FALLIMENTO (XIV, p. 751)
La disciplina del fallimento, contenuta nel r. decr. 16 marzo 1942, n. 267, conserva all'istituto, pur accentuandone l'impronta pubblicistica, i lineamenti essenziali che già aveva nel sistema del cod. di comm. e cioè di "processo a carattere prevalentemente esecutivo promosso allo scopo del soddisfacimento egualitario dei creditori". Tuttavia sono state apportate modificazioni più o meno profonde. Il fallimento è dichiarato con sentenza pronunciata in camera di consiglio dal tribunale nella cui circoscrizione è posta la sede dell'impresa, su ricorso dell'imprenditore o dei creditori o del P. M. o d'ufficio; è esclusa la dichiarazione di fallimento in contraddittorio. Presupposti della dichiarazione sono:
a) la qualità di imprenditore commerciale, sostanzialmente corrispondente a quella di commerciante (art. 2195 cod. civ.): sono peraltro espressamente esclusi dal fallimento, anche se esercitano un'attività commerciale, gli enti pubblici e i piccoli imprenditori (art.1) ed anche, normalmente, le imprese per le quali la legge dispone la liquidazione coatta amministrativa (art 2);
b) la insolvenza, cioè la incapacità patrimoniale dell'imprenditore a far fronte regolarmente, ossia con puntualità e con mezzi normali, alle proprie obbligazioni. Lo stato di insolvenza non corrisponde esattamente allo stato di cessazione dei pagamenti tenuto presente nel sistema dell'abrogato cod. di comm.; vi può essere una cessazione dei pagamenti determinata da temporanea difficoltà anziché da incapacità patrimoniale e, in questo caso, si fa luogo all'amministrazione controllata e non anche alla dichiarazione di fallimento. L'insolvenza è necessariamente riferita all'intero patrimonio dell'imprenditore e, in quanto si manifesti attraverso inadempimenti o altrimenti, determina la dichiarazione di fallimento anche se l'inadempimento o gli altri fatti non riguardino direttamente l'esercizio dell'impresa.
Alla dichiarazione di fallimento, la quale viene pronunciata in base ad accertamento sommario dei presupposti, può essere fatta opposizione da parte degli interessati, ad esclusione però di colui che il fallimento ha richiesto: nel caso in cui risulti la mancanza dei presupposti necessarî, il fallimento è revocato. La revoca ha efficacia ex nunc e lascia integri gli atti compiuti legittimamente dagli organi fallimentari in costanza del fallimento, salvo il diritto del fallito al risarcimento dei danni nei confronti di colui che il fallimento ha richiesto, nel caso di dolo e colpa grave. La dichiarazione di fallimento di una società commerciale determina automaticamente il fallimento dei soci a responsabilità illimitata.
Effetti. - Gli effetti della dichiarazione di fallimento rimangono sostanzialmente quelli già fissati nel cod. di comm.:
a) nei confronti del fallito, si determina dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento la perdita dell'amministrazione e della disponibilità dei beni, alla quale consegue la perdita della legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie relative a rapporti patrimoniali, nonché la inefficacia nei confronti dei creditori degli atti compiuti dal fallito, dei pagamenti eseguiti e ricevuti, delle iscrizioni, trascrizioni e delle altre formalità operate dai terzi sui beni del fallito; sono invece attenuati nel sistema della nuova legge gli effetti personali (articoli 48-49),
b) nei confronti dei creditori, rimane ferma la impossibilità di iniziare e proseguire ogni azione esecutiva individuale e la necessità di assoggettarsi, anche se muniti di prelazione, all'accertamento che si attua attraverso la verificazione dei crediti; rimane sospeso il corso degl'interessi, i crediti a termine si considerano scaduti; è tuttavia espressamente ammessa la compensazione tra debiti e crediti, anche se questi scadano successivamente alla data del fallimento, purché siano sorti almeno un anno prima della dichiarazione di fallimento;
c) in ordine ai contratti in corso di esecuzione si pone una disciplina dettagliata e precisa. La dichiarazione di fallimento importa lo scioglimento automatico del contratto soltanto nella ipotesi in cui esso sia basato sulla considerazione delle qualità personali del contraente (contratti di fiducia), mentre negli altri casi - naturalmente qualora entrambe le prestazioni non siano ancora compiute o integralmente compiute - la dichiarazione di fallimento non importa automaticamente lo scioglimento del contratto ma ne importa una sospensione degli effetti, salvo il diritto della parte in bonis di dare esecuzione al contratto, accettando il pagamento in moneta fallimentare, e il diritto del curatore del fallimento di pretendere la esecuzione dello stesso, mediante adempimento integrale delle obbligazioni.
d) in ordine agli atti compiuti dal fallito antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, che abbiano menomato le garanzie dei creditori o abbiano determinato una modificazione nella posizione reciproca dei creditori, e cioè un'alterazione nella par condicio, la legge ne commina la inefficacia, automatica o su richiesta del curatore del fallimento.
A questo riguardo le innovazioni sono sensibili, dato che si è sostituito al sistema della retrodatazione della sentenza dichiarativa di fallimento, basata sull'accertamento della data alla quale risale lo stato di cessazione dei pagamenti, un sistema automatico, per effetto del quale la inefficacia consegue direttamente alla natura dell'atto, tenuto conto dei soggetti che vi hanno partecipato e del momento in cui l'atto fu compiuto.
Sono senz'altro inefficaci gli atti a titolo gratuito e il pagamento di debiti con scadenza alla data della dichiarazione di fallimento o successiva, che siano stati compiuti nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento (articoli 64-65). Possono invece essere revocati - su domanda del curatore del fallimento se compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione del fallimento - gli atti a titolo oneroso in cui sussista una sperequazione notevole tra prestazione e controprestazione; i pagamenti di debiti scaduti fatti con mezzi anormali; la costituzione di garanzie per debiti non scaduti, e, se compiuta nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, anche la costituzione di garanzia per debiti scaduti. La revoca non ha luogo se l'altra parte dimostri che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore (art. 67, 1° comma).
Gli altri atti a titolo oneroso e il pagamento di debiti scaduti salvo che si tratti di pagamenti di cambiale, nonché gli atti di costituzione di garanzie reali contestuali possono essere revocati se il curatore dimostri che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza dell'imprenditore (art. 67, 2° comma). Al di fuori di queste ipotesi, e cioè in quanto l'atto sia stato compiuto in tempo antecedente a quello stabilito dalla legge, restano applicabili i principì nella revocatoria ordinaria, restando a carico del curatore la prova del danno dei creditori e della consapevolezza di esso da parte dei contraenti (art. 66). È tuttavia da rilevare che in materia fallimentare non si applica il principio dell'art. 2902 del cod. di comm. per cui il terzo che ha subito la revoca dell'atto non è ammesso a concorrere sul ricavato dei beni che hanno formato oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo soddisfatto il creditore, espressamente prevedendosi (art. 71) l'ammissione del terzo al passivo del fallimento per l'ammontare dell'eventuale suo credito.
Altrettanto sensibile è l'innovazione in ordine alla cosiddetta "presunzione muciana": questa si estende, infatti, anche agli acquisti operati dal marito durante il matrimonio nel caso di fallimento della moglie (art. 70).
Organi del fallimento. - Sono: a) il tribunale fallimentare, al quale è attribuita funzione amministrativa oltre che giurisdizionale, essendo rimesso al tribunale di provvedere con decreto pronunciato in camera di consiglio e non soggetto a gravame su tutte le controversie e gli incidenti relativi alla procedura che non siano di competenza del giudice delegato e di decidere sui reclami contro i provvedimenti di questo: b) il giudice delegato, le cui attribuzioni rimangono quelle già fissate dal cod. di comm. e dalla legge del 1930; c) il curatore, la cui figura e i poteri rimangono quelli già fissati dalla legge del 1930; d) il comitato dei creditori, che viene sostituito alla delegazione dei creditori, con funzione di organo consultivo permanente, nominato dal giudice delegato.
Procedura. - È retta sostanzialmente dai principî già affermati in precedenza, salva la applicazione di un procedimento sommario nel caso in cui il passivo non superi le L. 50.000. Essa si inizia con i provvedimenti conservativi (apposizione dei sigilli, inventario ed esercizio provvisorio). L'inventario implica acquisizione automatica del possesso dei beni da parte del curatore, e l'esercizio provvisorio dell'impresa può essere consentito soltanto quando dalla improvvisa interruzione possa derivare grave danno. Segue poi l'accertamento del passivo, il quale si attua attraverso il giudizio di verificazione dei crediti che segue dinanzi al giudice delegato.
Il procedimento si inizia su istanza di parte (domanda di ammissione dei creditori) e si conclude con la formazione ad opera del giudice delegato dello stato passivo, il quale viene sottoposto all'esame dei creditori in apposita adunanza e successivamente, apportatevi le modificazioni ritenute necessarie, reso esecutivo. Le contestazioni dello stato passivo si risolvono in vere e proprie opposizioni che si propongono mediante ricorso al giudice delegato e che debbono essere decise in unico giudizio, secondo le norme comuni del cod. di proc. civ. Sono ammesse domande tardive, e cioè anche successive all'adunanza dei creditori, nelle forme previste per le contestazioni. Il procedimento istituito per l'accertamento del passivo vale anche per le domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili. La liquidazione dell'attivo si attua sulla base delle norme del cod. di proc. civ., alle quali la legge rinvia. Il reparto delle attività si attua sulla base di un piano predisposto dal curatore, reso esecutivo con decreto del giudice delegato.
Chiusura. - Segue nelle ipotesi già conosciute di mancanza di creditori, di totale pagamento di essi, di avvenuta ripartizione dell'attivo, di insufficienza dell'attivo e di concordato. La proposta di concordato deve partire dal fallito e il concordato può essere soltanto giudiziale; vagliata poi dal giudice delegato e dal comitato dei creditori, essa soltanto dopo è comunicata ai creditori per l'approvazione e deve avere il consenso della maggioranza numerica dei creditori che rappresenti almeno due terzi dei crediti. Il consenso si presume se, nel termine di legge, il creditore non manifesta il proprio dissenso. Il concordato, quando la proposta abbia avuto l'approvazione dei creditori, è sottoposto all'omologazione del tribunale che compie un sindacato di merito oltre quello di legittimità. Nel fallimento delle società a responsabilità illimitata, il concordato della società fa cessare anche il fallimento dei soci salva l'opposizione dei creditori particolari di essi. Col passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato, il fallimento è chiuso senza necessità di altre formalità: negli altri casi invece la chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale. Con la chiusura del fallimento cessano gli effetti patrimoniali di questo, decadono gli organi fallimentari, ma rimangono le incapacità personali conseguenti alla dichiarazione di fallimento, salva la riabilitazione civile. Nel caso di concordato, gli organi fallimentari rimangono in funzione sino alla esecuzione dello stesso. Il fallimento può essere riaperto nel caso di risoluzione e annulamento del concordato o nel caso in cui sopravvengano nuove attività nel patrimonio del fallito, che consentano nuove, adeguate ripartizioni.
Bibl.: S. Satta, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma 1943; U. Navarrini, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma 1944: L. Lordi, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Napoli 1946; R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano 1948.