Fallimento
Le procedure fallimentari in senso lato sono costituite da quei procedimenti a carattere concorsuale instaurati al fine di pervenire alla liquidazione equa e ordinata, in favore dei creditori, dei beni appartenenti al debitore insolvente, ovvero all'accettazione, da parte dei creditori medesimi, di un accordo teso da un lato a evitare la liquidazione di quei beni, e dall'altro al riassesto delle condizioni finanziarie del debitore. Il carattere concorsuale di tali procedure, che comportano necessariamente la partecipazione di tutti i creditori e di tutti i beni del debitore, vale a distinguerle da quelle procedure di riscossione individuale che vengono instaurate dai singoli creditori al fine di soddisfare esclusivamente i propri crediti ed aventi normalmente a oggetto solo determinati beni del debitore. Tuttavia negli ordinamenti giuridici di varie nazioni è ammessa la possibilità che queste procedure esecutive a carattere individuale vengano successivamente estese ad altri creditori e a ulteriori beni del debitore.In ragione del loro carattere concorsuale, le procedure fallimentari e per insolvenza sono governate dal principio di parità di trattamento fra i creditori - par condicio creditorum -, a differenza delle procedure di riscossione individuale le quali, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici, sono soggette al principio di priorità temporale - prior tempore, potior iure.
Le procedure fallimentari venivano originariamente associate ai concetti di disonestà e di mala fede, comportando conseguentemente, a carico del debitore, la perdita dei diritti civili oltre all'applicazione di sanzioni. Fu così che qualificare un creditore come 'fallito' significò attribuirgli una sorta di marchio d'infamia. È questo il motivo per cui, nelle legislazioni più recenti, termini quali 'fallito' e 'procedure fallimentari' - o i loro equivalenti - sono stati sostituiti da denominazioni più neutre, quali 'insolvente' e 'procedure di insolvibilità'. Ma ciò che più conta è che la liquidazione dei beni del debitore e la successiva distribuzione del ricavato fra i creditori non rappresentano ormai più l'obiettivo principale delle procedure concorsuali. Le leggi fallimentari, infatti, sono ora affiancate, o le comprendono direttamente al loro interno, da altre procedure aventi come scopo da un lato quello di evitare la liquidazione dei beni, e dall'altro la riabilitazione sociale e finanziaria del debitore. Le moderne normative sull'insolvenza comprendono anche norme dettagliate sul concordato preventivo e sulle procedure di riorganizzazione. Si è assistito a un notevole cambiamento di obiettivi nelle recenti riforme legislative, le quali hanno posto l'accento sul recupero dell'impresa appartenente al debitore piuttosto che sulla sua eliminazione, così da salvaguardare le opportunità di impiego per la forza lavoro.Si è assistito anche a un altro mutamento di tendenza. In origine il fallimento rappresentò essenzialmente un mezzo per tutelare l'interesse dei creditori, ma si è gradualmente trasformato in un istituto teso ad agevolare i debitori insolventi, per mezzo di ampie esenzioni previste in favore dei debitori individuali e delle loro famiglie, nonché attraverso disposizioni tendenti a liberarli da una responsabilità protratta nel tempo e da una serie di interdizioni.
La storia del fallimento e in particolar modo la storia di questo istituto in determinati paesi e località è stata oggetto di numerose ricerche approfondite (v. Santarelli, 1964; v. Dupouy, 1960; v. Alejandre García, 1970; v. Pakter, 1988). Esistono tuttavia notevoli divergenze fra gli autori in merito alla relazione che intercorre fra le procedure esecutive in generale - compresa la pena capitale, l'arresto per debiti e l'esilio - da una parte, e dall'altra la cessione volontaria dei beni (cessio bonorum) nonché le procedure promosse dai creditori per la raccolta e la distribuzione dei beni del debitore (fallimento).È certo che procedure comportanti il concursus creditorum (concorso dei creditori) erano ben note al diritto romano (v. Solazzi, 1937-1943). È tuttavia difficile stabilire con chiarezza se queste abbiano esercitato una influenza diretta sulle analoghe procedure venute evolvendosi nel corso del Medioevo, sia in Italia che altrove (v. Santarelli, 1964, p. 23). Per di più, si riconosce che le consuetudini di riscossione dei debiti, di derivazione germanica, costituiscono un anello importante nella catena evolutiva dell'istituto.
Sembra invece non sussistano dubbi in merito al fatto che i procedimenti attraverso cui i debitori insolventi cedevano i propri beni ai creditori venissero considerati come istituti diversi dalle procedure promosse dai creditori nei confronti dei debitori che fuggivano, si nascondevano o che comunque cercavano di sottrarsi ai propri creditori (ibid., p. 3; v. Lattes, 1884, pp. 308 e 310). Anche se la cessione dei beni ai creditori sottoponeva il debitore a formalità spesso umilianti (v. Lattes, 1884, p. 314, e 1899) e al disonore pubblico, qualsiasi categoria di debitori, compresa quella dei commercianti, poteva ricorrervi. Al contrario, le procedure coercitive promosse nei confronti dei debitori che fuggivano, si nascondevano o evitavano di saldare i debiti con i propri creditori erano dirette contro gli imprenditori e i banchieri e furono queste a dare all'istituto il nome 'banca rotta' (v. Lattes, 1884, p. 310; v. Santarelli, 1964, p. 47).
Con lo sviluppo degli scambi e del commercio internazionale, verificatosi durante il Medioevo, la preoccupazione causata dall'eventualità che i commercianti si dessero alla fuga lasciandosi dietro moltitudini di creditori insoddisfatti richiamò l'attenzione del legislatore, sia a livello locale che a livello nazionale: vennero così codificati in consuetudini locali e in leggi e decreti nazionali i mezzi di tutela applicabili a casi del genere (v. Santarelli, 1964, p. 47). In Inghilterra, ad esempio, una legge risalente al 1357 (25 Edw. III, Stat. 5, c. XXIII) disponeva una tutela per i creditori dei lombards - i banchieri e commercianti di origine lombarda - che si davano alla fuga, con il dichiarare solidalmente responsabili anche i soci delle compagnie locali cui quei commercianti appartenevano. All'inizio del XVI secolo l'imperatore Carlo V si fece promotore di una nutrita serie di misure - tese a contrastare quei commercianti che tentavano di darsi alla fuga o di rendersi irreperibili - che prescrivevano drastiche sanzioni e assistenza internazionale. Tali provvedimenti vennero attuati non solo nei territori fiamminghi, patria dell'imperatore, ma altresì nel suo regno spagnolo e dalle Diete del Sacro Romano Impero. In Inghilterra la prima legge "contro tali persone che commettono bancarotta" fu emanata nel 1542 (34 e 35 Hen. VIII, c. 4). In essa erano contenute dettagliate disposizioni per il rinvenimento e il recupero dei beni del debitore e per evitare che debitori latitanti o irreperibili ponessero in essere atti in frode dei creditori. Questa legge era palesemente modellata sulle coeve consuetudini di Anversa e la sua approvazione fu favorita dalla fuga, nel 1535, di un noto imprenditore fortemente indebitato (v. Vinelott, 1987, p. 3; v. Jones, 1979, p. 14). Leggi di analogo tenore furono emanate in Francia nel 1535 e nel 1536 (v. Dupouy, 1960, pp. 43-44).
In Spagna la Siete partidas, una codificazione pubblicata nella seconda metà del XIII secolo a seguito di ratifica di Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e di León, disponeva la liquidazione, sotto il controllo dell'autorità giudiziaria, dei beni dei debitori in stato di insolvenza - fossero essi commercianti o meno - sia a seguito di spontanea richiesta del debitore, sia su domanda di uno dei creditori (v. Alejandre García, 1970, pp. 28 ss.).
Sulla base di tale retaggio normativo Francisco Salgado de Samoza, un giurista spagnolo del XVII secolo, pubblicò nel 1646 un autorevole trattato, intitolato Labyrinthus creditorum concurrentium, nel quale venivano elaborate norme dettagliate aventi a oggetto l'apertura e la successiva gestione delle procedure di liquidazione volontaria, senza fare alcuna distinzione fra commercianti e non commercianti (ibid., pp. 88-92; v. anche Scherner, 1977, p. 857).Nel corso del tempo, tuttavia, le procedure fallimentari vennero riservate ai soli commercianti. In Inghilterra ciò ebbe luogo con il Bankruptcy act del 1571 (13 Eliz. I, c. 7). In Francia la celebre Ordonnance de commerce del 1673 conteneva una normativa nazionale sull'insolvenza e sul fallimento in cui venivano regolamentate la cessione volontaria dei beni da parte dei commercianti debitori in favore dei creditori (titolo X) e le procedure fallimentari (titolo XI). Quest'ultimo capitolo veniva interpretato come applicabile ai soli commercianti. In Spagna le disposizioni sul fallimento contenute nelle ordinanze di Bilbao del 1737, un testo senz'altro d'avanguardia, vennero anch'esse riservate ai soli commercianti (v. Alejandre García, 1970, p. 127). La stessa impostazione venne adottata in molti paesi dell'America Latina che seguirono l'esempio spagnolo. La legislazione spagnola, tuttavia, elaborò una distinta serie di procedure analoghe, applicabili ai debitori che non erano commercianti, conosciute con il nome tradizionale di concurso de acreedores (Ley de enjuiciamento civil, titolo XII, artt. 1130-1317). L'Inghilterra finì con l'estendere nuovamente le procedure fallimentari anche ai non commercianti (Bankruptcy act del 1861, 24 e 25 Vict., c. 134), e anche la legge tedesca non faceva distinzioni fra le varie categorie di debitori. La prima legge fallimentare statunitense si uniformò al contemporaneo modello inglese: essa riguardava le sole istanze di fallimento promosse direttamente dai debitori, e si applicava solo ai commercianti.
Una nuova era nella storia del fallimento fu inaugurata dall'emanazione del Codice di commercio francese del 1807, il cui libro III conteneva una revisione della legge sul fallimento, che doveva essere chiaramente applicata ai soli commercianti. I debitori che non appartenevano a questa categoria potevano ricorrere alla "cession des biens" al fine di evitare la prigione per debiti, ma nel 1867 l'abolizione di questa misura repressiva ridusse considerevolmente l'utilità di tale provvedimento. Il Codice del 1807 poneva a carico di quei commercianti i quali avessero cessato di effettuare i propri pagamenti l'obbligo di ottenere una dichiarazione giudiziale di fallimento. Se non lo facevano, i creditori erano legittimati a chiedere la dichiarazione di fallimento. Il giudice, peraltro, aveva il potere di agire sua sponte.
Il Codice del 1807 (libro III, titolo II, artt. 566-575), nella sua formulazione originaria, concedeva ai commercianti falliti la facoltà di concludere un concordato con una maggioranza qualificata di creditori che vantavano un diritto certo, ovvero di addivenire alla cessione, giudiziale o stragiudiziale, dei propri beni. Quest'ultima alternativa (art. 568), tuttavia, ebbe l'unico effetto di evitare ai falliti l'arresto per debiti. La coesistenza di questi due percorsi affini, aventi lo scopo di agevolare il debitore, diede il via a una serie di polemiche.
La revisione del libro III del Codice, effettuata nel 1838, tentò di porre rimedio all'eccessivo rigore e alle imperfezioni presenti nella legge del 1807. Venne così eliminato il titolo relativo alla cessione dei beni da parte dei commercianti indebitati, dichiarati falliti o meno, prevedendo la possibilità di addivenire a una chiusura consensuale del fallimento esclusivamente in virtù di concordato (libro III, titolo I, cap. VI, artt. 504-526). Era inoltre espressamente previsto che il fallimento venisse dichiarato con sentenza del tribunale commerciale, emanata o in seguito a dichiarazione da parte del fallito, o su istanza di uno o più creditori, o, infine, d'ufficio. Quella stessa sentenza, o un'altra successivamente emanata, doveva inoltre fissare la data di cessazione dei pagamenti. Con la dichiarazione di fallimento il debitore veniva privato della possibilità di amministrare i propri beni e veniva sospesa ogni azione o esecuzione nei confronti dello stesso debitore. La legge del 1838 specificò che il patrimonio fallimentare (masse) comprendeva anche gli acquisti successivamente compiuti e conferì maggior vigore alle disposizioni del testo originario nella parte in cui disponevano la reintegrazione del patrimonio medesimo attraverso l'annullamento o la risoluzione di determinati atti posti in essere dal debitore nei dieci giorni precedenti il giorno fissato come data del fallimento. Il patrimonio fallimentare veniva amministrato da uno o più curatori (non più di tre) scelti dopo consultazione coi creditori. La sentenza dichiarativa di fallimento nominava altresì un membro del tribunale che assumeva la veste di 'giudice delegato', con la funzione di controllo sugli sviluppi del caso e di risoluzione di eventuali controversie. La legislazione francese individuava due tipi di reati concorsuali: la bancarotta semplice e la bancarotta fraudolenta. Tali qualifiche incidevano sullo stato personale del fallito e sulla possibilità di una sua riabilitazione. L'amministrazione del patrimonio fallimentare, tuttavia, veniva regolata dalle norme ordinarie sul fallimento. Anche nei casi di fallimento senza risvolti di carattere penale, il fallito era passibile di arresto se ricorrevano determinate circostanze; non era comunque l'arresto per debiti, che era vietato.
Poiché il fallimento comportava incapacità giuridiche del fallito e misure repressive nei suoi confronti, i commercianti si dimostravano riluttanti a ricorrervi come avrebbero dovuto. Per porre rimedio a tale disincentivo, una legge del 1889, non formalmente incorporata nel Codice di commercio, introdusse una procedura di carattere alternativo chiamata 'liquidazione giudiziale', la quale non comportava una totale esclusione del debitore dall' amministrazione dei propri beni, né la perdita dei diritti civili. Il debitore, tuttavia, vi poteva ricorrere solo qualora si fosse attivato tempestivamente a tal fine, e tale procedura poteva essere convertita in fallimento qualora il debitore fosse venuto meno a certi obblighi o avesse posto in essere atti di carattere fraudolento o preferenziale a danno dei creditori. Gli articoli relativi al fallimento contenuti nel Codice di commercio francese esercitarono un'enorme influenza sulle analoghe disposizioni dei codici commerciali di altri paesi, quali l'Italia, la Spagna, la Grecia e numerosi paesi dell'America Latina. Le disposizioni sul fallimento del primo Codice commerciale italiano, risalente al 25 giugno 1865, ricalcavano fedelmente il modello francese, la cui influenza si fece sentire anche nelle analoghe disposizioni del Codice commerciale del 1882 (libro III, artt. 683-687; v. Bonelli, 19232), sebbene quest'ultimo contenesse numerose modifiche di ordine sostanziale, specialmente riguardo alla fissazione della data di cessazione dei pagamenti e all'annullabilità degli atti posti in essere dal fallito durante il periodo sospetto. In Italia, così come in Francia, la normativa fallimentare era applicabile ai soli commercianti, mentre mancavano disposizioni affini per le altre categorie di debitori.
In linea con l'indirizzo assunto con le Ordinanze di Bilbao e col modello del Codice commerciale francese, il Código de comercio spagnolo del 1829 limitò l'ambito di applicazione delle proprie disposizioni sul fallimento (quiebra) ai soli commercianti. Secondo il disposto dell'art. 1001 di questo Codice, si considerava fallito qualunque commerciante che avesse interrotto il normale pagamento dei propri debiti; anche il Codice commerciale del 1885 mantenne questa definizione (art. 874). Il Codice del 1829 individuava cinque specie di fallimenti, ma il Codice del 1885 le ricondusse al tradizionale numero di tre: insolvenza a causa di eventi infausti, per colpa, e per dolo (art. 886). Le attuali disposizioni procedurali si trovano nel Codice di procedura civile del 1881 (Ley de enjiuiciamento civil, libro II, titolo XIII, artt. 1318-1396). Così come nel sistema adottato dal previgente Codice del 1855, l'attuale Codice di procedura civile contiene disposizioni dettagliate sulle procedure fallimentari promosse da o contro categorie di debitori diverse dai commercianti (artt. 1130-1317).
La legge fallimentare tedesca (Konkursordnung) del 1877, a differenza di quelle francese e spagnola, si applica indifferentemente sia ai commercianti che alle altre categorie di debitori (sez. 1), senza porre distinzioni fra persone fisiche e persone giuridiche. Si mantiene così una tradizione legislativa che risale alla legge prussiana sull'ipoteca e sul fallimento del 1723, nonché alla legge fallimentare prussiana del 1855. In Gran Bretagna la riserva delle procedure fallimentari ai soli commercianti, introdotta nel 1581, fu successivamente eliminata nel 1861. Le associazioni munite di personalità giuridica vennero assoggettate a fallimento a partire dal 1844 (7 e 8 Vict., c. 111, 1848), ma il Companies act del 1862 abrogò la legge del 1861 disponendo al contempo una specifica normativa in tema di liquidazione giudiziale delle società versanti in stato di insolvenza (25 e 26 Vict., c. 89, sezz. 79 ss.). Tale sistema fu mantenuto fino all'entrata in vigore degli Insolvency acts del 1985 (c. 65) e del 1986 (c. 45), i quali disciplinano i casi di insolvenza delle persone fisiche e delle persone giuridiche. Le norme applicabili alle persone giuridiche, tuttavia, presentano molte differenze rispetto a quelle aventi a oggetto le persone fisiche.
Negli Stati Uniti il Bankruptcy act del 1841 disciplinava esclusivamente le istanze di fallimento a carattere volontario avanzate dai non commercianti, ma il successivo Bankruptcy act del 1867 assoggettò gli stessi anche alle istanze di fallimento avanzate da terzi (creditori). La medesima legge, inoltre, estese il proprio ambito di applicazione alle società commerciali.Riassuntivamente la normativa fallimentare può essere suddivisa nelle seguenti quattro categorie.
1. Leggi applicabili indifferentemente ai commercianti e ai non commercianti, sia che si tratti di persone fisiche che di persone giuridiche. Esempi di questo tipo si rinvengono nella normativa austriaca, tedesca, giapponese, americana, canadese e, dal 1985, nella normativa inglese.
2. Leggi applicabili esclusivamente alle persone fisiche, siano esse commercianti o meno. L'insolvenza delle persone giuridiche trova la propria regolamentazione nella relativa legge sulle società, che spesso include norme di carattere analogo. Leggi di questo tipo si rinvengono, ad esempio, in Australia (Bankruptcy act, 1966, n. 33 - emendata dal Bankruptcy amendment act, 1991 - e Companies act, 1981, parti VIII e X-XII) e in Sudafrica (Insolvency act, 1936, n. 24, emendata dalla legge del 1991, n. 6, e Companies act, 1973, n. 61, emendata dal Companies second amendment act, 1990, n. 69, capp. XII, XIV e XV).
3. Leggi applicabili esclusivamente ai commercianti, siano essi persone fisiche ovvero enti muniti di personalità giuridica. L'insolvenza delle altre categorie di debitori viene disciplinata da disposizioni di analogo tenore, normalmente contenute nei codici di procedura civile dei diversi paesi. Questo tipo di normativa ebbe origine in Spagna e in Portogallo, e trova oggi applicazione anche in vari Stati latinoamericani (il Codice di procedura civile portoghese, libro III, titolo IV, cap. XV, sez. III, contiene una lunga serie di articoli relativi al fallimento dei commercianti, mentre quello dei non commercianti è trattato più brevemente, agli artt. 1313-1325); in Brasile il fallimento (falência) di enti aventi personalità giuridica è regolamentato dal decreto legge n. 7661 del 1945, mentre per quello delle persone fisiche ci si attiene agli artt. 748-786 del Codice di procedura civile del 1973 (v. Theodoro, 1980); in Messico il fallimento è regolamentato dalla legge federale del 31 dicembre 1942 nel caso degli enti aventi personalità giuridica, e dal Codice di procedura civile del Distretto federale del 1932 (artt. 738-768) o dello Stato nel caso delle persone fisiche; anche a Panama vigono analoghe disposizioni. L'Argentina ha recentemente unificato tutte le procedure concorsuali (legge n. 22.917 del 1983), così come è avvenuto in Cile (legge n. 18.175 del 1982) e in Perù.
4. Leggi applicabili esclusivamente ai commercianti - anche sotto forma di persona giuridica - le quali, tuttavia, non contengono disposizioni analoghe per l'insolvenza delle altre categorie di debitori (persone fisiche non impegnate in attività commerciali). Tale sistema è quello tuttora in vigore in Italia. In Francia la legge n. 85-98 del 1985, col successivo emendamento del 1988 (legge n. 88-1202), ha esteso il suo ambito di applicazione agli imprenditori, agli artigiani, agli agricoltori e a qualsiasi persona giuridica di diritto privato. Nel 1989 sono state introdotte procedure fallimentari anche a carico di persone fisiche e famiglie con debiti eccessivi.
Fino alla metà del XIX secolo le procedure relative allo stato di insolvibilità, sia nella forma di cessione dei beni promossa dal debitore che in quella di procedimento fallimentare richiesto dai creditori, si chiudevano con la liquidazione, sotto forma di vendita, del patrimonio fallimentare. Poiché il valore dei beni posti in liquidazione è spesso di gran lunga inferiore al valore che essi hanno come impresa avviata, il fallimento rappresentava uno sperpero di risorse economiche, rimanendo la sua principale ragion d'essere quella di 'ripulire' il mercato da imprese mal gestite o male avviate.
Gradatamente, tuttavia, furono sollecitate politiche di ordine contrario e venne infine accolta la concezione secondo cui il debitore dovrebbe avere l'opportunità di ottenere un periodo di tregua dalle pressioni dei creditori, congiuntamente alla possibilità di procedere a un riassesto della situazione finanziaria per cercare di ridurre proporzionalmente le proprie posizioni debitorie, qualora una maggioranza qualificata dei creditori ritenesse una proposta in questo senso come la più ragionevole maniera di affrontare la crisi. Anche se le procedure di moratoria ad hoc - di concessione sovrana - erano già in uso da molto tempo, fu solo a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo che andò diffondendosi una legislazione di procedure tese a evitare la liquidazione. Fra i paesi del continente europeo il Belgio viene considerato un pioniere in tal senso: nel 1883, infatti, emanò una normativa a carattere transitorio che tendeva a evitare il fallimento attraverso la conclusione di un concordato, approvato giudizialmente, a cui prendeva parte la maggioranza qualificata dei creditori e che obbligava anche i creditori dissenzienti. Durante le trattative per giungere al concordato venivano sospese tutte le procedure esecutive di carattere individuale. La legge del 1883 venne sostituita, nel 1887, da una legge equivalente a carattere definitivo, la quale fu a sua volta modificata e nuovamente emanata il 25 settembre 1946 (v. Cloquet, 1985³). In Belgio il concordato preventivo e la procedura fallimentare sono considerati istituti separati. Il rifiuto della proposta di concordato avanzata dal debitore può dar luogo, ma non obbligatoriamente, a una dichiarazione di fallimento giudiziale.
Il modello belga favorì l'adozione di una legislazione analoga anche in Italia (legge del 24 maggio 1903, n. 197, sugli accordi preventivi e sulle procedure per fallimenti di piccola entità; le norme relative al concordato preventivo sono state mantenute anche nella legge fallimentare del 16 marzo 1942, sezz. 160-186), in altri paesi europei - e cioè Danimarca (1905), Norvegia (1906), Lussemburgo (1911), Austria (1914) - e in Giappone (1922; v. Bonelli, 1923², vol. I, pp. VIII-XIII). Dall'Italia quel modello si diffuse in America Latina (v. Cámara, 1982, p. 358), mentre disposizioni aventi a oggetto le procedure di concordato preventivo si rinvengono oggi in numerose leggi fallimentari. In Inghilterra le procedure di concordato preventivo concluso con i creditori di debitori aventi personalità fisica vennero inserite nel Bankruptcy law consolidation act del 1849 (12 e 13 Vict., c. 106, sezz. 211-223) e successivamente mantenute nelle leggi del 1861 (24 e 25 Vict., c. 134, sezz. 192-200) e del 1869 (32 e 33 Vict., c. 71, sez. 126; v. Riesenfeld, 1947, p. 444).
La legge del 1883 (25 e 26 Vict., c. 25, sezz. 18-19) prevedeva la possibilità di avanzare offerte solo a seguito di nomina del curatore dei beni del debitore, anche se prima della sentenza dichiarativa di fallimento; tuttavia i recenti Insolvency acts del 1985 e 1986 hanno reintrodotto la possibilità di pervenire ad accordi di carattere compositivo, intesi quali rimedi cui ricorrere prima che venga presentata istanza di fallimento, sia in favore di debitori aventi personalità fisica (legge del 1986, sezz. 252-263) che di enti muniti di personalità giuridica (sezz. 1-7), prendendo a modello nel secondo caso il Companies act del 1908. La legge fallimentare australiana del 1966 prevedeva allo stesso modo un concordato preventivo allo scopo di evitare il fallimento (sezz. 187-243) e procedure di carattere affine sono previste nelle legislazioni vigenti nel Commonwealth (Companies act, civ., 1981, sezz. 314-319). Le procedure di concordato preventivo furono introdotte negli Stati Uniti nel 1910 (U.S.Stat., p. 839, cap. 412, sez. 5), in Canada nel 1918 e in Germania nel 1927 (legge del 5 luglio 1927, sostituita dall'attuale legge emanata il 26 febbraio 1935).La legge tedesca sul concordato preventivo prese il posto di una legge previgente (ordinanza dell'8 agosto 1914 sull'amministrazione controllata), la quale concedeva al debitore una moratoria nel caso in cui l'amministrazione della sua impresa fosse stata posta sotto il controllo pubblico. Una legislazione di carattere analogo si rinviene in Italia (legge fallimentare del 1942, artt. 187-193), in Sudafrica (Companies act, 1973, n. 61, sezz. 427-440) e in Gran Bretagna (Insolvency act, 1986, sezz. 8-27).
L'Italia ha inoltre emanato nel 1979 una legge speciale avente a oggetto il recupero, attraverso il pubblico intervento, delle grandi imprese (legge del 3 aprile 1979, n. 59, emendata dalla legge del 31 marzo 1982, n. 119), seguendo, per questo aspetto, la politica di altri paesi che si erano dotati di procedure tese alla ristrutturazione dell'assetto finanziario e operativo delle imprese, in modo da rendere così possibile la loro sopravvivenza nell'interesse pubblico. Questo tipo di legislazione ebbe origine negli Stati Uniti (48 Stat. 911, c. 424, 1934), mentre procedure analoghe si possono oggi rinvenire in Argentina (legge 19.551, emendata dalla legge 22.917 del 1983, artt. 42 e 61/2), Australia (Companies act, civ., 1981, parte VIII), Austria (legge del 1° luglio 1982 di emendamento della legge fallimentare del 1966, n. 33), Canada, Giappone (legge n. 172 del 1952), Sudafrica (Companies act, 1973, n. 61, sezz. 311-313), Regno Unito (Companies act, 1985, sezz. 425-430) e Francia (legge n. 85-98 del 25 gennaio 1985).
Con l'avvento delle procedure - giudizialmente autorizzate - di concordato preventivo e di riorganizzazione si assistette a un profondo cambiamento nella natura dei procedimenti fallimentari. La liquidazione delle imprese in stato di insolvenza fu considerata un male necessario che si doveva cercare di evitare con il consenso della maggioranza qualificata dei creditori, o persino in assenza di un simile consenso, qualora si fosse reputato che la conservazione dell'impresa rivestisse un'importanza maggiore dell'interesse dei creditori. Un valido esempio in questo senso viene offerto dalle cosiddette disposizioni cram-down, contenute nel capitolo relativo alle procedure di riorganizzazione del codice fallimentare americano o nella nuova normativa francese.Inoltre, le procedure di liquidazione dovettero essere affiancate da altre procedure tese a evitare la liquidazione medesima. Così, numerose leggi disciplinanti il concordato preventivo prevedevano la possibilità di una sentenza dichiarativa di fallimento emanata d'ufficio nei casi in cui l'istanza di concordato preventivo fosse dichiarata inammissibile, non venisse regolarmente attuata ovvero non raggiungesse il suo fine (si vedano, ad esempio: legge argentina n. 19.551, emendata e ripubblicata nel decreto n. 2.449, art. 84; legge fallimentare italiana, 1942, artt. 162 e 179; legge tedesca sul concordato preventivo del 1935, sezz. 19, 80, 96/5, 101; legge brasiliana del 21 giugno 1945, n. 7661, artt. 161, 162, 176; legge cilena del 28 ottobre 1982, n. 18.175, art. 207/3).
Negli Stati Uniti il Bankruptcy code del 1978 (par. 1112/b) prevede la possibilità di convertire le procedure di riorganizzazione in quelle di liquidazione, ovvero la chiusura del caso - a seconda di quale soluzione rappresenti meglio l'interesse dei creditori e della massa fallimentare - a seguito di comunicazione e udienza, su richiesta della parte interessata o dell'amministratore fiduciario dello Stato, nei casi di incapacità a predisporre o attuare un piano di recupero, ovvero in altri casi.
La nuova normativa francese fonde la riabilitazione e la liquidazione in un'unica procedura, che ha inizio con una sentenza del tribunale competente per la materia. L'apertura di tale procedura può avvenire su richiesta del debitore, dei creditori, della corte ex officio, o del pubblico ministero. Con la medesima sentenza vengono nominati il giudice delegato, il curatore e il rappresentante dei creditori. Con la sentenza ha inizio un periodo di osservazione, durante il quale viene compiuta una valutazione della situazione economica dell'impresa, e al tempo stesso viene determinata la fattibilità di un piano di riabilitazione dell'impresa medesima. La decisione ultima spetta al tribunale, che approva il piano di riabilitazione o ordina la liquidazione. Il piano può comportare la continuazione dell'impresa sotto la guida del debitore ovvero il suo trasferimento, in tutto o in parte, a un terzo (legge 85-98 del 25 gennaio 1985, artt. 1, 3, 4, 6-8, 10, 18, 61, 69, 81, 148). A differenza del modello francese, quello austriaco ha introdotto una breve procedura preliminare, a carattere facoltativo, che ha inizio con un'istanza da parte del debitore ed è intesa a facilitare la raccolta dei fondi necessari alla continuazione dell'impresa (Insolvenzänderungsgesetz, del 1° luglio 1982, sezz. 79-91). La scarsa adattabilità della liquidazione fallimentare alle grandi imprese moderne che versano in difficoltà di ordine finanziario ha costituito l'oggetto di numerosi e approfonditi dibattiti (v. Brisbal Méndez, 1986; v. Abrão, 1985).
Un altro problema relativo all'opportunità di individuare procedure alternative al fallimento riguarda la categoria dei consumatori in gran parte rappresentata da individui a reddito fisso. Il ricorso a procedure di questo tipo - che si rinvengono, per esempio, negli Stati Uniti (Bankruptcy code, cap. 13) e comportano un pagamento parziale dei creditori dal reddito disponibile del debitore, secondo un piano giudizialmente approvato - viene incoraggiato e può arrivare a escludere la possibilità di fallimento, se ricorrono determinate circostanze (ibid., sez. 7076).
Nonostante le diverse tradizioni giuridiche e la disparità di condizioni economiche che caratterizzano i vari paesi dotati di una legge fallimentare (per una recente rassegna delle leggi fallimentari nel mondo, v. Pajardi, 1988) permangono ancora numerosi problemi che vanno comunque risolti attraverso questo tipo di legislazione. Alcuni di essi hanno natura sostanziale, altri processuale. A grandi linee questi problemi concernono: a) l'apertura, i presupposti, la gestione e gli aspetti procedurali delle procedure fallimentari; b) i beni disponibili destinati alla soddisfazione dei creditori, e cioè la cosiddetta massa o patrimonio fallimentare, in particolare con riferimento ai beni presenti e a quelli acquistati successivamente, alle esenzioni e ai beni ceduti dal debitore, in modo sia fraudolento che preferenziale, prima dell'apertura della procedura; c) la ripartizione dei proventi ricavati dalla vendita della massa fallimentare e cioè: prova del diritto di credito in generale; posizione giuridica dei creditori privilegiati; priorità e diritti in generale dei creditori chirografarî; riabilitazione del debitore da ulteriori posizioni debitorie (discharge).(Nei successivi paragrafi gli articoli di legge riportati tra parentesi si intendono riferiti alle rispettive leggi fallimentari vigenti nei paesi citati, se non altrimenti specificato).
Secondo tutte le normative nazionali, le procedure fallimentari hanno carattere essenzialmente giudiziale, in quanto aperte a seguito di declaratoria di fallimento o di atto giudiziale equipollente, quale può essere, nella normativa statunitense, un'istanza da parte del debitore.
1. Le normative contemporanee riconoscono normalmente la legittimazione a iniziare una procedura fallimentare al debitore ovvero ai creditori di questo. Ormai da lungo tempo non si dubita più sulla possibilità che al debitore sia lecito forzare i propri creditori ad accettare una procedura fallimentare, con la conseguenza di rendere annullabili determinati atti posti in essere prima del fallimento. In realtà varie normative fallimentari impongono agli imprenditori insolventi o alle persone giuridiche indebitate l'obbligo di proporre istanza per ottenere la sentenza dichiarativa di fallimento. Altre leggi fallimentari - come quella francese (art. 304) e quella italiana (art. 6) - prevedono inoltre la possibilità che a richiedere la procedura fallimentare nei confronti del debitore siano dei pubblici ufficiali, in particolare il pubblico ministero. Altre leggi ancora, come abbiamo già detto (v. cap. 3), prevedono la possibilità di una declaratoria di fallimento emanata ex officio, specialmente nei casi in cui il concordato preventivo non abbia raggiunto il proprio fine.Generalmente le istanze di fallimento da parte dei creditori possono essere avanzate anche da un unico creditore. Negli Stati Uniti è necessario procedere al cumulo delle domande di tutti i creditori nei casi in cui il numero di creditori che vantano diritti non controversi è di tre o più (par. 303/b). Molte leggi subordinano a ulteriori requisiti la possibilità per i creditori di proporre un'istanza fallimentare, come ad esempio un tetto minimo di debiti inadempiuti, l'assenza di garanzie, o entrambi tali requisiti: è questo il caso degli Stati Uniti (ibid.), della Gran Bretagna (sezz. 123 e 267/2, a-b), del Canada (Canadian bankruptcy article, 1949, sezz., 43, 1a e 2) e dell'Australia (sez. 44).
2. In pratica tutte le leggi, particolarmente nel caso di istanze proposte dai creditori, dispongono la declaratoria fallimentare nei confronti del debitore che versa in stato di insolvenza. Enormi, tuttavia, sono le differenze che si rinvengono circa la definizione e la configurazione effettiva dello stato di insolvenza. La maggior parte delle normative impiega formule di carattere generale. Ad esempio, ogni atto il quale mostri che il debitore è incapace di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni (Argentina, art. 86); impossibilità di far fronte ai debiti scaduti con i beni disponibili (Francia, artt. 3 e 4); incapacità di pagare ovvero, nel caso di persone giuridiche, anche eccesso del passivo sull'attivo (Germania, legge del 1877, sezz. 102 e 207); atti che evidenzino l'incapacità del debitore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni (Italia, art. 5); in linea generale, mancato pagamento dei debiti man mano che scadono, a meno che questi siano l'oggetto di una controversia di buona fede (Stati Uniti, par. 303/h, 1); incapacità per una persona giuridica di pagare i propri debiti man mano che questi maturano (Gran Bretagna, par. 173, 1/e, 2). Per ciò che concerne le persone fisiche, tuttavia, la nuova legislazione inglese concede ai creditori la facoltà di promuovere un'istanza di fallimento esclusivamente nel caso in cui essi non siano riusciti a recuperare il proprio credito (part. 268, 1/a-b). La normativa britannica abbandona così il sistema previgente - tuttora in vigore in Australia (sezz. 40 e 43/1), Canada (artt. 42 e 43/1, b), Nuova Zelanda (sezz. 19 e 23/b), nonché in Cile (art. 43) - per il quale era necessario che venissero commessi uno o più specifici "atti di insolvenza". In alcune nazioni, come ad esempio il Brasile (artt. 1 e 2), si è proceduto alla fusione di diversi sistemi che richiedono o la cessazione dei pagamenti, o la commissione di determinati atti che evidenziano lo stato di insolvenza. In altri paesi, come il Cile e la Gran Bretagna, il creditore è legittimato a proporre istanza di fallimento qualora il debitore non gli abbia corrisposto un debito dovuto per via di transazione commerciale ovvero a seguito di formale richiesta.In diversi paesi lo stato di insolvibilità del debitore costituisce un requisito essenziale affinché questi sia legittimato a proporre istanze di qualsiasi tipo, comprese quelle tese a evitare la liquidazione del proprio patrimonio. Una tale impostazione potrebbe apparire poco fondata, poiché le procedure tese a evitare la liquidazione vanno promosse al più presto perché abbiano esito positivo. Negli Stati Uniti le procedure a carattere volontario non sono subordinate allo stato di insolvibilità, ma alla mera assenza di mala fede o di abuso di diritto (sezz. 301 e 707/b).
3. Praticamente tutti i paesi richiedono un'azione giudiziale perché si possa pervenire alla dichiarazione di fallimento di un debitore ordinario. Nella maggior parte dei paesi lo svolgimento di tutta la procedura, dalla prima udienza fino alla conclusione, viene affidato a giudici monocratici ovvero a sezioni di tribunali più ampi, alle quali sono preposti giudici monocratici. In un numero limitato di paesi l'ordinanza con cui viene dichiarata l'apertura della procedura fallimentare viene emanata da un organo collegiale, il quale provvede a eleggere fra i suoi membri un giudice delegato avente funzioni di carattere giudiziale sugli sviluppi del caso a lui affidato. Esempi di questo tipo si rinvengono in Italia (artt. 23-25) e in Francia (artt. 7, 10, 14 e decreto n. 85-1387). In un certo numero di paesi l'esercizio delle funzioni giudiziali - tranne che per ciò che riguarda la decisione sull'istanza di fallimento - viene affidato ad ausiliari della giustizia facenti parte della magistratura ordinaria. Una normativa di questo tipo si rinviene in Germania (legge del 5 novembre 1969), in Gran Bretagna (Insolvency rules, 1986, Statutory instrument 1986/1925, sezz. 7.1 e 7.6), in Australia (sezz. 14, 30/4, 33/2), in Canada (sezz. 2 e 192) e, seppure in un ambito meno vasto, in Nuova Zelanda (sez. 6). Negli Stati Uniti i tribunali fallimentari sono costituiti da unità dei tribunali distrettuali federali, del cui organico fanno parte giudici che non hanno diritto alla medesima permanenza in carica dei giudici federali ordinari (28 U.S. Code, parr. 151-158, 1334).
Una delle figure centrali in tema di fallimento è tradizionalmente costituita dal curatore fallimentare, che aveva il compito di raccogliere, amministrare e vendere i beni appartenenti al patrimonio o massa fallimentare, per poi procedere alla ripartizione dei proventi così ottenuti. Questa carica veniva ricoperta da un privato con esperienza nel settore degli affari, scelto dai creditori, il quale operava sotto la direzione di uno o più comitati di creditori conformemente alle decisioni adottate nel corso delle assemblee dei creditori stessi. Nel corso del tempo, tuttavia, la partecipazione dei creditori è venuta assumendo un ruolo sempre minore e la funzione di vigilanza che questi prima esercitavano è stata rimpiazzata sia dal ruolo sempre più accentratore assunto dal giudice che da curatori aventi la qualifica di pubblico ufficiale, o da curatori di professione, persone, cioè, in possesso delle qualifiche richieste. Tuttavia nei paesi in cui esiste la carica di 'curatore pubblico', come negli Stati Uniti (28 U.S. Code, parr. 581-589), ciò non costituisce una situazione di monopolio, dal momento che i creditori sono liberi di nominare un curatore di loro scelta (11 U.S. Code, par. 702). Il Cile ha abbandonato nel 1982 il sistema che prevedeva l'attribuzione dell'amministrazione fallimentare esclusivamente ai pubblici uffici (artt. 7-13, 25, 108). A norma dell'Insolvency act inglese del 1986 (sezz. 136 e 292) l'official receiver, cioè il curatore fallimentare, agisce semplicemente come liquidatore di una persona giuridica ovvero come amministratore o gestore del patrimonio fallimentare fino alla nomina - da parte dell'assemblea speciale dei creditori - di un liquidatore con requisiti ufficiali ovvero fino alla nomina - da parte dell'assemblea generale dei creditori - di un curatore, avente i requisiti adatti, appartenente al settore privato. In Italia il giudice procede alla nomina del curatore, il quale viene scelto in un apposito albo, ma i creditori non hanno diritto di prendere parte alla scelta del giudice. Ciò non deve sorprendere, dato che la legge fallimentare italiana non prevede una convocazione dei creditori tranne che nei casi di concordato preventivo e di amministrazione controllata. La sottrazione di questi privilegi ai creditori viene portata a conseguenze ulteriori dalla nuova normativa francese, secondo la quale le funzioni del curatore tradizionale vengono suddivise tra più professionisti. Durante la fase della riabilitazione l'impresa viene amministrata sotto la vigilanza o con l'intervento di un amministratore di professione nominato con la sentenza che apre la procedura (leggi n. 85-98, art. 10, e n. 85-99, cap. I). Durante la fase della liquidazione il tribunale nomina un liquidatore di professione, il quale normalmente, nella precedente fase della riabilitazione, riveste la qualifica di rappresentante ufficiale dei creditori (leggi n. 85-98, artt. 10 e 148, e n. 85-99, cap. II). Questi ultimi hanno la facoltà di scegliere in via del tutto autonoma uno o due ispettori incaricati di raccogliere informazioni sugli sviluppi della procedura (legge n. 85-98, art. 15). I dipendenti vengono rappresentati separatamente da una persona di loro scelta (ibid., art. 10). I creditori possono essere ascoltati collettivamente dal rappresentante ufficiale in merito alle proposte concernenti un eventuale programma di riabilitazione (ibid., art. 24).
4. La natura concorsuale delle procedure fallimentari richiede necessariamente la concentrazione di tutte le controversie relative ai beni costituenti il patrimonio fallimentare, come pure quella di tutti i debiti che su quei beni devono trovare soddisfazione. A questo proposito i primi autori in materia di fallimento parlavano di forza attrattiva delle procedure fallimentari (vis attractiva concursus). La stessa concezione si riflette nelle normative odierne, sebbene riceva attuazione in modi e gradi molto diversi che spesso danno luogo a complessi problemi giurisdizionali. In molti paesi di diritto civile - come l'Italia (art. 24) e il Brasile (art. 7, parr. 2 e 23) - il tribunale fallimentare viene investito di ampi poteri di decisione, mentre viene proibita l'instaurazione presso altre corti di nuovi procedimenti contro lo stesso fallito o la prosecuzione di quelli già in corso - compresa l'esecuzione del giudicato - una volta emanata la sentenza dichiarativa di fallimento (si vedano le leggi fallimentari francese, artt. 47-49; italiana, artt. 51-53; argentina, artt. 129-136; cilena, art. 70). In particolare la prova del diritto di credito ai fini della ripartizione dei beni normalmente rientra nell'ambito giurisdizionale dei tribunali fallimentari. Regole analoghe vengono applicate negli Stati Uniti, ove l'instaurazione di una procedura a norma del Bankruptcy code provoca una sospensione automatica degli altri procedimenti (sez. 362) e i tribunali fallimentari sono investiti di un'ampia competenza sulle azioni civili connesse alla materia fallimentare (Judicial code, 28 U.S. Code, par. 1334/b-c).
Poiché le procedure fallimentari - nella misura in cui comportano la liquidazione dei beni del debitore e la ripartizione dei proventi fra i creditori - privano il debitore del godimento, della gestione e del potere di disporre dei beni stessi, l'individuazione di questi ultimi rappresenta un punto importante nell'ambito della normativa fallimentare, specialmente nei casi di fallimento di persone fisiche, dal momento che queste, ovviamente, a differenza degli enti aventi personalità giuridica, continuano a esistere anche dopo la chiusura della procedura fallimentare.I problemi più rilevanti concernono normalmente tre aspetti basilari: 1) l'applicabilità delle esenzioni; 2) l'acquisizione alla massa fallimentare dei beni acquistati successivamente alla dichiarazione di fallimento; 3) la nullità o l'annullabilità delle operazioni poste in essere prima della dichiarazione di fallimento o della data dell'istanza fallimentare.
1. La stragrande maggioranza delle leggi fallimentari (Gran Bretagna, 1986, sezz. 283 e 336-338; Germania, sez. 1; Italia, art. 46; Stati Uniti, par. 522; Argentina, art. 112; Brasile, art. 41; Cile, art. 64) contiene disposizioni che sottraggono o rendono sottraibili alle sorti del fallimento determinati beni che - per motivi di politica sociale - vengono lasciati al debitore. Tra questi beni figurano gli stipendi, le pensioni, le somme ottenute in risarcimento di danni fisici e, entro certi limiti, la casa di abitazione. Queste esenzioni coincidono in gran parte con quelle che vengono concesse nelle ipotesi di esecuzione forzata della sentenza nei confronti del debitore. La salvaguardia della casa di abitazione è stata oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore. Viceversa, la nuova normativa francese (art. 152) ha stranamente omesso di provvedere a questo riguardo, anche se ha mantenuto le previgenti esenzioni, tra cui è compresa anche la casa di abitazione (v. Argenson e Toujas, 1973⁴, vol. I, p. 388).
2. La maggior parte delle legislazioni comprende fra i beni costituenti il patrimonio fallimentare gli acquisti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, fino alla chiusura del procedimento o alla riabilitazione del fallito. Questa è la situazione che si riscontra nei paesi che hanno subito l'influenza della legge fallimentare francese del 1807, come si desume dalla normativa vigente in Argentina (art. 111), Brasile (art. 39), Cile (art. 65), Francia (art. 152), Italia (art. 42) e Spagna (Codice commerciale 1829, artt. 1035-1037, e Codice commerciale 1885, art. 878). Parimenti, i beni acquistati dal debitore fino alla revoca del fallimento sono o possono essere considerati come beni di pertinenza della massa fallimentare a norma del nuovo Insolvency act inglese (sez. 307) così come nelle leggi fallimentari australiana (art. 116/1, a), canadese (sez. 67/c) e neozelandese (sez. 42/2, b). Si possono trovare delle eccezioni a tale regola nelle leggi tedesca (sez. 1) e americana (11 U.S. Code, par. 541), dove gli acquisti effettuati posteriormente alla declaratoria non vengono acquisiti alla massa fallimentare. Il Codice statunitense, tuttavia, comprende nella massa alcuni acquisti a titolo gratuito, compiuti entro i 180 giorni successivi.
3. Da sempre le norme sul fallimento invalidano o stabiliscono l'annullabilità degli atti a carattere fraudolento o preferenziale a danno dei creditori, compiuti dal debitore in previsione del fallimento. Tuttavia il tipo e la portata delle misure tese alla reintegrazione del patrimonio fallimentare variano sensibilmente da paese a paese. Il Codice commerciale francese del 1807 (artt. 441-447) attribuiva alla dichiarazione di fallimento effetto retroattivo rispetto alla data del fallimento. Durante tale periodo, fissato dal tribunale, il fallito veniva privato, con effetto retroattivo, del potere di disporre dei propri beni, con la conseguenza che tutti gli atti compiuti durante questo periodo sospetto erano invalidi. Inoltre alcuni tipi di alienazioni venivano dichiarati invalidi o si presumeva che avessero carattere fraudolento, e in quanto tali fossero annullabili, se posti in essere nei dieci giorni precedenti la data del fallimento. Era inoltre prevista l'annullabilità generale dei negozi in frode ai creditori. L'attuale normativa francese (artt. 9 e 107-110) ha mantenuto questo indirizzo. Il decreto con cui viene aperta la procedura fissa la data di cessazione dei pagamenti, la quale non può essere superiore a diciotto mesi prima della data di emissione del decreto stesso. Un certo numero di atti compiuti durante quel periodo - tra cui donazioni, concessioni di ipoteche, privilegi giudiziali, pagamenti anticipati di debiti e pagamenti di debiti effettuati con mezzi diversi dalle offerte legali - viene considerato invalido. I trasferimenti a titolo gratuito possono essere annullati anche se compiuti nei sei mesi precedenti la data di cessazione dei pagamenti. Il pagamento dei debiti scaduti e gli altri trasferimenti a titolo oneroso, compiuti successivamente alla data di cessazione dei pagamenti, possono essere annullati se l'altra parte era a conoscenza della situazione. Il sistema francese è stato adottato in alcuni paesi dell'America Latina, in cui il tribunale ha il dovere di fissare la data di cessazione dei pagamenti, con la conseguenza che determinati atti posti in essere successivamente a quella data - come stabilisce la legge argentina (artt. 119-128) - o entro un certo numero di giorni prima della stessa - come prescrive la legge cilena (artt. 61-63 e 74-81) - sono considerati inefficaci relativamente al patrimonio fallimentare. Per la maggior parte, le leggi fallimentari - comprese quelle brasiliana (artt. 52-53), italiana (artt. 64-68), tedesca (sezz. 29-33), inglese (sezz. 238-240 e 339-341) e statunitense (parr. 547-548) - non aderiscono alla teoria della retroattività e dispongono invece l'invalidità, relativamente al patrimonio fallimentare, di determinate categorie di atti posti in essere prima del fallimento, perché questi risulterebbero contrari al principio di uguaglianza tra i creditori (par condicio creditorum) o perché sottraggono indebitamente dei beni al patrimonio fallimentare. Esempi di questo tipo di atti sono costituiti da donazioni, pagamento di debiti - effettuati prima o dopo la scadenza - e concessioni di cointeressenze date a garanzia, ma i particolari variano da paese a paese. Così nel caso delle donazioni alcuni paesi richiedono che lo stato di insolvenza esista già al tempo della donazione (Gran Bretagna, sez. 341/2 e 3; Stati Uniti, par. 548), mentre altri (Italia, art. 64; Brasile, art. 52, IV; Germania, par. 32) non lo ritengono necessario. Nei casi di trasferimenti a carattere preferenziale in frode ai creditori, compresi i pagamenti, alcuni paesi come Germania (par. 30) e Italia (art. 67) richiedono oltre allo stato di insolvenza anche la conoscenza della situazione di insolvibilità da parte dell'acquirente, mentre altri (Stati Uniti, par. 547) prevedono l'annullabilità dell'atto semplicemente in base allo stato di insolvenza e del risultato conseguito attraverso il trasferimento preferenziale. Le differenze che si riscontrano nelle condizioni richieste per l'annullamento di questi atti si riflettono altresì nella differente durata del periodo antecedente il fallimento, durante il quale le operazioni annullabili sono state poste in essere. Questo periodo può essere relativamente breve, come negli Stati Uniti (90 giorni) e in Germania (6 mesi), o durare uno o più anni.
La ripartizione fra i creditori dei proventi ricavati dalla vendita della massa fallimentare deve oggi rispettare una complessa gerarchia di diritti di garanzia, diritti privilegiati, diritti dei creditori ordinari e diritti di grado inferiore. Il ben noto principio dell'uguaglianza tra i creditori (par condicio creditorum), che un tempo rappresentava la pietra angolare di tutto il sistema, con il passare del tempo è divenuto obsoleto.Le esigenze commerciali - vere o presunte - hanno determinato l'accoglimento di una categoria sempre crescente di diritti reali di garanzia a carattere non possessorio su beni mobili materiali (merci) e immateriali, così come di una altrettanto crescente varietà di diritti di proprietà (brevetti, diritti d'autore, marchi di fabbrica) e di diritti di partecipazione (azioni) fino ad arrivare ai conti bancari, i quali tutti possono essere oggetto di diritti reali di garanzia. Inoltre i diritti di garanzia possono essere costituiti su masse variabili di beni, come i beni strumentali (scorte di magazzino) o l'azienda in quanto tale (fond de commerce).La garanzia può assumere la forma di una riserva di proprietà, di una proprietà fiduciaria o di un diritto reale di garanzia su beni mobili o immobili (la garanzia reale nei paesi di diritto civile).
Le modalità con cui vengono fatti valere i diritti di garanzia a tutela dei creditori variano sensibilmente da paese a paese. Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici l'esecuzione di un credito o di un diritto di garanzia viene sospesa dall'istanza o dal provvedimento di fallimento e i crediti privilegiati devono essere provati dinanzi al tribunale fallimentare, così come i crediti non garantiti. A meno che il tribunale non autorizzi il creditore a effettuare un pignoramento, la vendita del bene vincolato a garanzia del credito viene affidata al curatore, anche se il creditore garantito ha il diritto di soddisfarsi separatamente sul ricavato. Secondo la legge italiana (artt. 51, 53, 103), ad esempio, il fallimento preclude la possibilità di iniziare o proseguire le procedure esecutive, ma i creditori garantiti possono essere autorizzati alla vendita dei beni sui quali esiste una garanzia reale. Norme analoghe si rinvengono negli Stati Uniti (sez. 362). Per converso, in Germania i creditori garantiti hanno diritto a tenere separati i beni su cui esiste una garanzia reale e a soddisfare le proprie pretese con la loro vendita, indipendentemente dalla procedura fallimentare in corso (sezz. 4, 47-49).
In linea di massima i diritti dei creditori chirografarî che trovano il loro titolo in negozi giuridici o in fatti avvenuti prima dell'istanza o della dichiarazione di fallimento concorrono sul ricavato della vendita del patrimonio fallimentare. Alcuni diritti, sorti successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, possono nascere a seguito dell'amministrazione del patrimonio fallimentare. Essi non sono considerati diritti appartenenti ai creditori del fallito e prevalgono comunque su quest'ultimo. La legge fallimentare ha costantemente operato una distinzione fra debiti della massa e debiti del fallimento. I debiti contratti da un debitore ordinario successivamente al fallimento non possono trovare soddisfazione nella massa fallimentare, anche in quegli ordinamenti in cui gli acquisti successivi alla sentenza dichiarativa vanno a vantaggio della massa fallimentare medesima.
Il confine che separa i diritti successivi al fallimento ammessi alla massa fallimentare da quelli non ammessi varia da paese a paese. In base alla legge inglese (sezz. 278 e 382) il debito del fallimento è costituito da qualsiasi debito o obbligazione cui il debitore è soggetto alla data del provvedimento di fallimento, ovvero da qualsiasi debito o obbligazione cui il debitore potrebbe essere assoggettato dopo tale data in ragione di un titolo anteriore alla data stessa. Disposizioni analoghe regolano la materia in Australia (sez. 82/1) e in Canada (sez. 121/1). In Inghilterra anche le obbligazioni che scadono dopo la riabilitazione del debitore possono essere ammesse al passivo se sorte in base a un rapporto antecedente al fallimento. Negli Stati Uniti la data in cui viene presentata l'istanza di fallimento determina se un credito può essere soddisfatto o meno con il ricavato della massa fallimentare. Nei casi di fallimento promosso da terzi, i creditori che vantano diritti nascenti da atti compiuti dal fallito nel periodo compreso fra l'istanza di fallimento e l'ordine di revoca (i cosiddetti gap-claims) hanno anch'essi titolo per partecipare alla distribuzione del ricavato. Nei paesi che si sono ispirati al modello continentale europeo (Argentina, Austria, Brasile, Francia, Germania, Italia, Giappone, Portogallo e Spagna) i creditori ammessi alla distribuzione del ricavato sono quelli che vantano diritti nascenti da fatti precedenti la sentenza dichiarativa di fallimento. I creditori successivi possono solo soddisfarsi su beni che non rientrano nel patrimonio fallimentare.
Molte leggi fallimentari - tra cui quella italiana (art. 52, par. 2) - estendono ora la possibilità di essere ammessi al passivo del fallimento a tutti i tipi di crediti, sia che nascano da contratto, sia da quasi-contratto - nell'accezione della common law - o da fatto illecito, indipendentemente dal fatto che siano scaduti o no, liquidi o meno. Il trattamento giuridico dei diritti sottoposti a condizioni o non ancora liquidati, tuttavia, varia considerevolmente: in molti paesi il tribunale fallimentare è competente a pronunciarsi sull'esistenza e sull'ammontare di un credito non ancora compreso in una sentenza, qualora la richiesta di risarcimento sia contestata dal curatore o dagli altri creditori. Se il credito fatto valere è sottoposto a condizione, alcune normative, come ad esempio quella italiana (artt. 52, par. 3,95, par. 2, e 113), richiedono la costituzione di un fondo di riserva nell'ambito del piano di distribuzione ai creditori. In Germania (sezz. 3, 67, 69, 144, 146, 154, 168) i crediti non ancora liquidati hanno titolo per partecipare alla divisione del patrimonio fallimentare, ma il loro importo può essere oggetto di valutazione. Se un credito risulta ancora controverso, la decisione ultima è di competenza del giudice ordinario, mentre i crediti sottoposti a condizione hanno titolo per partecipare soltanto al fondo di riserva.
Nonostante il riconoscimento del principio di uguaglianza, sin dal XVI secolo le leggi fallimentari hanno riconosciuto l'esistenza di una serie di creditori 'privilegiati' aventi diritto di soddisfarsi prioritariamente sul ricavato di tutti i beni o almeno di una parte di essi. In quest'ultimo caso tali creditori possono essere considerati creditori garantiti da un privilegio legale sui rispettivi beni. I creditori con un diritto prioritario, benché non garantiti, sono principalmente costituiti dal governo - per ciò che attiene ai crediti fiscali -, dai membri della forza lavoro - relativamente ai salari arretrati - e dagli enti preposti alla raccolta dei fondi per la salute e la previdenza costituiti a favore dei lavoratori, per ciò che concerne i contributi relativi. La gerarchia dei vari tipi di diritti, che è spesso molto complessa, è prevista o nelle leggi fallimentari o nei codici civili (è questo il caso dell'Italia) dei vari paesi.
Una legge inglese del 1705 prevedeva la riabilitazione del fallito in relazione a tutti i crediti ammessi al fallimento qualora lo stesso avesse in buona fede adempiuto a tutti gli obblighi previsti dalla legge fallimentare. Sin da allora l'esenzione del debitore, onesto ma sfortunato, dai propri oneri finanziari ha rappresentato uno degli scopi principali perseguiti dalle normative fallimentari dei paesi di common law, come il Regno Unito (sezz. 279-281), gli Stati Uniti (parr. 727 e 523), il Canada (sezz. 169-182), l'Australia (sezz. 149-154) e la Nuova Zelanda (sezz. 107-118). Il Sudafrica contiene nell'Insolvency act del 1936 alcune disposizioni in merito alla riabilitazione del fallito in relazione ai propri debiti (sez. 129/1).Il diritto alla riabilitazione non riveste carattere assoluto e si può perdere se vengono posti in essere, prima o dopo il fallimento, degli atti passibili di opposizione. Inoltre alcune obbligazioni del fallito sopravvivono alla riabilitazione in ragione di alcune politiche considerate prevalenti, come il dovere di provvedere al mantenimento e di risarcire quando si siano causate lesioni personali e si riscontri la presenza di circostanze aggravanti.Negli Stati Uniti e in Canada la riabilitazione viene concessa nella fase iniziale della procedura fallimentare. In altri paesi può essere rimandata per periodi abbastanza lunghi, ma diventa automatica dopo che sia trascorso un determinato numero di anni, a meno che il giudice provveda altrimenti o la abbia concessa in precedenza.Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale l'istituto della riabilitazione si è diffuso anche in molti paesi di diritto civile. Il Giappone ha emanato alcune norme sulla riabilitazione nel 1952 (artt. 366/2-20). L'Argentina (art. 253), il Brasile (art. 134) e, in tempi più recenti, la Francia (art. 169) hanno adottato disposizioni dirette all'estinzione dei debiti non soddisfatti attraverso la distribuzione dei proventi ricavati dalla massa fallimentare. In Francia questa regola assume carattere assoluto, mentre in Argentina e in Brasile è soggetta a condizioni e requisiti particolari.
(V. anche Processo)
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