Abstract
Vengono esaminati gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, così come disciplinati negli artt. 72-83 bis del testo attuale della Legge fallimentare, anche alla luce delle più recenti decisioni giurisprudenziali. La trattazione tiene conto di tutte le recenti modifiche alla legge fallimentare, che hanno inciso profondamente nella materia degli effetti del fallimento.
Gli effetti di diritto sostanziale della dichiarazione di fallimento sono disciplinati nel Capo III del Titolo II della Legge fallimentare. Il suddetto capo è diviso in 4 sezioni, dedicate rispettivamente agli effetti del fallimento nei confronti del fallito (artt. 42-49), nei confronti dei creditori (artt. 51-63), sugli atti pregiudizievoli ai creditori (artt. 64-71) e sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 72-83 bis). La ratio comune ai suddetti effetti, ricollegabili alla natura costitutiva della sentenza dichiarativa di fallimento, va rinvenuta nella necessità di assicurare la conservazione e l’incremento della massa attiva da un canto, e la cristallizzazione della massa passiva dall’altro. Singole regole sono peraltro finalizzate ad ulteriori scopi, come quello di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, ove disposta, o a rendere più agevole lo svolgimento della procedura.
Gli artt. 72-83 bis della Legge fallimentare, costituenti la Sezione IV del Capo III, dettano la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti. Si tratta di quei contratti conclusi dal fallito prima della dichiarazione di fallimento che risultino, al momento dell’apertura della procedura, non ancora eseguiti, totalmente o parzialmente, da entrambe le parti, tanto che comunemente si parla di effetti del fallimento sui «contratti pendenti» (art. 72co. 1, l. fall.). Ciò in quanto, qualora ci trovassimo di fronte ad un contratto compiutamente eseguito da una delle parti, non vi sarebbe un contratto pendente, bensì soltanto un credito ad una prestazione vantato da una parte contrattuale.
Prima della riforma la disciplina dei contratti pendenti, che costituisce una deroga al diritto comune dei contratti dettando delle regole funzionali alla procedura fallimentare, era articolata nella individuazione di una serie di contratti per ciascuno dei quali era previsto un diverso trattamento (sospensione, scioglimento o continuazione). L’assenza di una regola generale creava rilevanti problemi nell’individuazione della disciplina da applicare ai contratti non disciplinati, per i quali si doveva operare con il criterio analogico con risultati non sempre felici. Il legislatore della riforma ha voluto risolvere il problema, dettando una regola generale che è quella della sospensione del rapporto pendente con facoltà di subentro o meno da parte del curatore (art. 72, co. 1, l. fall.), ferma restando la sussistenza di una disciplina speciale per singole figure contrattuali (Mangiapane, B., I rapporti pendenti nel fallimento, in Dir. fall., 2012, I, 282). Rispetto a questa regola generale, quindi, le altre due possibili soluzioni, quella della continuazione del contratto e quella dello scioglimento automatico costituiscono delle eccezioni solo per i contratti per i quali sono esplicitamente previste. Il subentro o meno viene deciso dal curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori (art. 72, co. 1, l. fall.) ed il terzo contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto (art. 72, co. 2, l. fall.). La giurisprudenza ha affermato che la facoltà di scelta del curatore può essere esercitata anche tramite fatti concludenti (Cass., 15.1.2013, n. 787). Sono sottratti comunque alla facoltà di scelta del curatore i contratti con effetti reali, ove la prestazione sia stata eseguita (art. 72, co. 1, l. fall.), quelli per i quali sia stata avviata prima del fallimento azione di risoluzione, regolarmente trascritta ove previsto (art. 72, co. 5, l. fall.), nonché i preliminari di immobili trascritti ad uso abitativo o imprenditoriale (art. 72, co. 8, l. fall.). In caso di scioglimento del contratto il terzo avrà diritto ad insinuarsi al passivo per l’eventuale credito, ma non al risarcimento del danno (art. 72, co. 4, l. fall.). La suddetta disciplina è inderogabile, tanto è vero che sono inefficaci eventuali clausole inserite nei contratti che facciano dipendere la risoluzione contrattuale dal fallimento (art. 72, co. 6, l. fall.). Va altresì sottolineato che deve ritenersi che in caso di subentro, pur nel silenzio della legge, le obbligazioni contrattuali dovranno essere integralmente eseguite anche da parte del curatore, che subentra nella medesima posizione del fallito.
La sospensione del contratto con facoltà di subentro del curatore, oltre che quale regola generale dall’art. 72, co. 1, l. fall., è altresì prevista specificatamente dal legislatore per alcuni contratti, con l’aggiunta di alcune regole peculiari: preliminari di compravendita immobiliare (art. 72, co. 7, l. fall.), leasing con fallimento dell’utilizzatore (art. 72 quater, co. 1, l. fall.), vendita con riserva di proprietà in caso di fallimento del compratore (art. 73 l. fall.), contratti ad esecuzione continuata o periodica (art. 74 l. fall.), mandato in caso di fallimento del mandante (art. 78, co. 3, l. fall.).
In alternativa il legislatore ha previsto lo scioglimento automatico del contratto in una serie di ipotesi nelle quali ha ritenuto incompatibile con la procedura la sopravvivenza del contratto medesimo, ad esempio per via dell’intuitus personae: contratti di borsa a termine (art. 76 l. fall.), associazione in partecipazione (art. 77 l. fall.), conto corrente, anche bancario, e commissione (art. 78, co. 1, l. fall.), mandato, in caso di fallimento del mandatario (art. 78, co. 2, l. fall.); una disciplina particolare è prevista per l’appalto (art. 81 l. fall.) e per i contratti relativi ad immobili da costruire. In un’ultima serie di casi il legislatore ha ritenuto compatibile la continuazione del contratto con la procedura fallimentare, prevedendo peraltro, ma non sempre, il diritto di recesso: preliminare di vendita di immobile ad uso abitativo o imprenditoriale (art. 72, co. 8, l. fall.), leasing in caso di fallimento del concedente (art. 72 quater, co. 4, l. fall.), affitto di azienda (art. 79 l. fall.), locazione di immobili (art. 80 l. fall.), assicurazione (art. 82 l. fall.), edizione (art. 83 l. fall.). Va infine ricordato che nel caso, peraltro non frequente, di esercizio provvisorio dell’impresa in corso di fallimento, si applica una regola diversa da quelle sopra individuate, finalizzata alla continuazione dell’attività e valevole per tutti i contratti pendenti: «[d]urante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli» (art. 104, co. 7, l. fall.).
Fermo restando quanto detto sopra in ordine alle regole generali degli effetti del fallimento sui contratti pendenti, vanno specificatamente analizzate alcune figure contrattuali già richiamate per le quali si presentano dei problemi particolari o delle peculiarità rispetto alla semplice regola della sospensione, continuazione o scioglimento del contratto a seguito del fallimento. Per quanto riguarda il contratto preliminare, l’art. 72, co. 3, l. fall., rinviando al primo comma della medesima disposizione, lo sottopone alla stessa disciplina della vendita, con la conseguente sospensione del contratto e la facoltà del curatore di subentrare o meno, e quindi di stipulare o meno il contratto definitivo, previa autorizzazione del comitato dei creditori. La suddetta regola si applica a tutti i contratti preliminari, indipendentemente dall’oggetto, in quanto l’art. 72 non fa distinzioni, ad eccezione, a quel che si ritiene, dei preliminari relativi a vendite non soggette al regime della sospensione, come quelle relative agli immobili da costruire ed a quelli destinati a prima casa o all’esercizio dell’impresa (artt. 72 bis e 72, co. 8, l. fall.). In caso di scioglimento del preliminare di compravendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., il promissario acquirente è però tutelato, potendo insinuarsi al passivo con il privilegio di cui all’art. 2775 bis c.c. (art. 72, co. 7, l. fall.). Per quanto riguarda il contratto di leasing, in caso di fallimento dell’utilizzatore (art. 72 quater l. fall.), il contratto è sospeso, ed il curatore ha la facoltà di subentrare o meno. La scelta sarà ovviamente effettuata in funzione dei canoni pagati, di quelli ancora da pagare e del valore residuo dei beni. Nel caso infatti di subentro il curatore dovrà pagare in prededuzione tutti i canoni scaduti ed a scadere, per poi esercitare l’opzione finale. Qualora invece il curatore decida di non subentrare, il concedente avrà diritto alla restituzione del bene; se il ricavato dalla vendita o altra collocazione del bene al valore di mercato sarà superiore al valore residuo in linea capitale del credito del concedente, questi dovrà riversare la differenza alla curatela; in caso contrario il concedente potrà insinuarsi al passivo per la differenza. Trattasi, in caso di mancato subentro, di una norma di manifesta difficile applicazione e fonte di inevitabili contenziosi. Va altresì ricordato che, in base al medesimo articolo, i canoni di leasing pagati prima della dichiarazione di fallimento non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare.
In caso di fallimento del mandante, il contratto di mandato rimane sospeso, con la conseguente facoltà di scelta del curatore (art. 78 l. fall.), mentre lo scioglimento automatico rimane ormai regola applicabile solo al fallimento del mandatario. Tale regola si applica anche nella ipotesi di mandato in rem propriam, cioè di mandato conferito anche nell’interesse del mandatario, argomento questo particolarmente discusso prima della riforma, specie in relazione al mandato conferito alle banche per la riscossione di crediti, e costituisce una deroga alla irrevocabilità del contratto prevista nell’art. 1723 c.c. L’art. 78, co. 3, stabilisce però che, in caso di subentro, il credito del mandatario per prestazioni rese successivamente al fallimento è da considerarsi in prededuzione. La norma è manifestamente equivoca e si presta a contrastanti interpretazioni, perché, come si è detto, in caso di subentro nei contratti pendenti la regola generale è quella che il curatore debba adempiere integralmente ed in prededuzione agli obblighi contrattuali, mentre qui il legislatore sembra affermare che siano in prededuzione solo i crediti del mandatario per prestazioni eseguite dopo il fallimento.
Il fallimento del locatore non scioglie il contratto di locazione di immobili, con il conseguente subentro automatico del curatore. La norma, dettata a tutela del conduttore, è però applicabile solo qualora quest’ultimo disponga di un contratto opponibile alla curatela, quindi trascritto se di durata ultranovennale, o comunque dotato di data certa se di durata inferiore. Ciò costituisce un limite rilevante alla realizzabilità del bene in sede fallimentare, perché l’acquirente, come avviene anche in sede di vendite forzate, sarà tenuto a rispettare anch’egli il contratto. Proprio per tale motivo il legislatore ha previsto, in sede di riforma, la possibilità per il curatore di recedere dal contratto corrispondendo un indennizzo al conduttore (in prededuzione), ma solo con effetto decorsi quattro anni dalla dichiarazione di fallimento (art. 80, co. 2, l. fall.). Nel caso invece di fallimento del conduttore il curatore può recedere in qualsiasi momento, corrispondendo un equo indennizzo, da pagarsi in prededuzione (art. 80, co. 3, l. fall.). Tale regola ha lo scopo di favorire la curatela fallimentare, consentendole di trattenere i locali dell’impresa sino a quando le sarà necessario, al fine delle vendite fallimentari o dell’esercizio provvisorio dell’impresa. I canoni vanno in tal caso pagati in prededuzione, ma non, si ritiene, quelli anteriori al fallimento, che vanno insinuati al passivo, pur se con il privilegio di cui all’art. 2764 c.c. La norma non è ritenuta applicabile, infine, al contratto di locazione dell’immobile abitato dal fallito, in quanto in questo caso si ricadrebbe nell’ambito dei rapporti personali del fallito, che potrebbe corrispondere il canone con somme provenienti da redditi sottratti al fallimento ai sensi dell’art. 46 l. fall.
La riforma ha risolto definitivamente la discussa questione del trattamento da riservare al contratto di affitto di azienda, in precedenza non disciplinato, e quindi sovente abusivamente utilizzato per sottrarre l’azienda alla disponibilità del curatore. L’art. 79 l. fall. stabilisce infatti che ciascuna delle parti può recedere dal contratto entro sessanta giorni dal fallimento, corrispondendo all’altra un equo indennizzo. Per quanto riguarda il contratto di appalto, sia in caso di fallimento del committente che di fallimento dell’appaltatore il contratto si scioglie se il curatore non dichiara, entro sessanta giorni, di voler subentrare prestando idonee garanzie, ma in caso di fallimento dell’appaltatore il contratto si scioglie se era caratterizzato dall’intuitus personae (art. 81 l. fall.). Tale normativa, che tende a contemperare l’interesse della curatela con quello della controparte contrattuale, non si applica però agli appalti pubblici, ove la stazione appaltante potrà stipulare nuovi contratti per il completamento dell’opera, con l’implicita conseguenza dello scioglimento del contratto di appalto in deroga all’art. 81 l. fall. (art. 140 del Codice dei contratti pubblici). Va infine sottolineato che continua a non essere disciplinata la sorte dei contratti di lavoro subordinato a seguito del fallimento del datore di lavoro. Si ritiene che ciò sia frutto di una precisa scelta del legislatore, che ha voluto dare prevalenza alle norme giuslavoristiche su quelle fallimentari. Di conseguenza, il contratto di lavoro prosegue con la curatela, che potrà semmai scioglierlo per giustificato motivo a seguito della cessazione dell’esercizio dell’impresa.
Artt. 72-83 bis l. fall.
Oltre agli scritti relativi a specifici argomenti e citati nel testo, si vedano sugli effetti del fallimento sui rapporti preesistenti i seguenti trattati e commentari: Di Marzio, F. e al., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, Fauceglia, G.-Panzani, L., diretto da, Fallimento ed altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1, 725 ss.; Guglielmucci, L. e al., Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Jorio, A., diretto da, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2009, 1, 116 ss.; Ferro, M., La legge fallimentare, Padova, II ed., 2011, 501 ss.; Maffei Alberti, A., Commentario breve alla legge fallimentare, V ed., Padova, 2009; Vattermoli, D. e al., Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Nigro, A.-Sandulli, M.-Santoro V., a cura di, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1, 985 ss.; Plenteda, D., Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Apice, U., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010, I, 804 ss.; Caiafa, A., a cura di, Le procedure concorsuali, Padova, 2011, I, 301 ss.; per la normativa anteriore alla riforma, ancor oggi in vigore per le procedure fallimentari dichiarate prima dell’entrata in vigore della riforma, Ragusa Maggiore, G.-Costa, C., diretto da, Le procedure concorsuali. Il fallimento, Torino, 1997, 2, 1 ss.