Abstract
Vengono esaminati gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, così come disciplinati negli artt. 64-71 del testo attuale della Legge fallimentare, anche alla luce delle più recenti decisioni giurisprudenziali. La trattazione tiene conto di tutte le recenti modifiche alla legge fallimentare, che hanno inciso profondamente nella materia degli effetti del fallimento.
Gli effetti di diritto sostanziale della dichiarazione di fallimento sono disciplinati nel Capo III del Titolo II della Legge fallimentare. Il suddetto capo è diviso in 4 sezioni, dedicate rispettivamente agli effetti del fallimento nei confronti del fallito (artt. 42-49), nei confronti dei creditori (artt. 51-63), sugli atti pregiudizievoli ai creditori (artt. 64-71) e sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 72-83 bis). La ratio comune ai suddetti effetti, ricollegabili alla natura costitutiva della sentenza dichiarativa di fallimento, va rinvenuta nella necessità di assicurare la conservazione e l’incremento della massa attiva da un canto, e la cristallizzazione della massa passiva dall’altro. Singole regole sono peraltro finalizzate ad ulteriori scopi, come quello di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, ove disposta, o a rendere più agevole lo svolgimento della procedura.
Scopo fondamentale della procedura fallimentare non è solo quello di liquidare il patrimonio dell’imprenditore esistente al momento della dichiarazione di fallimento, ma anche quello di incidere sugli atti posti in essere prima della dichiarazione di fallimento al fine di ristabilire la par condicio creditorum. L’effetto recuperatorio dell’azione revocatoria è tanto maggiore quanto più il debitore ha posto in essere prima della dichiarazione di fallimento atti idonei ad incidere sul patrimonio, o tali atti siano stati posti in essere da terzi (ad esempio l’iscrizione di ipoteche giudiziali).
Nel fallimento può essere esercitata dal curatore anche l’azione revocatoria ordinaria prevista negli artt. 2901-2904 c.c., ma dimostrandone la ricorrenza dei presupposti, cioè il consilium fraudis e l’eventus damni (Cass., 31.10.2008, n. 26331). L’art. 66 l. fall. infatti prevede che il curatore può domandare che «siano dichiarati inefficaci gli atti secondo le norme del codice civile». Essendo peraltro esercitata nell’ambito di un fallimento, l’azione è sottoposta alla vis attrattiva del tribunale fallimentare. Discusso è invece se la revocatoria ordinaria esercitata nel fallimento abbia effetti recuperatori (ai soli fini dell’apprensione o della vendita da parte del curatore) come la revocatoria fallimentare, o se consenta solo di agire in via esecutiva presso i beni del terzo acquirente, come appare in linea, secondo anche l’opinione prevalente, con la dizione dell’art. 66 l. fall. e la conservazione dei caratteri peculiari della revocatoria ordinaria, pur se esercitata nell’ambito di un fallimento. Visto peraltro che i presupposti e gli oneri probatori nella revocatoria ordinaria sono più gravosi, essa finisce per essere, nel fallimento, una azione residuale, da esperire quando non possa essere esperita la revocatoria fallimentare, o in subordine a questa. Qualora invece la revocatoria ordinaria sia stata avviata da un creditore prima del fallimento, il curatore può subentrarvi (Cass., 19.4.2011, n. 8984) ed il creditore va estromesso (Cass., 17.12.2008, n. 29420), altrimenti l’azione diventa improcedibile. Si ritiene inoltre che abbia sempre natura di revocatoria ordinaria la revocatoria avviata verso i terzi subacquirenti, con la conseguenza che contro di loro non ci si può avvalere delle agevolazioni probatorie previste per la revocatoria fallimentare (Cass., 23.12.2009, n. 27230), e che sia applicabile l’ultimo comma dell’art. 2901 c.c, che fa salvi i diritti dei terzi subacquirenti in buona fede che abbiano acquistato a titolo oneroso.
Mentre peraltro nella revocatoria ordinaria il danno è un requisito fondamentale, si discute da sempre se nella revocatoria fallimentare il danno per la massa, quindi la circostanza che l’atto da revocare abbia comportato un danno per il patrimonio del fallito, sia un requisito necessario, anche se inespresso. Principale conseguenza dell’una o dell’altra opinione, che si sostanziano nelle due diverse teorie, quella ‘indennitaria’ e quella ‘antindennitaria’, è la revocabilità o meno di un atto non dannoso. Allo stato attuale della normativa, non può peraltro negarsi che la previsione della revocabilità degli atti ‘normali’ (art. 67, co. 2, l. fall.) costituisca un forte indice nel senso della non necessarietà del danno, anche se le modifiche apportate dalla riforma del 2005-2006 farebbero propendere per una evoluzione in senso indennitario del sistema (su questo dibattito, da ultimo, Terranova, G., Par condicio e danno nelle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2010, I, 10).
L’azione revocatoria fallimentare ha subito rilevanti modifiche nella riforma del 2005-2006. Uno dei principali scopi della riforma è stato quello di cercare di creare strumenti di salvataggio delle imprese in crisi, evitando l’abbandono di essse da parte dei fornitori e delle banche, che normalmente, al primo manifestarsi della crisi, ritirano il loro sostegno preoccupati di poter subire revocatorie in caso di successivo fallimento, ma con ciò, di fatto, rendendo la crisi irreversibile. La riforma ha quindi apportato dei correttivi alla revocatoria fallimentare, dei quali i più significativi sono stati il dimezzamento del ‘periodo sospetto’, cioè del periodo di operatività della revocatoria, e l’introduzione di una serie di esenzioni dalla revocatoria medesima (art. 67, co. 3, l. fall.). Particolarmente discussa e criticata è stata la riduzione del periodo sospetto, in quanto il periodo di sei mesi è troppo breve, e potrebbe essere assorbito e vanificato dai tempi dell’istruttoria prefallimentare. Va peraltro ricordato che il recente 'Decreto sviluppo 2012' (d.l. 22.6.2012, n. 83) ha introdotto il nuovo secondo comma dell’art. 69 bis l. fall., ove si prevede che, come peraltro era già da tempo orientata la giurisprudenza, qualora il fallimento consegua a concordato preventivo, i termini retroagiscono alla data di pubblicazione della prima procedura.
La Legge fallimentare distingue, dettando regimi diversi, tra revoca degli atti a titolo gratuito (art. 64 l. fall.), degli atti anormali (art. 67, co. 1, l. fall.) e degli atti normali (art. 67, co. 2, l. fall.). La differenza di disciplina è così sintetizzabile: negli atti gratuiti la revoca è ope legis, mentre per gli atti anormali e normali occorre una sentenza di revoca; il periodo sospetto o di revocabilità è di due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento per gli atti gratuiti, mentre è di un anno o sei mesi per gli atti anormali, e di sei mesi per gli atti normali; per la revocabilità degli atti gratuiti non ha rilievo la conoscenza o meno dello stato di insolvenza da parte del terzo, tale conoscenza ha invece rilievo per gli atti anormali e normali, ma mentre nei secondi è la curatela a doverne dare la prova, per gli atti anormali si ha l’inversione dell’onere della prova, con la conseguenza di rendere estremamente difficile al terzo sottrarsi alla revoca, considerato anche che la giurisprudenza ritiene che la prova contraria debba consistere nella dimostrazione dell’esistenza di circostanze tali da far ritenere che l’imprenditore si trovasse in una situazione di normale esercizio dell’impresa (Cass., 11.4.2011, n. 8224). Va altresì ricordato che da lungo tempo la giurisprudenza ha attenuato l’onere probatorio del curatore relativamente agli atti normali, da un canto ritenendo sufficiente la ‘conoscibilità’ dello stato di insolvenza, dall’altro individuando una serie di ‘indici presuntivi di insolvenza’ (protesti, notizie sui giornali, ecc.) in presenza dei quali la conoscenza deve comunque ritenersi dimostrata (da ultimo Cass., 7.1.2013, n. 182). Nell’ambito di tale impostazione la giurisprudenza ha elaborato, più di recente, una differenziazione, ai fini della rilevanza come prova degli indici presuntivi di conoscenza, tra la controparte non qualificata e la controparte operatore qualificato, ritenendo quest’ultima in grado di cogliere i segnali di crisi molto più che il privato cittadino (ad esempio affermando la rilevabilità da parte della banca dei segnali di crisi dai bilanci delle imprese) (Cass., 18.4.2011, n. 8827; Cass., 30.7.2012, n. 13540).
Venendo ad una analisi più puntuale delle tre categorie di atti revocabili: a) atti gratuiti: l’art. 64 l. fall. indica gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. Per atti a titolo gratuito vanno intesi non solo gli atti traslativi della proprietà, ma tutti gli atti che comportino un depauperamento del patrimonio senza corrispettivo (rinunzie, remissioni, garanzie a favore di terzi, adempimenti di debiti altrui), e la valutazione di gratuità o onerosità va fatta avendo riguardo alla causa concreta del negozio, a prescindere dalla forma giuridica rivestita (Cass., 9.10.2012, n. 17200; Cass., S.U., 18.3.2010, n. 6538, in Giur. comm., 2011, II, 561, con nota di Zocca, E., Gratuità ed onerosità del pagamento del debito altrui ai fini della revocatoria fallimentare: l’intervento delle sezioni unite; e di Benedetti, L., La revocatoria fallimentare del pagamento del debito altrui: l’intervento delle sezioni unite). L’inefficacia opera ex lege, e l’eventuale azione promossa dal creditore per far valere l’nefficacia ha natura dichiarativa, e non è soggetta pertanto a prescrizione (Cass., 30.9.2011, n. 20067). Agli atti gratuiti sono assimilati i pagamenti anticipati (art. 65 l. fall.); b) atti anormali: il co. 1 dell’art. 67 l. fall. individua quattro categorie, quella degli atti cosiddetti sproporzionati (n.1), quella dei pagamenti con mezzi anormali (n. 2), quella delle garanzie costituite per debiti non scaduti (n. 3) e quella delle garanzie costituite per debiti scaduti (n. 4). La anormalità delle suddette garanzie sta nella circostanza che il legislatore ritiene “normale” solo la costituzione di garanzia contestuale al sorgere del credito; va altresì rilevato che la revocabilità delle ipoteche giudiziali costituisce una ipotesi nella quale l’effetto danno si è realizzato, a differenza delle altre ipotesi, senza alcuna collaborazione del debitore poi fallito; l’ipoteca iscritta per debiti esattoriali non è però ritenuta revocabile in quanto non assimilabile alle ipoteche giudiziali (Cass., 5.3.2012, n.3398, in Dir. fall., 2012, II, 611 con nota di Cerrato, A., I rapporti tra l’ipoteca esattoriale e l’azione revocatoria fallimentare). Va inoltre ricordato che un problema tradizionale, in tema di atti sproporzionati, è quello della simulazione di prezzo, ove la giurisprudenza costantemente ribadisce la posizione di terzo della curatela, con la conseguenza che il terzo contraente che voglia dimostrare l’effettivo prezzo pagato è sottoposto a tutte le limitazioni probatorie della disciplina della simulazione (Cass., 27.9.2012, n. 16490; Cass., 16.10.2012, n. 17761): c) atti normali: il co. 2 dell’art. 67 l. fall. indica i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati. Come si è detto, trattasi di atti revocabili anche se non hanno prodotto danno.
Va infine ricordato che vi sono anche delle revocatorie “speciali” con una disciplina autonoma, come quella in materia di patrimoni destinati (art. 67 bis l. fall.), quella del pagamento di cambiale scaduta (art. 68 l. fall.), quella degli atti tra coniugi (art. 69 l. fall.), quella dei pagamenti tramite intermediari (art. 70 l. fall.), quella in tema di factoring (art. 6, l. 21.2.1991, n. 52).
Come si è già accennato, l’introduzione di una serie di esenzioni dall’azione revocatoria nel terzo comma dell’art. 67 l. fall. ha costituito uno dei profili più rilevanti della riforma del diritto fallimentare. Si è così voluto dare una risposta all’acceso dibatto in ordine alla ‘ingiustizia’ della revocatoria ed all’uso eccessivamente ampio ed estensivo fattone dalla giurisprudenza. Il suddetto terzo comma individua sette categorie di atti sottratti alla revocatoria, cui si aggiungono le esenzioni a favore di Banca d’Italia, credito su pegno e credito fondiario previste dal quarto comma del medesimo articolo (su queste ultime Dell’Atti, G., Par condicio creditorum e tutela del risparmio e del credito: le esenzioni di cui all’art. 67, comma 4, legge fallim. nel sistema della revocatoria fallimentare, in Dir. fall., 2012, I, 488). Non è dato rinvenire una ratio comune a tutte le suddette esenzioni: mentre la maggior parte sono ispirate al tentativo di sostenere le imprese in crisi al fine di un loro salvataggio, incentivando fornitori e banche a continuare ad assisterle, altre sono ispirate da fini sociali, quali la tutela dei lavoratori e degli acquirenti di prima casa. Trattasi, inoltre, di eccezioni alla regola generale della revocabilità, quindi sarà il terzo eventualmente convenuto in revocatoria a dover dimostrare la presenza dei presupposti dell’esenzione. È, infine, opinione prevalente che tali esenzioni riguardino solo la revocatoria fallimentare, e non quella ordinaria, ed inoltre che si applichino solo alle revocatorie relative a fallimenti dichiarati dopo l’introduzione delle suddette esenzioni (Cass., 7.10.2010, n. 20834).
Venendo all’esame delle singole esenzioni, non sono soggetti all’azione revocatoria: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. È una esenzione manifestamente dettata per tutelare i fornitori che continuano ad assistere l’impresa in difficoltà, anche se la portata generale della norma consente di estenderla ad altre ipotesi. Si è discusso a lungo sul significato dell’espressione «nei termini d’uso», convenendosi che essa vada intesa più che in relazione a profili temporali dell’adempimento, alla circostanza che i pagamenti rientrino nelle ordinarie modalità di pagamento, avuto riguardo agli usi di mercato ed ai rapporti tra le parti (Trib. Monza, 24.4.2012, in Riv. Dott. comm., 2012, 3, 632). Non appare peraltro che possa venire escluso dall’esenzione il pagamento alla consegna, anche se in precedenza non utilizzato dalle parti (ma preteso generalmente dai fornitori di imprese in crisi), in quanto scopo dell’esenzione è proprio quello di agevolare le forniture alle imprese in difficoltà, mentre il limite di applicabilità dell’esenzione medesima e della tutela del fornitore si ha quando si tratti di pagamenti mirati al rientro dei fornitori da esposizioni pregresse; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Scopo dell’introduzione di questa esenzione è stato quello di porre fine alle numerosissime e gravose revocatorie di rimesse in conto corrente bancario nei confronti delle banche, incentivando le banche a continuare ad assistere le imprese in difficoltà. Questa esenzione va coordinata con il terzo comma dell’art. 70 l. fall., che ha introdotto il limite del cosiddetto ‘massimo scoperto’: l’importo massimo revocabile è pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dall’esposizione nel periodo sospetto e l’ammontare residuo al momento della dichiarazione di fallimento. Si è discusso sul significato delle espressioni “consistente” e “durevole”, ma anche qui, come per i fornitori, dal momento che scopo dell’esenzione è proprio quello di agevolare l’operatività bancaria delle imprese in difficoltà, il limite di applicabilità dell’esenzione medesima e della tutela della banca va individuato nella esclusione dall’esenzione quando si tratti di pagamenti mirati al rientro della banca medesima da esposizioni pregresse (Costa, C., La revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario: problemi attuali, in Dir. fall., 2010, I, 60); in ogni caso non sono revocabili le rimesse effettuate da un terzo (ad esempio un fideiussore) senza rivalsa verso il fallito (Cass. civ., 30.7.2012, n. 13549; Cass. civ., 7.12.2012, n. 22247); c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano attestato che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Nessun’altra norma della legge fallimentare è peraltro dedicata a questa figura del piano attestato, la cui unica disciplina risiede nel terzo comma dell’art. 67 l. fall. Il piano potrebbe essere tenuto riservato, o pubblicato nel registro delle imprese. È certo comunque che la verifica della presenza dei requisiti per l’esenzione, non essendovi una omologazione come nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, è demandata ad un eventuale futuro giudizio di revocatoria (sui piani attestati si vedano Villanacci, G.-Coen, A., La gestione della crisi di impresa e i piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 67, 3°comma, lett. d) legge fallim., in Dir. fall., 2013, I, 82); e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art.161. L’esenzione ha lo scopo di dare stabilità agli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di concordati preventivi ed accordi di ristrutturazione omologati (Costa, C., Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010, I, 531). Il decreto sviluppo 2012 (d.l. n. 83/2012), al fine di garantire la continuità aziendale, ha esteso la tutela anche agli atti posti in essere durante la procedura di concordato preventivo, ponendo fine ad un annoso dibattito, ma purché «legalmente posti in essere». Tale espressione va correlata con l’obbligo del debitore in concordato di richiedere, per gli atti di straordinaria amministrazione, l’autorizzazione del tribunale nella fase di pre-concordato (art. 161, co. 6, l. fall.) e l’autorizzazione del giudice delegato una volta ammesso al concordato (art. 167 L. fall.); f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito. La ratio della norma è chiara, mentre poco chiara risulta l’espressione «altri collaboratori». Ci si è chiesti, infatti, se possano rientrarvi, ad esempio, i professionisti. Opinione prevalente è che ci si riferisca solo ai cosiddetti lavoratori «parasubordinati» (art. 409, n. 3, c.p.c.). Va sottolineato, inoltre, che la norma può dare luogo a disparità di trattamento tra lavoratori, qualora solo alcuni abbiano ricevuto pagamenti, e l’esenzione da revocatoria preclude una restituzione e successiva redistribuzione delle somme in sede fallimentare; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di concordato preventivo.
Una notazione finale va fatta per le esenzioni di cui alle lettere d) ed e). L’esenzione da revocatoria indubbiamente agevola il buon fine delle procedure di salvataggio (piani attestati, concordati preventivi, accordi di ristrutturazione), ma può risolversi in una grave violazione della par condicio creditorum, potendo aprire la strada a pagamenti preferenziali o a trattamenti non equi tra creditori. Va però sottolineato che, nelle procedure di salvataggio, il legislatore sembra aver sacrificato la tutela della par condicio a favore della continuità aziendale e del salvataggio delle imprese in crisi. Prova ne sia il nuovo art. 217 bis l. fall. che esenta dai reati di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice i pagamenti e le operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione o di un piano attestato.
Artt. 62.71 l. fall.
Oltre agli scritti relativi a specifici argomenti e citati nel testo, si vedano sugli effetti del fallimento i seguenti trattati e commentari: D’Arrigo, C.– Bonfatti S., Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Fauceglia, G.-Panzani, L., diretto da, Fallimento ed altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1, 543 ss.; Patti, A. e al., Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Jorio, A., diretto da, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2009, 1, 870 ss.; Ferro, M., La legge fallimentare, Padova, II ed., 2011, 501 ss.; Maffei Alberti, A., Commentario breve alla legge fallimentare, V ed., Padova, 2009; Nigro, A. e al., Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Nigro, A.-Sandulli, M.-Santoro, V., a cura di, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1, 881 ss.; Ceschel, C. e al., Gli effetti sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Apice, U., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010, I, 510 ss.; Caiafa, A., a cura di, Le procedure concorsuali, Padova, 2011, I, 301 ss.; per la normativa anteriore alla riforma, ancor oggi in vigore per le procedure fallimentari dichiarate prima dell’entrata in vigore della riforma, Ragusa Maggiore, G.-Costa, C., diretto da, Le procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997, 2, 1 ss.