Abstract
Vengono esaminati gli effetti del fallimento sui creditori, così come disciplinati negli artt. 51-63 del testo attuale della Legge fallimentare, anche alla luce delle più recenti decisioni giurisprudenziali. La trattazione tiene conto di tutte le recenti modifiche alla legge fallimentare, che hanno inciso profondamente nella materia degli effetti del fallimento.
Gli effetti di diritto sostanziale della dichiarazione di fallimento sono disciplinati nel Capo III del Titolo II della Legge fallimentare. Il suddetto capo è diviso in 4 sezioni, dedicate rispettivamente agli effetti del fallimento nei confronti del fallito (artt. 42-49), nei confronti dei creditori (artt. 51-63), sugli atti pregiudizievoli ai creditori (artt. 64-71) e sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 72-83 bis). La ratio comune ai suddetti effetti, ricollegabili alla natura costitutiva della sentenza dichiarativa di fallimento, va rinvenuta nella necessità di assicurare la conservazione e l’incremento della massa attiva da un canto, e la cristallizzazione della massa passiva dall’altro. Singole regole sono peraltro finalizzate ad ulteriori scopi, come quello di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, ove disposta, o a rendere più agevole lo svolgimento della procedura.
Gli artt. 51-63 della Legge fallimentare dettano alcuni principi fondamentali in materia di trattamento dei creditori nel fallimento, non esaurendo peraltro tale disciplina, che permea l’intera procedura fallimentare. Le regole contenute nei suddetti articoli possono così raggrupparsi: a) regole tendenti a proteggere il patrimonio fallimentare dalle iniziative dei singoli creditori, al fine della realizzazione della par condicio creditorum (artt. 51 e 52 l. fall.); b) regole tendenti a disciplinare il trattamento delle varie categorie di creditori (artt. 53 e 54 l. fall.); c) regole tendenti a quantificare il credito da ammettere al passivo fallimentare (artt. 55, 56, 57, 58, 59 e 60 L. fall.); d) regole tendenti a disciplinare la posizione di creditori o terzi che si trovano in particolari situazioni di solidarietà (artt. 61, 62 e 63 l. fall.). In linea generale può osservarsi che le suddette norme appaiono poco omogenee, oltre che spesso imprecise, e vanno lette alla luce ed in coordinamento con altre norme sparse nella Legge fallimentare e nel Codice civile.
L’art. 52 l. fall. stabilisce che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito. La norma ha una rilevante portata sia dal punto di vista sostanziale che processuale. La dichiarazione di fallimento segna infatti il momento della fine della tutela individuale del credito, e la sua sostituzione con la tutela collettiva, realizzata dagli organi fallimentari, secondo i principi della concorsualità e dell’universalità. L’azione esecutiva del singolo creditore nei confronti di singoli beni del debitore cede il posto all’azione di massa, nell’interesse di tutti i creditori e sull’intero patrimonio del debitore fallito.
I creditori devono pertanto far accertare il loro credito secondo le regole dell’accertamento del passivo fallimentare, contenute nel Capo V della Legge fallimentare, ed attendere per la loro soddisfazione lo svolgimento della procedura fallimentare ed i riparti. Alla procedura dell’accertamento del passivo sono sottoposti tutti i creditori, sia chirografari che privilegiati, e persino i creditori in prededuzione, per i quali comunque l’art. 111 bis l. fall. prevede la liquidazione fuori concorso se non contestati (è questa una delle eccezioni cui si riferisce il co. 2 dell’art. 52 l. fall.). Devono sottoporsi alla verifica del passivo anche, ed è questa una importante precisazione introdotta dalla riforma nel terzo comma dell’art. 52 l. fall., raccogliendo quella che era in precedenza una tesi diffusa in dottrina e giurisprudenza, i creditori che non sono sottoposti al divieto di azioni esecutive individuali, in particolare i creditori fondiari ed assimilati, di cui si dirà (sui rapporti tra esecuzione individuale e fallimentare, Cass., 4.9.2009, n. 19217, in Dir. fall., II, 286, con nota di Penta, A., I rapporti tra esecuzione concorsuale ed esecuzione individuale. Il credito fondiario). Solo con l’ammissione al passivo i creditori concorsuali diverranno ‘concorrenti’, quindi con diritto a concorrere alle ripartizioni dell’attivo.
Diretta conseguenza della concorsualità è il divieto di azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 51 l. fall.: «[s]alvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere inziata o proseguita durante il fallimento». L’espressione «salvo diversa disposizione di legge» si riferisce a poche ipotesi, previste nella stessa legge fallimentare, come l’art. 53 per il creditore pignoratizio e quello privilegiato con diritto di ritenzione, o in leggi speciali, come per il credito ipotecario fondiario, quello per le opere pubbliche, l’agrario e il peschereccio (artt. 41, 42 e 44 t.u.b.), ipotesi nelle quali il creditore può, anche in corso di fallimento, avviare o proseguire le azioni esecutive individuali, ma, come si è già detto, deve comunque sottoporsi alla verifica del credito in sede fallimentare, e potrà percepire in sede esecutiva solo quanto è stato accertato in sede fallimentare, dovendosi riversare il residuo nelle casse del fallimento. Per il creditore pignoratizio, o con diritto di ritenzione, si ritiene anzi che anche la soddisfazione del creditore debba avvenire in sede fallimentare, tramite riparto delle somme ricavate (Cass. civ., 18.12.2006, n. 27044). Dal punto di vista processuale, poi, il divieto di azioni esecutive o cautelari si sostanzia nella dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità delle procedure esecutive, salvo che il curatore intenda subentrarvi (art. 107, co. 6, l. fall.; Cass., 2.12.2010, n. 24442).
Una precisazione di particolare rilievo introdotta dal legislatore della riforma del 2006 è quella secondo la quale sono inibite anche le azioni cautelari, oltre che quelle esecutive. Ciò ha risolto in senso negativo il quesito, prima molto dibattuto, della ammissibilità di azioni cautelari in corso di fallimento. Mentre, infatti, in precedenza si riteneva il sequestro conservativo incompatibile con le finalità del fallimento, si ritenevano invece da una parte della dottrina e della giurisprudenza ammissibili il sequestro giudiziario, i provvedimenti di urgenza ex art 700 c.p.c., nonché la denunzia di nuova opera e danno temuto.
L’art. 54 della Legge fallimentare si occupa dei creditori privilegiati nella ripartizione dell’attivo. Il legislatore vuole riferirsi ai creditori che vantano cause legittime di prelazione, quindi i creditori ipotecari, i pignoratizi, e quelli forniti di privilegio generale o speciale, ovviamente se ammessi al passivo con riconoscimento della prelazione e se il bene è recuperato alla massa. In sede di riparto questi creditori sono preferiti agli altri in relazione al ricavato del bene sul quale vantano la causa di prelazione, secondo, in caso di concorso, l’ordine stabilito dal codice civile negli artt. 2777 e ss., cui si rinvia.
La preferenza opera però soltanto sul bene oggetto di prelazione, e nei limiti del ricavato ottenuto da questo; per l’eventuale eccedenza del credito sono trattati come chirografari concorrendo insieme ad essi (art. 54, co. 1, e 111 quater l. fall.); possono peraltro partecipare a titolo di acconto anche alle ripartizioni effettuate prima della vendita del bene (art. 54, co. 2, l. fall.); se viceversa dalla vendita del bene si ricava una somma eccedente il credito privilegiato (o i privilegiati), tale somma sarà destinata alla soddisfazione dei chirografari.
I creditori privilegiati, a differenza dei chirografari, hanno diritto a far valere i loro crediti per il capitale, gli interessi e le spese (art. 54, co. 1, l fall.). Per i creditori privilegiati, infatti, non vale, o vale solo parzialmente, la regola della sospensione del decorso degli interessi in corso di fallimento (art. 55, co. 1, l. fall.). Prima della riforma del 2006 era discusso se gli interessi andassero collocati anch’essi al privilegio o al chirografo, ed in quale misura. La riforma ha precisato che anche gli interessi e le spese vanno collocati al grado prelatizio, ma solo nei limiti previsti dal terzo comma dell’art. 54 l. fall., mentre per il residuo riprende vigore la regola generale di sospensione del decorso degli interessi prevista nell’art. 55 l. fall. (interessi che non possono essere ammessi neppure al chirografo).
Con riferimento in particolare ai creditori ipotecari, il co. 3 dell’art. 54 richiama l’art. 2855, co. 2-3, c.c. secondo il quale la collocazione preferenziale degli interessi vale per le due annate anteriori e per quella in corso al giorno del pignoramento (cui è equiparato il fallimento), mentre per gli interessi maturati successivamente in corso di fallimento essi sono collocati al privilegio nella misura legale e sino alla data della vendita. Eventuali interessi maturati prima del biennio e non pagati potranno essere collocati al chirografo, mentre per l’eventuale differenza tra interesse legale ed interesse convenzionale in corso di fallimento varrà, come si è detto, la regola della sospensione degli interessi. La normativa riguarda però solo gli interessi corrispettivi, e non quelli moratori, che non possono essere tenuti in considerazione (Cass., 30.8.2007, n. 18312).
Con riferimento in particolare ai creditori pignoratizi, il co. 3 dell’art. 54 richiama l’art. 2788 c.c. secondo il quale la collocazione preferenziale degli interessi vale per l’anno in corso alla data del pignoramento (cui è equiparato il fallimento), mentre per gli interessi maturati successivamente in corso di fallimento essi sono collocati al privilegio nella misura legale e sino alla data della vendita. Eventuali interessi maturati prima dell’anno e non pagati potranno essere collocati al chirografo, mentre per l’eventuale differenza tra interesse legale ed interesse convenzionale in corso di fallimento varrà, come si è detto per gli ipotecari, la regola della sospensione degli interessi.
Con riferimento infine ai creditori privilegiati, il co. 3 dell’art. 54 richiama l’art. 2749 c.c. secondo il quale la collocazione preferenziale degli interessi vale per l’anno in corso alla data del pignoramento (cui è equiparato il fallimento), mentre per gli interessi maturati successivamente in corso di fallimento essi sono collocati al privilegio nella misura legale e sino alla data della vendita, tranne che per i crediti assistiti da privilegio generale, per i quali il decorso degli interessi cessa alla successiva data del deposito del progetto di riparto (art. 54, co. 3, l. fall.). Per i crediti di lavoro opera inoltre anche la rivalutazione monetaria, ma solo sino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo (tra le altre Cass., 27.7.2011, n. 16447). Eventuali interessi maturati prima dell’anno e non pagati potranno essere collocati al chirografo, mentre per l’eventuale differenza tra interesse legale ed interesse convenzionale in corso di fallimento varrà, come si è detto, la regola della sospensione degli interessi. Ai fini della soddisfazione preferenziale dei creditori privilegiati sui singoli beni, secondo l’ordine dei privilegi, è previsto che il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei singoli beni mobili o immobili oggetto di privilegio (art. 111 ter l. fall.). Va infine rilevato che la sospensione, totale o parziale, degli interessi opera solo «agli effetti del concorso» (art. 55, co. 1, l. fall.) con la conseguenza che il creditore potrà richiedere al fallito gli interessi non percepiti a seguito della chiusura del fallimento, regola di particolare rilievo qualora, ad esempio, il fallimento si chiuda con esubero di attivo, e salvo la chiusura per concordato o l’avvenuta esdebitazione (Inzitari, B., Interessi postfallimentari ed endofallimentari: responsabilità del debitore, imputazione dei pagamenti ricevuti dai creditori concorsuali, in Dir. fall., 2012, I, 693); la sospensione degli interessi non vale, inoltre, nei confronti dei garanti.
La posizione dei creditori relativamente all’importo del credito va cristallizzata al momento della dichiarazione di fallimento, sia per una migliore gestione della procedura, sia per la perdita del beneficio del termine da parte del debitore fallito (art. 1186 c.c.). In proposito sono dettate una serie di regole finalizzate a quantificare i crediti a tale data, senza peraltro agevolare alcuna categoria di creditori, in ossequio alla par condicio creditorum. Tali regole valgono per tutti i crediti, sia chirografari che privilegiati, salvo, per questi ultimi, la produzione di interessi nel corso del fallimento, di cui si è detto. Tali regole sono le seguenti: a) i debiti pecuniari si considerano scaduti alla data di dichiarazione di fallimento (art. 55, co. 2, l. fall.); b) i debiti non pecuniari si considerano scaduti anch’essi alla data di fallimento, e concorrono per il loro valore a tale data (art. 59 l. fall.); c) i debiti infruttiferi non scaduti si considerano scaduti anch’essi alla data di fallimento, e concorrono per il loro valore a tale data, ma subiranno una decurtazione al momento del riparto per compensare l’eventuale anticipato pagamento (art. 57 l. fall.); d) i debiti sottoposti a condizione partecipano al concorso e vengono ammessi al passivo subordinatamente all’avverarsi della condizione (artt. 55, 96, 113 e 113 bis l. fall.); d) i prestiti obbligazionari e i titoli di debito di società sono ammessi al valore nominale detratti i rimborsi (art. 58 l. fall.); e) i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorchè non scaduti prima della dichiarazione di fallimento, salvo, per evitare frodi, che il credito sia stato acquistato nell’anno anteriore o successivamente (art. 56 l. fall.). Trattasi, per pacifica opinione, di una forma di compensazione legale in deroga ai principi generali del concorso, per cui può operare solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 1243 c.c.: i crediti devono pertanto essere omogenei, liquidi ed esigibili.
Negli artt. 61-63 della Legge fallimentare è infine disciplinata l’ipotesi della presenza di più coobligati in solido con il fallito, cercandosi di contemperare la disciplina civilistica della solidarietà passiva con le specifiche esigenze del fallimento. La legge regola tre diverse fattispecie: a) la prima riguarda l’ipotesi in cui vi siano più coobbligati in solido falliti, come avviene ad esempio nel fallimento dei soci illimitatamente responsabili delle società di persone; qui il legislatore stabilisce che il creditore può insinuare l’intero credito in ciascun fallimento, sino all’ottenimento del totale pagamento, mentre l’eventuale azione di regresso non può essere esercitata prima dell’integrale soddisfazione del creditore (art. 61 l. fall.); b) la seconda riguarda l’ipotesi in cui il creditore abbia ottenuto prima della dichiarazione di fallimento un pagamento parziale da un coobbligato o da un fideiussore del fallito, nel qual caso può concorrere solo per il credito residuo, mentre il coobbligato può insinuarsi per la parte che ha pagato (art. 62 l. fall.); la possibilità di insinuarsi per l’intero, in deroga all’art. 1299 c.c., costituisce una regola di favore per il coobbligato, anche se è previsto che il creditore possa farsi assegnare la quota di riparto del coobligato sino a concorrenza del suo credito, in quanto il coobbligato è pur sempre responsabile per l’intero nei suoi confronti; c) qualora il coobbligato o il fideiussore del fallito abbia un diritto di pegno o di ipoteca a garanzia del regresso, può insinuarsi al passivo per la somma per la quale ha ipoteca o pegno (sembra anche se non sia stato ancora escusso, nel qual caso l’insinuazione avrà carattere condizionale), ma anche qui il creditore potrà giovarsi di tale insinuazione sino a concorrenza della somma dovutagli (art. 63 l. fall.).
Va, infine, ricordato che vi sono altre norme nella Legge fallimentare che riguardano le obbligazioni in solido, come quelle che prevedono la responsabilità per l’intero credito da parte dei coobligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso in caso di concordato fallimentare e di esdebitazione del fallito (artt. 135 e 142 l. fall.), e quelle relative al fallimento dei soci illimitatamente responsabili delle società di persone (artt. 147 e ss. l. fall.).
Artt. 51-63 l. fall.
Oltre agli scritti relativi a specifici argomenti e citati nel testo, si vedano sugli effetti del fallimento i seguenti trattati e commentari: Genoviva, P., Gli effetti del fallimento per il fallito e per i creditori, in , in Fauceglia, G.-Panzani, L., diretto da, Fallimento ed altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1, 443 ss.; Marelli, F. e al., Degli effetti del fallimento per i creditori, in Jorio A., diretto da, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2009, 1, 762 ss.; Ferro, M., La legge fallimentare, Padova, II ed., 2011, 501 ss.; Maffei Alberti, A., Commentario breve alla legge fallimentare, V ed., Padova, 2009; Forgillo E., e al., Degli effetti del fallimento per i creditori, in La legge fallimentare dopo la riforma, in Nigro A.-Sandulli, M.-Santoro, V., a cura di, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1, 735ss.; Caron, A.-Macario, F., Gli effetti del fallimento per i creditori, in Apice, U., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010, I, 451ss.; Caiafa A., a cura di, Le procedure concorsuali, Padova, 2011, I, 301 ss.; per la normativa anteriore alla riforma, ancor oggi in vigore per le procedure fallimentari dichiarate prima dell’entrata in vigore della riforma, Ragusa Maggiore, G.-Costa, C., diretto da, Le procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997, 2, 1 ss.