1111, ora in Id., Diritto penale, IV, cit., 991.
28 V. ancora C. cost. n. 364/1988; C. cost. n. 1085/1988.
29 In questo senso Pedrazzi, C., Incostituzionali le fattispecie di bancarotta?, cit., 1017. In senso analogo cfr. Gallo, M., Appunti di diritto penale, I, Torino, 1999, 172; Romano, M., (sub) Art. 6, in Commentario sistematico del codice penale, I, III ed., Milano, 2004, 127.
30 Romano, M., op. loc. ult. cit.
31 In questo senso Romano, M., op. cit.; analogamente Gallo, M., op. cit., nonché, diffusamente e con argomenti anche diversi, Pedrazzi, C., Incostituzionali le fattispecie, cit., 1011 ss. In giurisprudenza, v. Cass. pen., 20.3.1964, Bernardi; Cass. pen., ord. 11.5.1973, Tintinero.
32 Cfr. Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale di diritto penale, pt. gen., V ed., Milano, 2015, 181 ss.